Un’altra lettera da Londra

Gennaio 2016: saldi & scampoli di fine anno

di Maurizio Masotti


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«The remarkable thing about Pimlico is its immense diversity both in terms of class and race and nationality. This is reflected in the make up of the customers at the stall. There has always been a strong Spanish and Portuguese community since the 1960’s and there is now a very strong local Italian community. The most notable change in the last few years has been an influx of Russians. There is also still a very tight knit local community with many generations of family’s living in PIMLICO.. The community of local families is very working class but this community is gradually being replaced as are the young middle class families as house price increases price many people out of the area. My colleagues in the fish trade are quite a diverse bunch themselves too! We while away the hours conversing about fish,obviously, but we talk about sport,mainly football quite a lot. We all support different teams and most of us attend matches fairly regularly. Politics is also discussed fairly regularly as well. We count amongst our customers several MP’s and ex MP’s (some former cabinet ministers) and several high ranking journalists so we can have some interesting discussions! My colleagues in the other shops all work at some point on the market stall and I think you have met most of them. We do socialise together outside of work but we mainly live in different parts of London so it is quite difficult and that’s not to mention that most of us have young families!

Sliding doors…..?

Well I’m glad that my life turned out as it did,I love my work, I’m good at it, I make enough money ( could always use more obviously) and work with nice people and generally nice customers( not always!)

AND NOBODY TELLS ME WHAT TO DO !!!!

I hope this was helpful,we could always discuss these or anything else further over a coffee or even a beer!». Jonathan Norris

Ho lasciato in originale il testo di risposta ad alcune domande fatte al pescivendolo più famoso e rinomato di Pimlico, e non solo nel mio quartiere. Lui ha un vero e proprio negozio nella parte nord della città e rifornisce diversi ristoranti. Si alza alle 4 di mattina 3 volte la settimana per procurarsi pesci freschi all’ingrosso al mercato ittico di Billingsgate. Poi da giovedì a sabato con i suoi aiutanti piazza il suo stall nel quartiere e dalle 8 alle 17 vende ai locali.

A natale aveva una fila impressionante di clienti (compreso il sottoscritto) e ha smerciato diverse casse provenienti dalla Cornovaglia e dalla Scozia, saggiamente prenotate da tempo.

La fine dell’anno ha visto anche altre cose meno allegre e appetitose.

A esempio la chiusura definitiva della miniera di Kellingley (nord Yorkshire): oltre al licenziamento di 451 operai, ha segnato la fine di un settore che qui storicamente aveva marcato, assieme all’industria dell’acciaio (anche questa in dismissione) e alla pesca, la struttura portante della Gran Bretagna. Le facce annerite dei minatori dell’ultimo turno, intervistati dalle televisioni, mi hanno ricordato quelle dei loro colleghi sardi che si erano barricati sottoterra per contrastare i licenziamenti.

Questa chiusura non dimostra comunque che il Regno Unito stia diventando più verde ed ecologico, tanto è vero che nei prossimi 10 anni importerà ancora carbone a buon mercato (dalla Cina) e ¼ della elettricità nel Paese è ancora dipendente da questa risorsa. Diversi commentatori parlano di spostamento di capitali verso il nucleare, mentre questo governo ha tagliato i finanziamenti nel campo delle energie rinnovabili.

A proposito di ambiente, 2 notizie: la raccolta differenziata dei rifiuti nella capitale ha segnato un arresto nella percentuale del riciclaggio, calato al 33,1% – nel 2014/15 – dal 33,9 del periodo precedente. Quando penso ai 2 paesi in cui sono vissuto negli ultimi anni (Austria e Germania) il paragone è impietoso.

L’altra notizia è che la qualità dell’aria respirata nella maggior parte delle scuole londinesi evidenzia livelli pericolosi di inquinamento da polveri sottili e altro. Quindi le nuove generazioni di studenti metropolitani si stanno abituando già da ora a fare i conti con l’altra faccia della Swinging London (senza ricorrere a Dickens di infausta memoria).

La capitale è una entità abbastanza aliena a chi vive fuori di essa, come ho avuto moto di sentire durante una settimana in ottobre passata in Cornovaglia, viaggiando su corriere e treni locali con un clima fantastico e facendo foto al paesaggio costiero, lungo le insenature e i porticcioli (come Mousehole, a 3 miglia da Penzance) pieni di gabbiani.

Lì le persone ti avvicinano e bevendo una pinta assieme ti chiedono come fai a vivere nella disumana capitale: la maggior parte dei locali ha abbandonato anche l’idea di una visita a Londra da diversi anni, la ritengono quasi una città straniera in mano alle banche e assicurazioni (che concetti provinciali…). Una giovane artista nata da quelle parti e con cui ho diviso fish&chips su una panchina di fronte al mare mi diceva invece che, nonostante le radici, sentiva il bisogno di scappare dalla mentalità ristretta del villaggio e provare a esprimersi in un ambiente più ampio e cosmopolita. Questo è il concetto (fra home e away) che ho tentato di esprimere anch’io nel mio ultimo libro fotografico «Overseas, Oltremare, Altrimari», che presento a febbraio a Londra all’Italian Bookshop di Ornella Tarantola, storica libraia italiana in terra d’Albione (date una occhiata all’articolo di Marco Mancassola su uno degli ultimi numeri del settimanale «Internazionale»).

Altro scampolo di fine anno: «Open 24/7, and it’s free- Hotel of Mum & Dad». 1 giovane su 5 continua a vivere a casa dei genitori fino all’età di 26 anni; la notizia nel Belpaese sarebbe una non-notizia, vista l’abbondanza dei mammoni italici, ma qui rappresenta il segno di una crisi degli alloggi e più in generale delle giovani generazioni britanniche di fronte al mercato del lavoro e delle retribuzioni, soprattutto a Londra, in Galles e East Anglia.

La sera della vigilia di natale si è chiusa l’ultima serie di «Downton Abbey». Non so in Italia, ma qui questa saga familiare ha prodotto innumerevoli analisi sociologiche e di costume per diversi anni (in Cina dicono sia stato un trionfo). In sintesi ha tentato di analizzare una famiglia nobile britannica per una decina di anni, fino al 1926 e i rapporti all’interno delle classi di quel periodo. Il collante sociale che teneva assieme il Regno Unito – e di cui ho scritto in una precedente lettera -gioca un ruolo vitale in tutti gli episodi della serie televisiva, con ogni personaggio compreso nel suo ruolo e consapevole della propria posizione nell’ingranaggio della società. Poi la crisi mondiale del 1929 e gli avvenimenti europei degli anni 30 avrebbero comportato alla lunga lo sfaldamento progressivo dell’Impero britannico. Gli amici inglesi a cui parlo di tutto ciò mi ricordano gli interlocutori austriaci di 10 anni fa a Vienna che rimpiangevano i fasti del loro Impero, con Trieste e Venezia ancora nel loro cuore malinconico. Gli inglesi, pragmatici, hanno costruito i paradisi fiscali nelle ex colonie e protettorati, per non nominare gli affari sporchi della City: a proposito, l’ultimo libro di Roberto Saviano è stato considerato da «Observer» il libro dell’anno e spero che avrà un ruolo nell’aprire alcune finestre sulle molte attività oscure della capitale (riciclaggio di denaro & Co).

Vi lascio qui, amiche e amici, cullato dalla «Great British Dream Factory» ovvero dalla fabbrica della immaginazione; è il titolo di un volumetto appena uscito di 688 pagine che tenta di far sognare i sudditi di Sua Maestà, e non solo loro: c’è sempre tempo per un risveglio…

La foto di questa lettera è stata scattata in Cornovaglia, nell’ottobre 2015.

 

 

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