Uruguay insostenibile

di David Lifodi

L’Uruguay ha deciso di investire nella logistica e, per farlo, ha scelto di procedere nel peggiore dei modi: costruire un gigantesco porto commerciale nel segno di quel piano di grandi opere denominato Iirsa (Iniciativa para la Integración de Infraestructura Regional Sudamericana) che sembrava un po’ appannato, ma che continua ad attrarre tutti i presidenti latinoamericani, anche quelli di centro-sinistra e sinistra.

Il presidente uruguayano José Mujica ha infatti puntato forte sul binomio investimenti e sviluppo. Il porto commerciale di Rocha, situato sulla costa atlantica, servirà per aumentare la produttività, la competitività e lo sviluppo del paese: spettatori interessati sono soprattutto i grandi del Mercosur (principalmente Brasile e Argentina) e le multinazionali leader in ambito navale, logistico, dei trasporti. Ai temi ambientali il presidente ed il suo governo, che rappresentano il paese sotto la bandiera del Frente Amplio, la coalizione di centrosinistra che vanta al suo interno anche ex tupamaros, tra cui lo stesso Mujica, non ha mai attribuito troppa importanza. A questo proposito tutti ricordano la controversia, durata otto anni, tra Montevideo e Buenos Aires, dovuta agli scarti di lavorazione prodotti dalla cartiera finlandese Botnia, la cui sede era a Fray Bentos (in Uruguay), e che raggiungevano la città argentina di Gualeguaychú, situata proprio al confine: per anni Mujica si è rifiutato di porre rimedio alla situazione fino al dialogo cominciato nel 2010, al pari del suo predecessore Tabaré Vazquez. L’attuale progetto, denominato Puerto de Aguas Profundas, esproprierà 2800 ettari di area incontaminata per far posto ad un gigantesco terminal che, secondo il Ministerio de Ordenamiento Territorial y Medio Ambiente, garantirà comunque il rispetto dei vincoli ambientali del territorio. A smentirlo ci hanno pensato i movimenti ambientalisti, che hanno sottolineato l’impatto devastante sull’ecosistema marino e gravi ripercussioni sulle comunità locali che vivono di pesca artigianale e turismo sostenibile. Sul Puerto de Aguas Profundas, per il quale si stima un costo di mille milioni di dollari, interverranno le imprese private con lauti finanziamenti. La sottosegretaria all’Ambiente, Raquel Lejtreger, garantisce che sarà prestata la massima attenzione affinché la zona turistica di Rocha, dove sono concentrate alcune delle aree protette del paese, sia separata dal porto, ma, come si usa dire in questi casi, la pezza sembra peggiore del buco. E’ lo stesso governo a sbandierare il progetto come un’opera pubblica che godrà di finanziamenti e gestione privata, tanto che il Puerto de Aguas Profundas passa come proyecto publico-privado (PPP): multinazionali latinoamericane, europee ed asiatiche specializzate nel campo della logistica già si leccano i baffi e si dichiarano pronte a firmare contratti di costruzione. La stessa commissione interministeriale del Puerto de Aguas Profundas ammette che con alcune imprese è già iniziato un proficuo scambio di dati per la costruzione del porto. Non solo. A breve, nel segno della Ley de Participación Público Privada, avrà inizio il cosiddetto “dialogo competitivo”, che servirà a valutare le offerte delle multinazionali e a scegliere quelle più vantaggiose. Le imprese che si aggiudicheranno l’asta avranno in carico la gestione e lo sfruttamento del Puerto de Aguas Profundas per trenta anni. E’ curioso notare come il piccolo Uruguay, in qualità di socio di minoranza del Mercosur rispetto ad un colosso come il Brasile, chieda e ottenga l’appoggio (interessato) del gigante dell’America Latina, in continua espansione economica e che certo non vuol essere tagliato fuori da un progetto del genere. Il Brasile, tra i principali promotori dell’Iirsa, un’idra a molteplici teste, vorrebbe sfruttare il Puerto de Aguas Profundas per trasportare i minerali attraverso l’Oceano Atlantico e già si è offerto per una cooperazione tecnica tramite il suo ministro dell’Industria, Fernando Pimentel. Inoltre, è sceso in gioco anche il Banco Nacional de Desarrollo Económico y Social (Bndes), che ha subito fiutato l’affare: garantirà i suoi finanziamenti per le opere ingegneristiche e, al tempo stesso, sosterrà economicamente le imprese brasiliane che potrebbero essere coinvolte nei distinti rami industriali del porto. A questo proposito, le relazioni economiche tra i due paesi sono divenute ancora più strette a seguito di un accordo di cooperazione per l’industria navale che permetterà all’Uruguay di svolgere un ruolo di primo piano nel finanziamento del settore logistico-navale-cantieristico brasiliano a partire dal marzo 2013. Quando il nuovo porto sarà a regime, il suo impatto ambientale sarà devastante non solo per la costruzione in quanto tale, con tutte le conseguenze che comporta, ma anche perché diventerà uno snodo di primo piano nel commercio del legname (spesso proveniente dalla deforestazione illegale  dell’Amazzonia), della soia (la cui monocoltura rappresenta una maledizione per i piccoli agricoltori dell’intero continente) e dei minerali. Proprio su quest’ultimo aspetto si concentrano maggiormente le proteste degli ambientalisti uruguayani: il Puerto de Aguas Profundas sarà utilizzato, infatti, per mettere in commercio i minerali provenienti da Cerro Chato, una delle più grandi miniere dell’America Latina, recentemente benedetta dai frenteamplistas: servirà per l’estrazione del ferro.

I progetti per uno sviluppo sostenibile rischiano di naufragare, in Uruguay come altrove, di fronte alla constatazione che quasi tutti i presidenti latinoamericani, indipendentemente dal loro indirizzo politico, sembrano aver intrapreso la strada dello sviluppismo: non sarà semplice cambiare rotta.

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