Usciamo dalla Guerra Fredda

Questo articolo è uscito su “Le monde” – http://www.lemonde.fr/idees/article/2011/02/18/sortons-de-la-guerre-froide_1481780_3232.html – a firma Alain Touraine, “sociologo”; ringrazio Dario Gaglione per avermene fornito la traduzione.

Il rimprovero fatto agli intellettuali di aver taciuto di fronte al sollevamento popolare in molti Paesi arabi, e in particolare in Tunisia ed in Egitto, deve essere rigettato prima di ogni altra cosa. Cosa desiderano coloro che lo esprimono? Dei libri o dei testi come quelli che hanno incensato Fidel Castro, Mao o Khomeini? Io diffido ancor più dei giudizi negativi sui sollevamenti attuali che posano su di un culturalismo anti-arabo ancora più inaccettabile che gli eccessi del terzo-mondismo. Non capisco come l’essere filosofo o scrittore debba dare il diritto o il dovere di dire qualsiasi cosa su qualunque tema, come se fosse un prelato dell’universalismo.

Ma se comincio esprimendo il mio malumore contro le pretese elitiste di qualche intellettuale francese, lo faccio per prendermi immediatamente dopo il rischio di dire io stesso perché credo che l’esperienza iraniana abbia oscurato il giudizio di molti. Gli intellettuali, piuttosto che “evocare dei precedenti”, devono cercare e incoraggiare tutto ciò che può rafforzare i movimenti di liberazione presenti in situazioni che possono evidentemente avere degli altri sbocchi e perfino ripiegare contro l’idea di libertà. Quello che bisogna aspettarsi dagli “intellettuali” è che essi interroghino, in nome di coloro che si preoccupano per la democrazia, gli specialisti, le cui conoscenze impediscono di commettere pesanti errori ma che non hanno certo tutte le risposte.

Ecco quindi la mia interrogazione che porta con se la volontà di fare luce sulle opportunità di liberazione che sono attivamente presenti negli avvenimenti che, come tutte le situazioni storiche di rottura, comportano moltissimi significati differenti e perfino contraddittori tra loro. Il nostro ruolo è di fare pressione, attraverso l’analisi, sugli avvenimenti per rinforzare quelli che portano in sé l’avvenire delle liberazioni e della democrazia e anche di fare pressione sui governi europei che danno oggi prova di una sfiducia partigiana contro i movimenti popolari.

L’idea dalla quale propongo di partire è che il mondo ha vissuto per mezzo secolo all’ombra di un conflitto internazionale, la Guerra Fredda e a volte calda, come in Corea o durante la crisi dei missili a Cuba, tra il campo americano e il campo sovietico. Gli europei, nella loro grande maggioranza almeno, si sono sentiti di appartenere al campo occidentale senza rinunciare alla critica e alla protesta. I movimenti intellettuali e sociali negli Stati Uniti e in Canada come in Europa occidentale sono stati rinforzati, durante questo periodo, dai movimenti popolari, nazionali e democratici dell’Europa sovietizzata, da Berlino a Gdansk, passando per Budapest, Poznan e Praga, senza dimenticare Mosca. Al secondo campo appartenevano Cuba e la sua zona d’influenza tanto che la Cina di Mao, cosa di cui bisogna avere il coraggio di ricordarsi.

LOTTA DI CLASSI

Durante questo lungo periodo, malgrado le nostre idee e preferenze, fu l’affrontamento tra l’Occidente, con i suoi egoismi e i suoi scandali, e il totalitarismo del mondo leninista che ha distrutto tutto. Nonostante il vocabolario più spesso utilizzato, i “problemi sociali” non hanno occupato che un posto secondario durante questo periodo. Cosa che io ho il diritto dire più di chiunque altro, avendo consacrato la gran parte della mia vita alla conoscenza delle dominazioni sociali e dei movimenti sociali che le combattono. Per tutto questo mezzo secolo, dappertutto si è pensato prima in termini di amici o nemici che nei termini della lotta di classe.

Questa realtà è stata massicciamente visibile nel mondo arabo e, ad esempio, in America Latina, e ancora oltre. Per due ragioni principali: la violenza della guerra condotta dalla Francia contro l’indipendenza algerina e il conflitto mortale tra Israele e i palestinesi combattenti per la creazione di uno Stato indipendente. Da nessuna parte i problemi sociali hanno dominato la scena politica. E’ quello di cui sono stati vittime i partiti social-democratici europei, accusati di essere prima di tutto alleati degli Stati Uniti, cosa che in effetti sono poi diventati più o meno in tutti i Paesi, soprattutto quando la minaccia sovietica era rilanciata da un Partito Comunista strettamente subordinato a Mosca. La “seconda” sinistra in Francia è stato prima di ogni altra cosa uno sforzo coraggioso ma molto minoritario per ridare priorità a degli obiettivi economici e sociali. Ed è chiaramente François Mitterand che ha vinto imponendo un programma uscito dal movimento comunista pur volendo togliere il primato a sinistra al Partito Comunista per darlo a quello Socialista, cosa che fu fatta, ma al prezzo della chiusura dentro una visione modellata dalla Guerra Fredda.

I nazionalismi arabi, sotto la guida di Nasser, si definiscono in primo luogo per il loro anti-imperialismo. Cosa inevitabile dopo la spedizione franco-britannica, appoggiata da Israele, nel 1956. L’Iran di Mossadek, appoggiato dal Partito Comunista, ben prima la presa del poter da parte di Khomeini, si definisce anche lui a partire dall’anti-imperialismo e l’anti-israelismo, così come l’Israele di Histadrouth e dei kibboutz è stato schiacciato da una politica che ha vinto nell’opinione pubblica perché appariva come una risposta ad una minaccia mortale.

Questa interpretazione si applica bene anche all’America Latina. Il movimento radicale delle donne, che si rifaceva alla teoria della dipendenza, ha condotto all’esaurimento dei movimenti sociali. La teoria della dipendenza era ispirata da Cuba e sostenuta dalla maggioranza degli intellettuali, in particolare a Buenos Aires. I movimenti sociali vennero poi rimpiazzati da guerriglie, prima contadine poi urbane, sempre più distaccate dal mondo e che dicevano agire in nome di quegli stessi movimenti.

Per un periodo, la quasi scomparsa del mondo sovietico ha portato al rafforzamento dei regimi autoritari nel mondo arabo come in America Latina. La Guerra Fredda avrebbe potuto essere rimpiazzata dallo scontro tra la Cina e gli Stati Uniti, ma, mentre il mondo sovietico aveva accordato da sempre la priorità alla politica sull’economia, la Cina ha scelto di fare il contrario. Il dollaro e lo yuan e i due Paesi sono legati dal legame tra paese debitore e paese creditore. Nulla fa escludere in futuro la possibilità di uno scontro più politico o anche militare tra le due più grandi potenze economiche del pianeta ma nel momento presente, malgrado la violenza della repressione in Cina, soprattutto dopo Tian’anmen, i problemi economici della Cina cominciano a trasformarsi in problemi sociali, le pressioni per lo sviluppo del mercato interno aumentano, cioè per aumentare i salari, cosa che, senza portare necessariamente ad una liberalizzazione del regime, ha aperto uno spazio meno ristretto di un tempo alle rivendicazioni ed alle attività culturali non controllate. Allo stesso modo in cui niente autorizza a parlare di una democrazia ineluttabile in Cina come conseguenza della crescita economica, possiamo affermare che i problemi e gli attori sociali hanno cominciato in quel paese, come in molti altri, a liberarsi dalle mobilitazioni che erano obbligatorie durante la Guerra Fredda.

Cosa che mi conduce a presentare la seguente ipotesi: la paura dell’islamismo, che ha raggiunto l’apice dopo l’11 Settembre 2001, e che si è diffusa nell’opinione pubblica in Europa sotto la forma di un’islamofobia che colpisce anche certi ambienti della sinistra, corrisponde sempre meno alla situazione attuale che da, al contrario, priorità alla difesa delle condizioni di vita e alle libertà della popolazione, schiacciata dall’autoritarismo che blocca lo sviluppo economico, dalla corruzione dei dirigenti civili e militari e dalla fuga degli intellettuali e degli ingegneri d’Egitto come di Haiti. E’ un fatto che i movimenti attuali siano partiti dalla strada e ancor prima dalle reti di bloggers e non certo dai partiti politici organizzati.

E’ un fatto che la rivendicazione più forte lanciata sia stata l’eliminazione di un dittatore e anche che i giovani diplomati, schiacciati dalla disoccupazione, abbiano giocato un ruolo essenziale nelle manifestazioni che si moltiplicano, come è stato già il caso in Algeria, paese del quale bisogna ricordarsi poiché è stato il primo a conoscere grandi movimenti popolari, anche se questi sono stati schiacciati dall’esercito. Si obietta con delle ragioni a questa idea che un movimento contro la dittatura, la corruzione e le ineguaglianze sociali non porti necessariamente in sé la democrazia come il grano porta la farina. In Tunisia, il disequilibrio tra un livello di educazione elevato e anche il rispetto dei diritti delle donne dopo Bourguiba e la situazione della gioventù in generale ha condotto al rovesciamento più facile che previsto di Ben Ali. Ma ciò è avvenuto anche perché quest’ultimo si appoggiava sulla polizia piuttosto che sull’esercito e che quest’altro è stato portato ad organizzare la partenza precipitosa del presidente tunisino.

Come tutti sottolineano, la situazione dell’Egitto è profondamente differente. Non solo per la grandezza del Paese ma a causa della forte organizzazione dei Fratelli Musulmani che controllano le organizzazioni professionali – avvocati, medici – così come le istituzioni caritatevoli; e ancora a causa del predominio del settore pubblico in un paese il cui prodotto nazionale è composto più di risorse provenienti dall’esterno – dalla gestione del canale di Suez, dai doni americani, dall’invio di soldi degli egiziani del Golfo, dal turismo – che di produzione interna, agricola o industriale. Disequilibrio che tende perfino ad aumentare come conseguenza dell’abbandono dei grandi progetti di sviluppo economico. L’esercito è stato costantemente al potere, da Nasser a Sadat e da questi a Mubarak, una gran parte del potere del quale è passata al vecchio capo del potente servizio di sicurezza interna. La congiunzione di un potere militare e di un potere religioso, che definisce il regime sciita iraniano, è un’altra possibilità in Egitto, malgrado le persecuzioni costanti esercitate dal regime militare contro i Fratelli Musulmani. Ma se è vero che nessuna soluzione è possibile senza l’accordo dell’esercito e l’accettazione dei Fratelli Musulmani, fatto che ha portato già all’eliminazione della giovane guardia del modernismo del regime, diretta da Gamal, il figlio di Mubarak che questi voleva come suo successore, niente dimostra fin dal principio che la sola soluzione verosimile sia quella iraniana. Non più, al contrario, che una soluzione alla turca, come quella gestita dall’AKP e Erdogan e che combina un’affermazione islamista con il mantenimento dell’eredità laica di Kemal Ataturk. E’ questa assenza di una tendenza chiaramente dominante che ha limitato l’azione dei manifestanti che non sono riusciti ad ottenere la partenza immediata di Mubarak ma l’hanno resa possibile e anche probabile; e la stessa assenza sembra aver animato Obama, per quanto molto più sensibile degli europei e, in particolare dei francesi, alla necessità della caduta di Mubarak, accettando che questi resti al potere durante il periodo di transizione che dovrebbe portare, al più tardi in settembre, alla sua eliminazione.

PRIMAVERA DEI POPOLI

Il fatto che i problemi sociali abbiano preparato la caduta della dittatura in Yemen e che l’avvenire della dittatura in Algeria sembri fragile, indicano non che stiamo assistendo alla “Primavera dei popoli” come nel 1848 in Europa centrale, ma ad un cambiamento generale di periodo storico. Nel nuovo periodo, già cominciato i problemi e le scelte interne si impongono sempre di più nella vita collettiva di tutti i paesi sulla logica degli scontri internazionali. Lo si è visto negli Stati Uniti con la vittoria di Barak Obama nel 2008.

Ma non basta dire che in questo periodo nuovo numerosi regimi autoritari andranno a rimpiazzare i vecchi e che sarà dell’Iran il ruolo dominante nella regione, attraverso l’intermediazione di Hezbollah in Libano e di Hamas nella zona di Gaza. I casi che ho citato ci ricordano che l’evoluzione della regione dipende anche e quasi prima di tutto dall’evoluzione di Israele e del problema palestinese. Israele e molti dei suoi amici americani ed europei hanno timore della caduta di Mubarak e dell’arrivo al potere dei Fratelli Musulmani, molto anti-islamici, che saranno rinforzati dai Salafiti che sono, in più, anche violenti anti-cristiani.

Ma possiamo interrogarci sulla natura di questa ostilità degli israeliani ai cambiamenti politici che si operano nella politica egiziana. Non è forse questo un esempio in ritardo del dominio dei problemi internazionali sui problemi interni? E Israele non ha forse esso stesso un interesse propriamente vitale a veder trionfare nella sua regione una logica di trasformazione sociale piuttosto che gli effetti di conflitti di rivalità internazionali dipinte coi colori nazionalisti? E’ facile comprendere la forza e la logica del rifiuto dell’esistenza dell’altro che dominano Israele come i suoi vicini e avversari; ma non è impossibile pensare che Israele possa essere a sua volta trascinato dalla nuova logica e comprendere che essa può meglio della logica anteriore permettergli di risolvere il problema che minaccia la sua esistenza. L’assenza di uno Stato palestinese non è forse la principale minaccia che pesa sull’esistenza di Israele? Ma può essere proprio là che si situano le più grandi difficoltà: in particolare, come ridare all’Autorità Palestinese, sempre più debole e contestata, la capacità di imporre una politica nazionale ad Hamas? Come convincere l’Iran che la coalizione diretta contro di lui limiterebbe la sua ostilità se sentisse diminuire prima di tutto le minacce che l’Iran fa pesare sull’esistenza di Israele?

E’ impossibile considerare che il bene è inevitabile e che le domande di giustizia sociale, e l’ostilità a governi e Stati corrotti e autoritari saranno soddisfati. Il pericolo di nuovi Stati autoritari, anche più repressivi che quello di Mubarak o di Ben Ali, è reale, ma i governi e le opinioni politiche in Occidente dovrebbero convincersi che non c’è qui nessuna fatalità e anche che la priorità data ai problemi sociali interni è in via di principio più favorevole alla democrazia che la priorità data agli scontri internazionali, in nome dei quali hanno prosperato tanti regimi autoritari, anti-occidentali o pro-occidentali, senza dimenticare il doppio gioco dell’Arabia Saudita. Esiste una arabofobia e una islamofobia europee che sono pericolose, non solamente in sé stesse ma perché queste nutrono politiche xenofobe di cui il Front National francese dona da tempo un sinistro esempio.

Non si deve chiedere agli intellettuali di parlare all’aria in nome dei valori universali perché queste non sono di loro proprietà. Ma bisogna domandare loro di definire e di difendere la causa della libertà che è anche quella della giustizia sociale. E mi sembra che i governi, come le opinioni pubbliche, si lascino troppo trasportare da un pessimismo ereditato dalla Guerra Fredda e dalle sue conseguenze. L’analisi deve condurci ad un giudizio prima di tutto positivo riguardo le sollevazioni in corso. Anche se il nostro ruolo non può che essere limitato, noi dobbiamo far contare tutto il peso delle nostre analisi e delle nostre scelte politiche per riconoscere la forte presenza di esigenza democratica nei sollevamenti popolari che fanno cadere le dittature nel mondo arabo.

La saggezza non è forse, aldilà di un’analisi seria degli avvenimenti, prenderci le nostre responsabilità, lottando contro le tendenze che, a tutti i livelli, rinforzano la sfiducia nei confronti dei movimenti popolari nel mondo arabo e nell’insieme del mondo musulmano. Il governo francese, in particolare, ha sostenuto fino all’ultimo momento Ben Ali e non ha dato appoggio al movimento egiziano. Questo silenzio non è neutro e inoltre ci fa correre un rischio reale rinforzando dei regimi autoritari che non possono essere combattuti e distrutti che da parte di coloro che sanno rifiutarli nel loro stesso principio.

Alain Touraine, sociologo – Traduzione italiana by Dario Gaglione

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