“Vado, giro, conosco…”. Le sette vite di Nanni Moretti

Fabio Troncarelli va controcorrente e non esita: “datemi retta. «Tre piani» è un bel film”.

«Tre piani, ma forse e bastava uno» (Antonio Pascale)… «Tre piani: perché per noi morettiani è il film più brutto di Nanni Moretti» (Francesco Prisco)… «Tre piani: Genere: filosofico-esistenziale. È il primo film di Moretti che nasce da un soggetto non originale (il romanzo di Eshkol Nevo, pubblicato da Neri Pozza) ed è anche quello dove non c’è una battuta, un’ombra di ironia» (Paolo Mereghetti)…

Potrei continuare con altre fregnacce di questo tipo, ma non voglio affliggere più di tanto chi sta leggendo. Mai come in questo momento ho sognato, ho bramato con tutta l’anima di fuggire da un’Italia sempre più scema, sempre più desolante. La stessa Italia capace di infiammarsi e suonare le trombe per qualunque straccio di “libertà civile” negata eppure sempre pronta a rimpiangere Mussolini e i suoi fratelli, senza dimenticare l’assoluta indifferenza con cui vengono accolte le immagini di figli di migranti annegati in mare o di chi muore sul lavoro, giorno dopo giorno. Un’Italia di deficienti che non si rendono conto di quanto è agghiacciante ciò che ci circonda. Moretti, come al solito, se n’è reso conto. E’ questo il lato originale del film: il suo sguardo, non il soggetto. «Convenzionale, vecchio, terribilmente serioso» (di nuovo Prisco ahimè!). Invece vuoi mette i firme co’ la macchina da presa che gira come ‘na trottola? Oppure quelli senza dialogo, co’ du’ sfigati che scrutano l’infinito de la Periferia romana e rimpiangono la Vitti che dice solenne «mi fanno male i capelli» in «Deserto rosso». Quella è robba forte: soprattutto originale.

Vi prego, datemi retta. «Tre piani» è un bel film.

Film atroce, su persone atroci. L’atrocità sta acquattata nella vita più banale come una tigre in un cespuglio. Nessuno è cattivo o squallido, anzi. Peccato però che finisca in un abisso, spaventoso, senza quasi accorgersene. Diventando un mostro. Mostro di egoismo, di vigliaccheria, di cinismo. Proprio questo passaggio, questo “trascolorare” (se mi è permesso il termine aulico) è la cosa più mostruosa di tutte. Un tempo Mister Hyde si impadroniva violentemente del Dottor Jekyll e noi eravamo terrorizzati. E pure quando il ragazzino timido di Psycho si trasformava in un assassino eravamo terrorizzati. Ci mancava il respiro per il salto mortale che ci capitava di vedere: per il capovolgimento assurdo di una realtà che sembrava buona o almeno innocua. Adesso nessun salto o capovolgimento. I mostri stanno lì e basta. Pasciuti e riveriti. Se non succede niente neppure ci fai caso. Ma se succede qualcosa loro si limitano a muoversi con l’abilità di un felino che sbrana la preda. Tutto qua.

Tutto qua? E vi pare poco? Il mondo in cui nessuno diceva “cose di sinistra” è diventato un mondo in cui nessuno dice e basta. Un mondo in cui si agisce senza pensare, senza sentire, senza capire. Quanto a provare pena, compassione, gioia… Roba da rottamare. E’ questa roba qui che è vecchia, altro che quello che scrivono i “morettiani” saccenti! Se uno vuole che l’autore sia solo la caricatura di sé stesso, se pensa che l’autore è un divo del calcio e vuole solo fare il tifo per lui, lanciando urli gutturali da minorato come quelli degli Ultras da stadio, beh allora, c’è poco da fare. Moretti delude i suoi tifosi da stadio, quelli che sanno solo ingozzarsi di frescacce, di scorpacciate di opere seriali, di sbraco, di ripetizione, di noia, di morte. Non c’è problema: ci pensa la tv a dar loro ogni sera ciò che Dio comanda (non scherzo): serial killer psicopatici sempre uguali; western all’italiana fatti a Manziana e si vede; vecchie stronzate con Edwige Fenech o Sissi l’Imperatrice a scelta … e via omologando. Per voi omologati non c’è redenzione. Per chi invece ancora pensa, dolorosamente, fa ancora impressione vedere come ci siamo ridotti. Impressiona che si metta in discussione un regista affermato, che – per pigrizia – potrebbe fare sempre la stessa comparsata e avere un successo da guitto garantito, come certi comici popolarissimi che una volta erano una forza della natura e oggi sono diventati una farsa della natura.

Moretti è stato molto coraggioso: ha rinunciato al birignao, francamente insopportabile in molti casi, e ha confessato candidamente di essere un adulto, di provare sofferenza, sgomento, terrore. Lo stesso che gli faceva dire: «con queste facce non vinceremo mai», di fronte a sedicenti uomini di sinistra. Lo stesso che gli faceva gridare «le parole sono importanti!» di fronte al vaniloquio e alla fiera delle vanità di un Paese devastato dai dibbbbattiti pieni di vuoto.

Sì, Nanni, hai fatto bene a rischiare: ad andartene da solo, verso il deserto, come l’eremita che sei sempre stato, mormorando: «Fuggiamo da questa prigione… Udremo le novelle del mondo dalla bocca di poveri vagabondi: e anche noi converseremo con loro, di chi perde e di chi vince, di chi è dentro e di chi resta fuori, e ci dedicheremo al mistero delle cose, come se fossimo le spie di Dio. E così, tra le mura di questa prigione, cancelleremo dalla memoria ogni cosa» (William Shakespeare, «Re Lear», V, II). Però non sei solo, Nanni, come sembra. Intorno a te ci sono attori magnifici, che buttano a mare la reputazione e ti seguono nel deserto: Margherita Buy che ha rinunciato alla sua recitazione tradizionale per divenire uno strumento fra le tue mani; Alba Rorwacher che si piega come un giunco, flessibile solo per te; e tutti gli altri, bravissimi – inutile nominarli uno per uno – che ti seguono con l’inconscienza ardente con cui Frate Ginepro seguiva san Francesco. E ti seguiamo noi, «della razza di chi rimane a terra» come direbbe Montale. Noi fragili e smarriti per la desolazione che ci circonda; noi che riusciamo ancora a conservare un filo di speranza, se qualcuno ha il coraggio di dire che il re è nudo, anzi che siamo tutti nudi, che tremiamo e non per il freddo, ma non ce n’eravamo accorti.

 

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