«Vai tu…..nel bidone»
Ieri (Germania) e oggi (Mediterraneo): una storia comune
di Domenico Stimolo
E’ la traduzione di un’espressione in dialetto barese (difficilmente riproducibile nella veste originale) rimasta celebre tra chi è reduce come “collettivo” della comune esperienza tedesca consumatasi fra il ’67 e il ’68 del secolo scorso.
Un gruppo di giovanissimi – tra i 18 e 22 anni – emigrati in un luogo “speciale” della Germania del sud, quasi ai confini con la Francia. Un sito-aeroporto battente bandiera “stelle a strisce”. Provenivano da tante regioni italiane, del sud-centro-nord, alle dipendenze di un’azienda tedesca che svolgeva servizi di manutenzione. In diversi, poiché diplomati periti industriali, svolgevano lavoro nelle attività più tecnologiche. La cittadella vicina aveva vestige totalmente moderne. Infatti, il paese, era stato quasi interamente distrutto dalle conseguenze della guerra scatenata dai nazifascisti.
Erano ancora i tempi delle necessità primarie più spietate, a partire dall’esigenza del cibo (non sono mai finiti, specie per le popolazioni del Sud, poiché l’emigrazione continua sempre) e del “Tutti dicono Germania-Germania” – un libro edito nel 1975 – come riportato magistralmente dallo scrittore poeta siciliano di Delia-Caltanissetta Stefano Vilardo. Ci sono le testimonianze, le traversie e le speranze di un nutrito gruppo di siciliani di Delia, emigrati. A centinaia di migliaia lasciarono la Sicilia verso la nuova Repubblica Federale. Furono milioni, circa quattro, a partire dal 1946, fuggiti da tutt’Italia, devastata dalla guerra e dalla fame plurisecolare. Sempre più, irregolari e regolari, dopo l’accordo stipulato dai governi italo-tedeschi nel dicembre del 1955.
Nel grande sito militare-civile stazionavano migliaia di persone, in gran parte statunitensi. C’erano anche i polacchi, un nutrito gruppo di ex militari, aggregati all’esercito Alleato durante la guerra, poi collocati in Germania con funzioni ausiliarie.
Sparsi nelle varie aree erano collocati enormi contenitori per la spazzatura, assai lunghi e alti almeno 2 metri e mezzo. Come già in atto nelle migliori tradizioni americane veniva buttato il tutto più variegato, molte cose erano considerate ancora nuove e quindi riciclabili. Un italiano, non più giovane, proveniente dalla provincia di Bari – aveva lasciato la moglie e sei figli – svolgeva lavori di tipo manuale, per sopperire alle necessità della famiglia, in aggiunta al magro salario: periodicamente si calava nei bidoni, recuperando indumenti di vario genere e pezzi di arredamento o di comune utilità. I capi, dopo essere stati lavati e stirati, li vendeva ai lavoratori emigrati. Un’attività molto faticosa, umiliante e imbrattante, sottoposta alle eventuali dinamiche del caso: in parecchie occasioni diversi “buontemponi” chiudevano i coperchi ed erano dolori per uscire. Fissava lui il prezzo, non faceva sconti. A chi chiedeva di abbassare il costo lui rispondeva: “vai tu nel bidone, io mi calo per dare più cibo ai miei bambini”.
La necessità dei poveri e dei fuggiaschi è sempre virtù di vita e di insegnamento! Per i buoni e per gli ingrati che ripudiano la propria componente naturale.
I “pezzi” stipati e laceri che riempiono gli odierni “bidoni” sono costituiti da esseri umani, composti quindi da carne, ossa, cervelli e sentimenti.
Rifugiati migranti che nel percorso finale della propria odissea trovano posto nelle barche dell’attraversamento marino, pagando con preziosissime risorse, data la grande esiguità, per la propria vita. Come già verificatosi in numerosi eventi storici che hanno riguardato e riguardano la fuga di rifugiati non esistono altre “normali” e pacifiche vie alternative. Sono vietate dalle barbarie incalzanti, in Italia, in Europa e in tutte le cosiddette società “avanzate”, protese a impedire l’uso delle regole democratiche, dell’accoglienza e della solidarietà.
I muri divisionali stanno prepotentemente ritornando alla ribalta. Le barche-bidoni affondano silenziose, trascinando nel sottofondo marino il carico umano. Sono gli affogati, a decine di migliaia, che, come accaduto negli ultimi anni, nei Paesi ricchi causa lo sfruttamento altrui, si vuole fare passare inosservati. E’ la violenza, truce e atroce, che ritorna.
Chi, in veste istituzionale o in abiti da “cittadino”, dimentichi i fondamentali valori civili e democratici conquistati in Italia e in Europa a seguito della sconfitta delle bande nere, rinnegando i tanti italiani stipati per tant’anni nei treni e nei vapori con gli enormi valigioni in mano (contenenti tutti gli effetti personali) vorrebbe lasciare marcire sulle barche e sulle navi di soccorso i salvati dall’annegamento, ha un solo modo per provare il “viaggio” e le ragioni della fuga………. “vai tu nel bidone, traditore della nostra comune Storia”!
In questa fase molto difficile rimette ordine con grande diligenza una bella poesia di IGNAZIO BUTTITTA ( cantore lirico siciliano, 19 settembre 1899 – 5 aprile 1997. Da “ Ignazio Buttitta, il poeta in piazza” – ed. Feltrinelli 1974
“ A un fascista che ha preteso la dedica”
I viziusi sònnanu fimmini nudi
i mbriacuna vutti e cantini
l’usurai i dinari
i bizzòcculi u paradisu
l’artisti l’alloru
i cani ossa di spurpari
i scecchi pagghia e fenu
i porci sònnanu fangu
e i fascisti morti e sangu
traduzione per gli innamorati della lingua italiana
I viziosi sognano donne nude
gli ubriaconi botti e cantine
gli usurai i denari
le beghine il paradiso
gli artisti l’alloro
i cani ossi da spolpare
gli asini paglia e fieno
i porci sognano fango
e i fascisti morti e sangue