[Valsusa 03 luglio 2011] – Tre diari dal corteo

Sono cresciuto tra i boschi, da bambini ci costruivamo le capanne, raccoglievamo le more, le castagne, i funghi e giocavamo alla guerra tra tedeschi e partigiani. Il bosco e’ per me un luogo di ricordi infantili. Il 3 luglio 2011, in Valsusa, il bosco si e’ trasformato in luogo di battaglia. Ho chiesto a tre persone che hanno partecipato insieme alla manifestazione ufficiale di scrivere una pagina di diario, un ricordo, come quelli dell’infanzia. Sono incollati qui sotto.

Una giornata da non dimenticare

Nella seconda guerra mondiali gli aeri tedeschi che sorvolavano Parigi provocavano un grande terrore alla popolazione, anche quando non buttavano neanche una bomba. Domenica scorsa, l’elicottero della polizia controlla a bassa quota ogni movimento dei manifestanti. E lo faceva sopratutto in vicinanza alla centrale idroelettrica di Chiomonte, dove si è registrata la più assurda repressione.

Da una parte, molti manifestanti possedevano come un’arma la mascherina; altri, invece, avevano solo un fazzoletto per coprirsi. Dall’altra, un numero non piccolo di partecipanti in sedie a rotele, bambini di non più di tre anni, anziani e gente comune, allontanano all’inizio della concentrazione, almeno nella teoria, la possibilità di una dura repressione.

Arriva Beppe Grillo; “Siete voi gli eroi”,urla. Ricorda un collegamento fra la Mondadori e il gruppo De Benedetti. Come tanti manifestanti e manifesti, non riconosce la distinzione fra “destra e sinistra”. Il Partito democratico e il ministro Maroni sono, forse, i principali bersagli. La folla festeggia Grillo ad ogni secondo. Era chiaro: i “grillini” che portavano le magliette e le bandiere delle cinque stelle, erano probabilmente il gruppo più numeroso davanti all’ingresso della centrale.

Subito dopo il discorso del comico, alcuni manifestanti iniziano a buttare giu’ un cancello, con l’aiuto di una corda. Era a circa 50 metri da un altro cancello, dietro il quale si trovava la polizia. Una forte tensione è nell’aria. E subito dopo anziché respirare nervosismo si iniziò ad aspirare i vietati gas lacrimogeni CS.

Era l’inizio della barbarie. I gas lacrimogeni CS, che chiunque temeva per gli effetti cancerogeni e di modifica del DNA, vengono buttati sulle persone più pacifiche e anche lontano dalla porta.

Uno è caduto a due metri da dove ero io. Poi, mentre fuggivo dai gas poiché non avevo nessuna mascherina, un automobilista si è offerto di accompagnarmi più lontano. Era un vigile del fuoco appena entrato in pensione.

  • “Cosa vuole, questa è la democrazia in Italia”
  • “Democrazia?
  • Bhé, sì, è un modo di dire. Io mi chiedo cosa avrei fatto se fossi ancora al lavoro. Ahimè noi abbiamo l’obbligo di eseguire gli ordini. Altrimenti ci aprono un sommario, col rischio di licenziamento.

Poi, al forte di Exilles, arrivavano i manifestanti in continuazione. C’era una fonte d’acqua che calmava la sete a chiunque. E anche voglia di sfogarsi. Un militante dei centri sociali di Bologna va pochi minuti indietro con la memoria e ricorda: “Se passavano un certo limite, gli sbirri sapevano che piovevano sassi. Cosa vuoi? O è la tua vita o è la mia”.

Il sole iniziava ad avere un po’ di pietà per tutti e una giornata difficile stava avvicinandosi alla fine. Nessun manifestante la dimenticherà. Nessun italiano la dovrebbe dimenticare.

Segnali di fumo

Hanno abbattuto Asterix e sono accorsi gli indiani ad assediare Fort Apache.

E per comunicare a disposizione c’era un nuovo e antico strumento, a tempo reale e di alta tecnologia come internet, ma fatto di corpi, sudore e fatica. Segnali di fumo lacrimogeno. Un codice un po’ organico e un po’ tecnologico semplicissimo, si ascolta, si guarda e si conta. Un botto più o meno distante, uno sbuffo che diventa nuvola e si disperde nella valle e un ritmo. Il botto per dirigere la testa nella direzione giusta, la nuvola-scìa a indicare il punto esatto in cui guardare, una sequenza più o meno ravvicinata del segnale per testimoniare la gravità della situazione. Segnali di un fumo, bianco, denso, polveroso.. tossico, cancerogeno, mutageno, un’arma chimica vietata dalle convenzioni che valgono in guerra.

Ma domenica non era una guerra, era un assedio. Perfettamente riuscito. Gli assedianti hanno assediato e gli assediati erano chiusi nel loro forte, forti solo del loro gas che fa piangere. Anche loro facevano piangere. Invasori irresponsabili, indesiderati, invitati ad andarsene. Domenica Asterix non era solo, con lui c’erano molte tribù, provenienti da territori diversi ma ugualmente umiliati e minacciati, mosse come un tutt’uno dalla stessa determinazione, dichiarata ma capace di creare una silenziosa coordinazione delle parti, partigiani. Indiani. Un assedio per difendersi e difendere il territorio da un’indebita spartizione del tesoro che fa veramente di tutte le regioni un’unica penisola, e annesse isole, depredata. Per fermare l’offesa a un ambiente che dalle sue ferite rilascia veleni, come l’amianto e che piangerebbe sì allora come il Mugello, ogni suo torrente, ogni sua fonte, ogni sua falda.

Nella parte del corteo alla centrale di Chiomonte, dopo ore di resistenza a quel gas assassino, quasi come assuefatti, ad ogni età, di ogni colore, ci si scambiava solidarietà, saperi pratici, mani di carne e ossa, voci soffocate ma rassicuranti, forti gli uni di ogni altro. Ognuno come poteva. A ognuno secondo bisogno. Tutti, in ogni punto dell’assedio, a difendere la stessa terra e con essa la possibilità di viverci e di viverla con amore, innanzi tutto. Perché se non è mafioso l’interesse a quel cantiere è chiaramente mafiosa la sua impronta, senza amore. La cattedrale nel deserto. Eccola qui, un cantiere-fortino in una valle strettissima avvelenata di gas e polvere chimici, tossici. Una popolazione e il suo territorio disprezzati. Territorio di riserve di profitto, senza diritti e senza doveri. Banditi gli abitanti, che abitanti non son più da vent’anni, erano ignoranti montanari nemici del progresso prima, ora sono black bloc, ignoranti nemici del progresso comunque.

Sostanzialmente perché non sono. Non sono previsti. Non esistono. Non solo questi valligiani dimostrano di esistere ogni volta che si provi a negarne l’esistenza, ma una volta ancora il loro segnale di fumo è stato accolto, con coraggio e generosità, in tante altre terre disprezzate. Un abbraccio tra i tantissimi accorsi che si è stretto soffocando per una giornata la prepotenza. Ed è ancora NO. No Tav!

Se apre il cantiere perdiamo tutti

Ero nel corteo partito dal forte di Exiles, dopo esserci incontrati con la manifestazione che saliva da Chiomonte siamo scesi verso la centrale elettrica, dove esisteva l’ingresso alla Libera Repubblica della Maddalena.

Ci sono andato perché riconosco che il movimento NoTAV della Valsusa da oltre 20 anni combatte, non per rifiutare un’opera nel proprio giardino, combatte per tutti noi, per gli interessi di tutti. Ci sono andato perché a volte fa bene sentire che altri ti sono vicini e loro in questo momento ne hanno bisogno. Ci siamo andati in tanti. Ci accoglievano e ci spiegavano la situazione. Ogni due persone veniva distribuita una mappa. Si sa, noi arriviamo dalla città e potremmo perderci. Vero, ma noi, appunto, arriviamo dalla città: sappiamo leggere uno stradario non la mappa delle montagne! Perplessi ce la giriamo tra le mani. Poi ci spiegano il percorso del corteo ufficiale e danno alcuni avvertimenti: non si può impedire a nessuno di andare per i boschi ma attenzione perché bisogna seguire i sentieri e avere un’adeguata attrezzatura, almeno degli scarponi, e’ montagna. Poi, se uno prende i boschi sappia che non fa parte della manifestazione e’ una sua scelta di cui si assume le responsabilità, sicuramente verrà ricoperto di lacrimogeni perché nei boschi c’è la barriera del cantiere.

Si parte, si batte sul guardrail ritmando, si urla, insomma vogliamo far sentire che stiamo arrivando. Ma cosa succede a chi ha preso il bosco e a quelli che hanno scelto la loro montagna (oltre ad essere attrezzati bisogna anche saper andare in montagna per fare quel percorso) per assediare il cantiere? Twitter, Radio Black Out, le notizie arrivano. Ma ben presto non serve nemmeno accendere twitter, non si vede nulla e non si sente nulla ma la bocca inizia a riempirsi di un sapore metallico, lacrimogeni. Non li tirano qui, non si sente nemmeno il rumore, ne devono tirare davvero tanti se la bocca sa di metallo.

All’arrivo dopo un po’ i bambini e i soggetti più esposti a rischi respiratori e cardiaci (buon dio, ma e’ possibile che dei cittadini debbano ragionare cosi’?) lasciano il corteo, c’è il presentimento che qualcosa stia per succedere quando i Carabinieri indossano le maschere antigas. I Carabinieri sono in fondo, dietro un robusto cancello verde, occupano la strada con stretti cordoni per tutta la larghezza, dal muro di cinta al muro della centrale, dietro hanno una barriera di furgoni della polizia che ne blocca la fuga, schierati con una strategia medioevale.

La barriera innalzata dalla polizia dopo lo sgombero del 27 giugno viene giù, come il Muro di Berlino, iniziano i lanci di lacrimogeni CS, si cerca di mantenere la calma, siamo in molti, proprio tanti, potremmo farci male da soli scappando, ci si allontana in ordine, camminando. Chi passa un limone tagliato, chi si sciacqua con acqua e malox (acquistate le sue azioni, saliranno), chi solo con acqua. Ci si copre la bocca con quel che si ha e si torna giù, senza parlarne, cosi, spontaneamente, abbiamo ragione noi e loro hanno torto, noi si torna giù. Arrivano altri lacrimogeni, ci si allontana camminando,…. cosi per ore, turnandosi perché l’aria era davvero micidiale. Alla fine tutta la gola in cui ci troviamo e’ sovrastata dalla nebbia di questi gas, armi chimiche lanciate in bombe a grappolo, proprio bombe a grappolo: cadeva a terra il contenitore e partivano bombette piccole. Ci hanno fatto la guerra.

Non so tutto quello che e’ successo, nemmeno tutto quello che e’ successo dove ero io, so quello che sono riuscito a vedere tra fumo e lacrime, so quello che sono riuscito a sentire tra botti di lacrimogeni e battute sul guardrail. So quello che ho sentito da chi condivideva con me quella situazione e ci si incrociava mentre si riprendeva fiato. So che avevamo ragione noi, so che i NoTAV hanno ragione e se quel cantiere parte allora vince chi ha torto e perdiamo tutti noi.

Rom Vunner

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