Vasiljev, poeta dell’espressionismo europeo

E’ stato un grande dell’espressionismo serbo ed europeo, contemporaneo dei principali rappresentanti dell’avanguardia serba: Miloš Crnjanski, Rastko Petrović, Stanislav Vinaver. Un ritratto del poeta Dušan Vasiljev, a 90 anni dalla morte

di Božidar Stanišić (*)

 

Vasiljev, poeta dell’espressionismo europeo

La poesia di Dušan Vasiljev (1900-1924) «Un uomo canta dopo la guerra» è stata pubblicata per la prima volta nel giornale letterario di Belgrado «Misao» (pensiero) nel 1920. Il suo senso universale è stato in particolare colto da quella minoranza di jugoslavi che si è opposta alla guerra fratricida del 1991-95.

Il grande attore Bekim Fehmiu una volta rispose alle domande che gli ponevano i giornalisti proprio recitando questa poesia, invece di usare le proprie parole (così possiamo dire che la poesia, almeno a volte, ha il suo uso pratico: «non vi è chiaro qualcosa sulla guerra? Non chiedetelo a me, leggete Vasiljev!»).

Per permette al lettore italiano di percepire la densità del significato e la particolarità del ritmo di questa poesia, ho chiesto ad Alice Parmeggiani di tradurla.

Un uomo canta dopo la guerra

Col sangue alle ginocchia ho camminato

E sogni non ho più.

Mia sorella si è venduta

E la bianca chioma a mia madre hanno tagliato.

E in questo torbido mare di lussuria e melma

Io non chiedo un bottino:

Oh, io di aria ho sete! E di latte!

E di bianca rugiada del mattino!

Col sangue alle ginocchia io ridevo,

E non chiedevo: perché?

Nemico giurato mio fratello chiamavo,

E esultando nel buio all’attacco mi scagliavo,

Quando al diavolo va Dio, e l’uomo, e la trincea!

Ma oggi osservo tranquillo il lebbroso bottegaio

Che abbraccia la mia donna amata,

E il tetto dalla testa via mi strappa;

E volontà non ho – o forza – di vendetta.

Fino a ieri io docile la testa chinavo

E la vergogna con rabbia baciavo.

E fino a ieri la vera sorte mia non conoscevo –

Ma oggi la conosco!

Oh, ma io sono un Uomo! Un Uomo!

Non mi duole di aver camminato col sangue alle ginocchia

E di essere sopravvissuto ai rossi anni di macello,

Per questa sacra consapevolezza

Che mi ha portato la rovina.

E io non chiedo un bottino:

Oh, datemi solo ancora un pugno d’aria

E un po’ di bianca rugiada del mattino –

Il resto a voi, alla salute!

Gioventù, guerra, poesia

Dušan Vasiljev

Dušan Vasiljev

Tre anni prima della pubblicazione di questa poesia contro la guerra, Vasiljev desiderava ardentemente andare al fronte. Se per esempio ritornassimo alle pagine dell’opera di Zweig «Il mondo di ieri» – che documenta l’entusiasmo delle masse per la guerra in Europa – ci renderemmo conto che il desiderio del giovane poeta non era così paradossale.

La sua richiesta di essere ammesso nell’esercito austroungarico fu respinta prima a Timișoara, e poi nella natale Kikinda. Nemmeno il potere militare a Segedino (Szeged) accolse la richiesta di questo giovane del Banato, desideroso di andare al fronte per impressionare la ragazza di cui si era innamorato.

A questa motivazione, nelle sue memorie su Vasiljev, il fratello Spasoje aggiunse anche il desiderio del poeta di ottenere più facilmente il diploma magistrale e di allontanarsi dalla severità del padre. «Stranamente si precipitava in quella direzione, là da dove la gente cercava di salvarsi spaccandosi da sé braccia e gambe e auto avvelenandosi». Le parole del fratello confermano anche un’accesa ira di Dušan, in una lettera a un amico: «Quindi, sono andato per niente e ho speso del denaro. Ovunque mi hanno deriso, che vadano a farsi fottere! Adesso torno a casa!».

Il giovane Vasiljev voleva andare al fronte anche se la famiglia numerosa dipendeva dal suo lavoro. Kosta, il padre, era stato richiamato appena emessa la dichiarazione di guerra. Dušan, studente del liceo magistrale di Timișoara, dopo le lezioni non si lasciava scappare alcun lavoro. Distribuiva farina, lavava carrozze nell’acqua gelata del fiume Begej, scriveva lettere per le famiglie dei soldati al fronte, lavoricchiava come scrivano nell’ufficio delle imposte…

Vasiljev per la realizzazione del suo intento non dovette attendere molto. Carlo I d’Austria, erede dello zar Francesco Giuseppe, anche se cercò di ottenere la fine della guerra, rimase cedevole rispetto ai piani dei suoi falchi generali. Perciò al fronte dovettero andare anche i minorenni dell’Impero agonizzante. Nel marzo 1918, dopo l’esame di maturità, anche Vasiljev fu quindi mandato sul fiume Piave, un fronte lungo 220 chilometri. Nell’inferno di quel fronte erano già morti o scomparsi o rimasti invalidi molti suoi compaesani. Quel fronte fu il suo viaggio a Damasco: conoscenza della realtà che, come nella sua poesia «Al buio» (U mraku), è «Gemito che regna sulla collina / bombe e camion e parole d’ordine».

Nella realtà della guerra dove visse la metamorfosi delle sue vedute sul mondo e sull’uomo, il nemico diventerà per Vasiljev un fratello e un’anima affine. La tragedia dell’Europa umiliata dalla guerra suscitò al poeta il senso di Verità e Giustizia. Drammatico nella sua sincerità, nella poesia «Il giorno del pentimento» (Dan kajanj), il suo lamento per il destino di milioni persone: «Ho pianto per ogni goccia di sangue/che l’Uomo ha versato».

Il ritorno dalla guerra, gli ultimi giorni

Dal grande macello europeo Vasiljev, uno dei 7.800.000 soldati della monarchia dei quali soltanto 780.000 sopravvissero, tornò a Timișoara. La città apparteneva temporaneamente a uno nuovo Stato, il Regno di serbi, croati e sloveni. Nonostante la malaria e la tubercolosi che lo affliggevano, Vasiljev fondò giornali letterari e scrisse in modo intenso.

Agli occhi di chi tornava dalla guerra non sfuggì la disuguaglianza sociale che si era creata. Nel 1920, quando ormai Timișoara apparteneva alla Romania, Vasiljev partì per Belgrado. Voleva studiare alla facoltà di Filosofia ed entrare nel mondo letterario, ma Belgrado, «il colosso di pietra, non bada al mio arrivo». Per il giovane Vasiljev là non c’era né lavoro, né studi, né una fissa dimora.

Tuttavia non smise di scrivere. Riuscì comunque a portare l’attenzione sulla sua parola poetica, proprio con la poesia «Un uomo canta dopo la guerra» che – insieme al «Pianto della Madre dell’Uomo» (Plač Matere Čovekove) – sarà poi inserita in tutte le antologie importanti della moderna poesia jugoslava e serba.

Per la tubercolosi i dottori gli consigliarono la tranquillità di un piccolo villaggio. Lo stesso anno, 1920, gli sarà data la cattedra di maestro a Čenej, sulla frontiera jugoslavo-romena. Là vivrà la felicità matrimoniale, anche se di breve durata: lo chiamarono come riservista nell’esercito. Dopo un periodo in Macedonia giunse una nuova chiamata alle armi: Pančevo. Questo periodo fu segnato da un altro dramma: la nuova frontiera con la Romania separò Vasiljev dalla moglie Milojka Maletić, che rimase a Čenej.

Né il poeta, che ritornò a Kikinda, né sua moglie avevano il passaporto. La situazione di salute di Vasiljev peggiorava, le sue poesie erano ombreggiate da tetri presentimenti. Kosta, il padre del poeta, il 27 marzo 1924 inviò a Čenej un telegramma sulla morte del proprio figlio. Ma la vedova non poteva attraversare quella frontiera.

Stamattina cadeva la prima neve,

silenziosa e triste come il carro funebre

quando porta qualcuno all’ultimo viaggio.

E l’anima mia, vuota e nuda,

tremava come una foglia.

Questi, come la maggior parte dei versi delle sue 300 poesie, Vasiljev non li pubblicò mentre era in vita. Nemmeno i quattro drammi, né la ventina di novelle. Dovettero passare otto anni dalla sua morte prima che apparisse il primo libretto di “poesie scelte di D. Vasiljev”. La maggior parte della sua eredità letteraria si trova ora a Belgrado nella Biblioteca nazionale della Serbia.

Vasiljev scelse l’espressionismo e la rima libera perché, ovviamente, gli serviva un respiro più ampio per il suo cosmopolitismo, il suo mondo senza Dio e per far emergere i paradossi della Storia. Sul suo «Uomo universale» ai tempi si espresse Rade Konstantinović: «Vasiljev, il primo nella cultura serba dopo il 1919, pubblicò quest’Uomo, con un linguaggio la cui vitale autenticità è senza rimproveri, e il suo merito in ciò è imprescindibile».

Oggi – ma non solo per il centenario (100 anni dall’inizio della Grande Guerra e 90 dalla morte del poeta) – dovremmo parlare di Vasiljev soprattutto come di un poeta europeo.

(*) ripreso da «Osservatorio Balcani Caucaso» del 10 luglio 2014

 

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