Vatican Poverty. Reportage e fotogallery

Gianluca Cicinelli con foto di Ugo Zuffardi per Diogene

foto di Ugo Zuffardi

Da lungo tempo avevamo in mente con il fotografo Ugo Zuffardi di fare questo piccolo cammino nella città dolente, quella parte di Roma che le luci e i lustrini del turismo di massa, che invade la capitale ogni giorno, nasconde sotto il tappeto rosso dell’antichità e dell’arte immortale.

Di buono non c’è proprio niente in questa città ed è esattamente quello che vogliamo raccontare. Il motivo per cui parto dal racconto di come è nato questo mini reportage, è che nel metodo con cui stabiliamo di raccontare giornalisticamente la povertà estrema c’è la sostanza di quel che si racconta. A cominciare dalla decisione di non riprendere mai la faccia delle persone con cui parliamo.

Quando ci vediamo, Ugo è fresco reduce dai alcuni tentativi di fotografare un’altra realtà degradata, quella che ruota intorno alla stazione Termini e al quartiere Esquilino. Tentativi in parte riusciti e in parte ferocemente contrastati da alcuni senzatetto, anche in modo, usiamo un eufemismo, “diversamente pacifico”, nonostante gli accordi presi in precedenza con chi ruota tra volontariato e assistenza in questo mondo proprio per evitare di essere considerati come arroganti invasori dell’intimità altrui.

Il motivo di un certo bellicismo dei senzatetto verso lo sciacallaggio giornalistico tornerà spesso anche in questo racconto meno movimentato, che avviene in una situazione dove è la stessa natura del territorio che battiamo a fare da cuscinetto ed evitarci problemi. Due nomi di due testate ci vengono fatti costantemente dai più reticenti a parlare con noi. Un servizio realizzato da un giornale online e un altro da uno youtuber sponsorizzato. Ci viene riportato che nonostante le promesse di non registrare i volti sono stati comunque ripresi e mandati in onda. Una storia che ci è stata raccontata almeno una decina di volte dalle persone che abbiamo incontrato e che quindi non possiamo ignorare.

C’incontriamo con Ugo alla fermata della metro di Ottaviano. E’ Roma nord, confina con il Vaticano, il quartiere si chiama “Prati”, un tempo era il salotto buono della borghesia impiegatizia romana. Oggi è “degradato”, termine che indica il passaggio a un grado inferiore di civiltà, sarebbe più esatto definirlo “declassato”, ovvero passato a una classe sociale “inferiore”, che fa scendere il valore degli immobili, fa aumentare la presenza di “rifiuti” per strada. Ma chi usa questi termini quando parla di “rifiuti” si riferisce principalmente a esseri umani che tutti rifiutano, anche se quasi nessuno è disposto ad affermarlo a volto scoperto.

Persone di cui non importa più nulla se non per la vista che oscurano, le conseguenze che portano i loro accampamenti, i materassi, le coperte, un carrello della spesa che contiene tutti gli effetti personali della vita all’aperto. Ci sono le tende ma non è un campeggio, ci sono le coperte ma fa freddo lo stesso di notte. Siccome qui a Diogene non ci piace la retorica mi fermo qua nell’illustrare una condizione che si continua a voler affrontare come ordine pubblico anzichè problema sociale.

Abbiamo percorso tutta la zona che porta da piazza Risorgimento all’area vaticana, che ha come vie di confine, comprendendo piazza S.Pietro al suo interno, via delle Vaschette a nord, e via di Porta Cavalleggeri a sud, collegata dal sottopasso tra via delle Fornaci a piazza del Sant’Uffizio.

All’inizio troviamo un gruppo di cinque senzatetto tra cui Martin, un signore della Repubblica Ceca, “cecoslovacco” si definisce però, in onore alla vecchia patria quando era unita, che parla un buon italiano. E’ disponibile a fare quattro chiacchiere, non ha problemi a spiegare che trascorre la giornata, facendo da portavoce anche per i suoi amici, a raccattare qualche soldo per mangiare ma soprattutto per fare rifornimento di vodka, da consumare la sera per addormentarsi pesantemente, ignorando le decine di persone che gli passano accanto. Il problema è che molte delle persone che gli passano accanto non hanno alcuna intenzione d’ignorare loro, ma non nel senso buono di aiutarli, bensì in quello di cacciarli da dove stanno. Perciò col tempo hanno messo a punto una serie di luoghi di emergenza in cui spostarsi. C’è il ristorante con la tettoia dove andare quando piove, basta che sia durante la chiusura e il proprietario non farà storie. C’è il problema di come far asciugare coperte e sacchi a pelo dopo che ha piovuto. Quando li incontriamo è il giorno dopo un copioso temporale, eppure stanno ancora dentro i sacchi a pelo completamente bagnati. L’impressione, curiosa, è di una certa serenità nonostante tutto. Non hanno paura, ci spiegano, che altri gli rubino il posto, all’ingresso di piazza Risorgimento venendo da via Ottaviano. Certo, loro sono ancora fisicamente validi, uno di loro, molto grosso, sorride mentre Martin mi spiega il concetto, e non fatico a immaginarlo mentre non sorride affatto verso chi tenta di fargli delle prepotenze. Gli chiediamo se hanno paura della cattiveria, se subiscono violenze. Va anche specificato che il luogo in cui ci troviamo è pieno di polizia e vigili urbani o polizia municipale che dir si voglia, in un certo senso della protezione c’è. Martin spiega che nel suo paese semmai ci sono molti gruppi di “nazi”, li chiama così, che vanno in giro a picchiare e dare fuoco ai senzatetto, ma non qui dove stanno loro. La Polizia li tratta bene, spiega, qualche volta si fermano per vedere se hanno bisogno di qualcosa, li definisce amici. Quelli che si comportano male secondo Martin sono i vigili. Non precisa fatti ed episodi specifici, ma racconta che quando arrivano in forze, “per qualche motivo loro” specifica, gli buttano le coperte e le poche cose che hanno e loro sono costretti a spostarsi per qualche tempo.

Ci spostiamo con Ugo Zuffardi verso via delle Vaschette, dinanzi alla sede dell’Università Lumsa, dove un piccolo gradino separa l’asfalto dal piazzale antistante la sede accademica. Lì di giorno staziona un piccolo gruppo di senzatetto, che di solito non crea problemi, la notte è un po’ diversa, quando l’alcol entra in circolo e la ragione si ottunde. Stamane però non c’è nessuno. Avendo lavorato diverso tempo in quella sede so per averlo osservato che c’è grande tolleranza verso i senzatetto. Talvolta il personale interviene in loro difesa quando qualcuno chiama la polizia per gli schiamazzi. L’allontanamento immediato della polizia quando accadono questi “incidenti” fa pensare a un’extraterritorialità del luogo, ma è soltanto un’ipotesi.

In mezzo c’è Borgo Pio, dove, apparentemente ignari del contorno di povertà, circolano ogni giorno migliaia di turisti, che i “buttadentro” dei ristoranti cercano di accalappiare con inviti a voce alta per spingerli a consumare pasti a prezzi in totale contrasto con l’ambiente circostante. Si tratta di una zona storica della Capitale, quella del papato e dello Stato Pontificio sconfitto dopo Porta Pia, di un rivolo di vie cariche di storia che sono anche passaggio obbligato per accedere a Piazza S.Pietro e alle meraviglie artistiche contenute nella piazza ed entro le mura.

Il papato di papa Francesco si è contraddistinto proprio per l’attenzione e l’ospitalità ai più bisognosi. Anche per questo piace forse più a quelli che non frequentano la religione come spirito che ai cattolici tradizionalisti. Nelle foto catturate da Ugo Zuffardi vedete infatti, nell’imponente via della Conciliazione, accatastate in attesa di essere riprese per la notte, le coperte di chi è riuscito a procurarsi un posto sotto i portici che immettono in piazza S.Pietro. A pochi metri ci sono le docce offerte a chi non sa dove altro andare per lavarsi. E’ un posto strategico e permette ai senzatetto di dormire senza paura di essere oggetto di violenza nel corso della notte, al riparo anche dalla pioggia. Anche se il freddo dell’inverno appena trascorso sembra essere talmente penetrato sotto la pelle dei senza dimora che non bastano cinque coperte a evitarlo e, se ci passi di notte, nemmeno riesci a vedere le teste di coloro che nei sacchi a pelo cercano riparo.

Su via di Porta Cavalleggeri troviamo una coppia “storica” di senzatetto. Da almeno due anni si mettono all’incrocio con piazza Sant’uffizi, lei seduta sul bordo esterno del marciapiede e lui appoggiato al muro. La signora capisce subito che vorremmo farle qualche domanda e, intuendo che al suo compagno la cosa non piaccia affatto, ci fa subito dei nomi “ma che vi manda …”, probabilmente qualcuno che dovrebbe raccogliere la fiducia del suo compagno. Ma non c’è niente da fare, quello si arrabbia e ci grida di andare fuori dai piedi, anche se usa altre espressioni. Lei ci sorride quasi a scusarsi e noi capiamo che non è aria e ci allontaniamo. Quando ripasseremo, dopo qualche ora, Ugo scatta delle foto alle loro cose lasciate lì senza preoccupazione che qualcuno le prenda, evidentemente un tacito patto dà loro diritto di stare lì e non essere “sfrattati”. Ci colpisce che non chiedono la carità, ma qualcuno passa e spontaneamente lascia qualcosa in un cestello.

Naturalmente ne incontriamo molti altri durante il nostro giro, di personaggi che sarebbe interessante ascoltare ma che non sono disponibili a parlarci. Forzare la mano non è il nostro stile e rispettiamo la loro volontà. Li trovate nelle foto, qualcuno in tenda, qualcuno che dorme sotto un riparo di fortuna nonostante sia pieno giorno. Di qualcuno soltanto le carabattole lasciate nella speranza di ritrovarle a sera. Quelli che prima di allontanarci verbalizzano il rifiuto ci ripetono la storia di essere stati traditi dai giornalisti che ci hanno preceduto, sia per quanto riguarda le foto dei loro volti sia per il travisamento delle loro storie.

Ci spingiamo poco sopra Porta Cavalleggeri, nella via parallela alla stazione S.Pietro, la Rampa Aurelia, dove fino a poche settimane fa, in un giardinetto, c’era una piccola comunità di senzatetto accampata. Sono però stati cacciati, ci spiega un signore a spasso con il cane, che non lesina commenti di disappunto agli abitanti del quartiere. Ci spiega che all’inizio lui e pochi altri portavano qualche genere di conforto, cibo e oggetti di utilità quotidiana, ai senzatetto, ma alla fine ha prevalso l’ala intollerante della zona. Non nasconde che negli ultimi tempi però a quella comunità si erano aggiunti elementi litigiosi e a forte gradazione alcolica, che hanno finito per rendere indifendibile l’accampamento.

Quando pensiamo che nessuno ci darà più retta per parlare, imbocchiamo il sottopasso che riporta in Vaticano, dove si annida un’umanità elemosinante. Seduto in terra c’è un ragazzo, Christian, che non sembra del tutto malmesso. Con cautela e promettendo di non riprenderne la faccia ci avviciniamo e anche lui ci ripete che giornalisti e youtuber in caccia di cinque minuti di popolarità si sono comportati male. Intanto però c’invita a fare attenzione. A pochi passi da noi ci sono le due “zingare” finite di recente sui giornali. Si tratta di due ragazze Rom, a noi sembrano quasi bambine a dire il vero, che sono state arrestate decine di volte per i borseggi e sempre rimesse in libertà. Un giornale molto famoso del nord ci ha costruito intere paginate per due settimane, ma soltanto sul versante “criminale”, senza mai approfondire minimamente chi siano queste ragazze, da dove vengono, in quale contesto agiscano. Il che non equivale a giustificare i borseggi naturalmente, ma sta di fatto che io e Ugo non abbiamo niente e quindi nemmeno abbiamo niente da temere. Loro sembrano capirlo e, forse è soltanto una nostra impressione, sembrano sorriderci prima di tornare al loro “lavoro”, in attesa del turista da spennare. Christian invece sta lì seduto, con un cappello accanto, che poi gli chiederemo d’indossare per nascondere il volto nelle foto, dove finiscono le elemosine. Ci tiene subito a precisare che lui non è un “barbone” ma un tossico. Non ci guardiamo con Ugo, ma immagino che anche lui fatichi a non sorridere per la veemente precisazione, che vuole distinguersi da una categoria ritenuta da lui evidentemente più in basso nella sua scala sociale. Domani, ci racconta, inizierà la sua disintossicazione a villa Maraini, una storica struttura romana. Gli occhi sembrano lucidi, forse è sotto effetto di qualcosa, ma ha qualche lampo nello sguardo che lo rende molto simpatico e ci spinge a fare il tifo, senza illudersi naturalmente, affinchè ce la possa fare. E’ di Catania, si capisce che proviene da una “buona” famiglia”. il suo modo di parlare denota un livello d’istruzione almeno medio-superiore. Lui è il più arrabbiato di tutti verso i giornalisti di un quotidiano online della capitale, che ha sbattuto la sua faccia sulla home page del giornale, accompagnata da un racconto strappalacrime delle sue difficoltà, talmente esagerato che in seguito a quella pubblicazione il padre e la madre sono partiti dalla Sicilia per andare ad accertarsi di come stava. Certo, è difficile pensare che si siano tranquillizzati trovandolo a elemosinare, ma cosa accada nella sua vita quando non sta lì nel sottovia del Vaticano non lo sappiamo e ci limitiamo a registrare il suo racconto.

Finisce così il nostro breve reportage. Quando ci salutiamo con Ugo nessuno dei due lo dice, ma quelle immagini di persone, strade e oggetti di fortuna e le parole che abbiamo raccolto ci hanno toccato. Non c’è vaccino che ci possa anestetizzare dal dolore dignitoso in cui ci siamo imbattuti. Vorremmo che per qualche minuto entrassero anche negli occhi e nella mente di chi sta leggendo queste righe.

ciuoti

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