Venezuela: l’assassinio di Romero Sabino…

… e le contraddizioni del processo bolivariano

di David Lifodi

Il 3 marzo scorso, pochi giorni prima che morisse il presidente venezuelano Hugo Chávez, il leader della comunità indigena yupka, Romero Sabino, veniva assassinato da due uomini armati nel corso di un’imboscata. Sabino era il simbolo della lotta degli indios della Sierra del Perijá, la cordigliera che si trova nello stato carbonifero di Zulia, al confine con la Colombia. Una delle contraddizioni in seno al governo bolivariano, così come accaduto per altri governi latinoamericani “rosa” o “rossi”, riguarda lo sfruttamento delle risorse naturali, il loro utilizzo, ed un rapporto con le multinazionali non sempre facile da gestire, stretti tra le istanze di cambiamenti radicali che provengono dai movimenti e le necessità di far “girare l’economia”,  anche a costo di sacrificare i diritti indigeni, la tutela dell’ambiente e il diritto alla terra.

La Sierra del Perijá e lo stato di Zulia si trovano in una zona caratterizzata dall’occupazione militare dei ganaderos, gli allevatori di bestiame dotati di guardie armate che si sono installati in haciendas e lotti di terra abitati, fino al loro arrivo, dagli yupka. Inoltre, sul territorio è presente una grande miniera di carbone, Carbon de Guasare, frutto di un progetto congiunto tra il governo venezuelano e alcune imprese straniere. Romero Sabino e gli yupka più volte hanno cercato di occupare, pacificamente, le fincas degli allevatori di bestiame per veder riconosciuti i diritti ancestrali delle comunità indigene, così come hanno manifestato contro la miniera. D’altra parte, il governo venezuelano avrebbe dovuto demarcare le terre che gli yupka cercavano di riconquistare, e, al tempo stesso, pagare un riscatto ai ganaderos per le 70 haciendas e i 600 lotti di terra affinché gli allevatori di bestiame abbandonassero questi terreni. Il presidente Chávez, che varie volte nei suoi interventi si era definito “indigenista”, ha sollecitato l’avvio di questo processo in più di una circostanza, ma di fatto lo Stato venezuelano non si è mai attivato in concreto per i diritti degli yupka: per questo l’assassinio di Romero Sabino è stata definito una morte annunciata. La Sierra del Perijá è ricca di minerali: non solo carbone, ma anche coltan e tungsteno. Inoltre, la cordigliera è infestata da paramilitari e contrabbandieri che trafficano illegalmente i minerali. Finora gli yupka sono riusciti a difendere 15 haciendas e 300 lotti di terra, ma hanno dovuto pagare un prezzo altissimo, di otto morti, tra cui il padre di Romero Sabino, di 102 anni, ucciso nel 2008. Lo stesso Romero Sabino e un gruppo di yupka si era recato a Caracas, lo scorso novembre, per invitare il governo a tutelare i loro diritti. Alcune volte i ganaderos hanno provato a comprare Romero Sabino, più di una volta lo avevano minacciato di morte e il 14 ottobre 2009 ci si era messa anche la giustizia. Durante l’occupazione di una finca rimasero uccisi tre indigeni: la colpa fu immediatamente addossata a Romero Sabino, che fu accusato anche di rubare il bestiame, bruciare le case delle famiglie Yupka e cavalcare la lotta per scopi personali. Fu condannato a 18 mesi di reclusione, mentre il vice ministro dell’ambiente Sergio Rodríguez lo accusava delle peggiori nefandezze da un’emittente radiofonica. Romero Sabino sapeva che avrebbe potuto essere ucciso da un momento all’altro, non a caso aveva detto più volte: si me matan, el pueblo yupka va a seguir luchando. È amaro constatare che la giustizia venezuelana non ha mai mosso un dito per tutelare gli yupka, mentre ha lavorato con estrema celerità quando sul banco degli imputati c’erano militanti sociali. Mai è stato aperto un procedimento contro i terratenientes che si sono impadroniti delle terre indigene, e gli stessi mezzi di comunicazione hanno relegato ad un ruolo secondario il caso di Sabino Romero. Le accuse che hanno investito il governo bolivariano sono state pesanti e, sotto certi aspetti, purtroppo condivisibili. Sabino è stato ucciso dall’oligarchia terriera, ma certo è che il chavismo, purtroppo, non ha fatto molto per difenderlo. I settori più critici del processo bolivariano, quelli che lo hanno sempre contestato da sinistra, si chiedono il motivo per cui il governo non ha mai offerto protezione a Sabino e perché, durante i suoi interventi al programma presidenziale Aló presidente, Chávez non ha mai dedicato una parola a Romero Sabino e alla sua coraggiosa lotta. A Miraflores da tempo avevano scommesso sull’industrializzazione energetica e sull’estrazione petrolifera, che hanno dato impulso a molte misiones sociali e hanno permesso al Venezuela di giocare un ruolo di primo piano nelle varie istituzioni integrazioniste latinoamericane, ma al tempo stesso hanno portato a quella devastazione ambientale che ha trovato una strenua resistenza negli yupka. Nel 2003 il governo bolivariano decise di triplicare l’estrazione petrolifera  in un territorio abitato dalle comunità indigene. Negli anni successivi, di fronte all’occupazione delle terre da parte degli yupka, la stessa ministra dei popoli indigeni, Nicia Maldonado si è dimostrata più volte indifferente alle loro istanze. Gli indios l’hanno accusata di aver tradito i loro ideali per aver cercato di imporre il suo metodo di azione in una maniera “civilizzatoria, tipica del mondo occidentale”. Per questo, durante la sua candidatura a governatore dello stato di Amazonas, in occasione delle scorse amministrative svoltesi a dicembre, gli indigeni hanno espresso il loro rifiuto: ni ministra ni gobernadora, hanno detto, sostenendo che Nicia Maldonado non rispettava le sue stesse origini, la multiculturalità, la cosmovisione indigena, e per questi motivi non poteva chiedere il voto in uno stato abitato, in larga maggioranza, da indios. Intendiamoci: Chávez in persona non è direttamente responsabile dell’omicidio di Romero Sabino, ma certo lo stato venezuelano e la burocrazia bolivariana non hanno mostrato la volontà politica di demarcare le terre indigene, così come non hanno voluto condurre fino in fondo la battaglia contro i ganaderos della Sierra del Perijá, una sorta di mafia trasformatasi in uno stato parallelo.

Adesso che Chávez non c’è più, il ruolo dei movimenti indipendenti dal chavismo dovrà essere quello di accompagnare la parte più progressista e meno burocratica di coloro che si riconoscono negli ideali bolivariani verso un processo rivoluzionario che tenga in considerazione anche i diritti dei popoli indigeni: in caso contrario l’oligarchia terriera tornerà a riprendersi il potere, sa come farlo e lo ha già dimostrato uccidendo Sabino Romero.

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