Veni, vidi, vici? Macchè: veti, voti e vuoti

Due post (“post voto” se passate il garbuglio): in ordine d’arrivo di Angelo Maddalena e di Franco Astengo. A seguire Marco Revelli e link al dossier di “Sbilanciamoci”

1 – Voto o non voto, c’è un vuoto (di discussione, di analisi, di partecipazione quotidiana e individuale?)

Un amico mi ha provocato dicendomi che io non voto e quindi non esprimo un dovere civile o qualcosa del genere. Più o meno anche lui ha convenuto sul fatto che votare ogni 5 anni tanto per sentirsi “responsabili” – e poi non interessarsi delle cose che succedono e far tacere o dormire la propria responsabilità individuale nella quotidianità – è come “una pisciatella” (lo diceva don Lorenzo Milani 60 anni fa, per non parlare della tradizione astensionista anarchica che risale a più di 100 anni fa). Gli ho detto: l’ultima volta che ho votato era nel 2001, anche perché da allora sono quasi sempre stato lontano almeno mille Km dalla mia residenza ufficiale. Mi ha fatto notare che negli ultimi 17 anni lui ha votato più di dieci volte, tra referendum, elezioni comunali, provinciali, regionali e nazionali. Un po’ scherzando ci siamo detti cose che andrebbero sviscerate ogni tanto: il voto è una forma di delega, quindi è una forma potenziale di deresponsabilizzazione. Poi negli ultimi decenni il potere mediatico ha amplificato di molto la possibilità di manipolare le menti, l’immaginario e le volontà. Il mio amico cercava di minimizzare, dicendo che a Pesaro ha vinto Andrea Cecconi quasi senza fare campagna elettorale anche perché “scaricato” dal Movimento 5 Stelle, e ha superato di gran lunga Marco Minniti, il famigerato ministro degli Interni. Però ho dimenticato di far notare al mio amico che Cecconi fa comunque parte di M5S e da lui è stato sostenuto anche mediaticamente fino a un mese e mezzo fa.

Dicevo al mio amico: anni fa partecipai con ragazzi anarchici a un attacchinaggio antielettoralista. A parte che alcuni di loro erano parecchio ebbri di alcool e quindi era un rito goliardico per certi versi, la cosa che realizzai in quel contesto fu questa: anche se uno, in quanto anarchico, propone di non votare per abbattere un sistema parlamentare corrotto alla radice e perverso a monte (Baudelaire diceva 150 anni fa che la democrazia dei Paesi occidentali e il sistema parlamentare sono come una clava che il popolo si è dato per martellarsi i coglioni) è una cosa che io posso condividere. Però faccio due riflessioni: intanto è una questione, alla fine, di responsabilità individuale e poi direi a chi si accanisce contro chi vota proponendo l’astensionismo attivo: a me va bene, però oggi come oggi non possiamo pensare che non votare sia una mossa di ribellione efficace, perché il controllo delle nostre menti, fra poco (già in parte succede) passerà da strumenti tecnologici che non riusciamo più a controllare. Qualche anno fa i microchip, oggi facebook, lo smartphone, ecc. ecc. (un servizio di prima pagina del «Venerdì di Repubblica» poco più di un mese fa dal titolo Disconnettetevi lo analizzava bene). In tutta sincerità, e per concludere, poco fa mi è tornata alla mente un’immagine di Salvini che in uno dei mille talk show al quale ha presenziato negli ultimi anni, diceva a una ragazza che parlava di solidarietà con i migranti: «è arrivata lei, miss ‘voglio salvare il mondo’». Era circa quattro anni fa, oggi siamo andati molto più avanti nello sdoganamento del cinismo televisivo ed elettorale: insomma Salvini come il Cetto Laqualunque del film. Ma riflettevo: non è che un’altra ragazza sarebbe stata più capace di difendersi di quella? Vauro sempre in un talk show disse a Salvini che si rifiutava di parlare con lui perché era un fascista: Salvini fece quasi la parte della vittima e il conduttore continuò la trasmissione. Forse il punto è questo: più uno si trova a presenziare in certi contesti, più li rafforza, anche se lo fa con spirito di “partecipazione e rivolta”; è la legge della società dello spettacolo. Quindi andare a votare, per me, è come partecipare a certe trasmissioni in cui ti illudono di dire la tua: però non te la fanno dire o ti danno pochissimi minuti rispetto al politico o all’esperto di turno. Ti rimane tanta frustrazione e tanta rabbia inespressa e rinviata…. mi pare che sia peggio di una pisciatella. O no?

2- VOTO E RAPPRESENTANZA POLITICA di Franco Astengo

La crescita delle astensioni comunque verificatasi tra le elezioni politiche 2013 e quelle 2018 (seguendo il criterio della comparazione tra elezioni omogenee) e l’estrema volatilità elettorale palesatasi il 4 marzo con massicci trasferimenti di voti da un partito all’altro e anche (fatto abbastanza inusuale) da uno schieramento all’altro hanno rappresentato fenomeni oggi oggetto di analisi (anche allarmistiche, al riguardo di un presunto pericolo per la “tenuta democratica”) nelle più disparate tribune di dibattito: giornali, tv, social network.

Si sprecano le indagini sociologiche intorno al tema dello “sfrangiamento sociale”, dell’individualismo dominante, della condizione di emarginazione di interi settori come quelli giovanili che rappresenterebbero i fattori della disaffezione complessiva prima e del voto alle formazioni indicate come “populiste” (parlanti cioè alle “pance” e non alle “teste) poi.

In questa occasione si provvede, attraverso una ulteriore valutazione statistica, a misurare il valore del consenso elettorale non in relazione al totale dei voti espressi ma sull’intero corpo elettorale nella convinzione che, attraverso la dimensione della partecipazione al voto, si possa definire la solidità complessiva del sistema.

Un metro di misura probabilmente opinabile e che suscita interrogativi ma che comunque vale la pena di adoperare tenendo in ogni caso ben a mente la diversità di ruolo e di peso che – rispetto al periodo nel quale la partecipazione al voto in Italia superava il 90% (eseguiremo in questa sede i relativi riferimenti) – hanno i partiti e l’insieme dei corpi intermedi. In particolare i sindacati che, nel periodo centrale del XX secolo, con i partiti avevano un rapporto molto stretto (addirittura si teorizzava la cosiddetta”cinghia di trasmissione”) mentre oggi (a giudizio della stessa segretaria generale della CGIL Camusso) è ormai del tutto inesistente.

Entriamo allora nel merito dei numeri.

ELEZIONI POLITICHE 2018

Come si è già avuta occasione di riferire (*) per quel che riguarda l’Italia (esclusa la Valle d’Aosta e lasciando fuori iscritte e iscritti all’estero) il 4 marzo 2018 risultavano aventi diritto: 46.505.499 persone.

Tra queste hanno espresso un voto valido (riferimento all’uninominale per la Camera) 32.825.399.

Restano prive di espressione di voto  (astenuti, bianche nulle)13.680.100 unità pari al 29, 41 %.

Verifichiamo allora le percentuali dei principali partiti sulla base del totale degli aventi diritto al voto.

Movimento 5 stelle 10.725.703 voti pari al 23,06% in luogo del 32,68% riferito al totale dei voti validi.

Partito Democratico 6.110.159 voti pari al 13,13% in luogo del 18,71%

Lega (senza Nord) 5.679.528 voti pari al 12,21% in luogo del 17,39%

Forza Italia 4.581.736 voti pari al 9,85% in luogo del 14,03%

Fratelli d’Italia 1.422.321 voti pari al 3,05% in luogo del 4,35%

Liberi e Uguali 1.104.032 voti pari al 2,37% in luogo del 3,39%

Potere al Popolo 371.921 pari al 0,79% in luogo del 1,13%

Casa Pound 312.100 pari al 0,67% in luogo dello 0,95%.

Forniti i dati torniamo però al tema del loro valore sistemico.

I tre principali partiti – Movimento 5 Stelle,Partito Democratico e Lega – assommano a 22.515.390 voti pari, sul totale dell’universo degli aventi diritto, al 48, 41% .

In sostanza un governo formato dai tre maggiori raggruppamenti parlamentari (tralasciando la formula: è possibile che si vada verso una riedizione dell’antico governo delle astensioni anni’70) conterebbe nel Paese sul consenso di meno della metà del corpo elettorale.

Qualcuno oggi ha avvertito di non costruire “maggioranze sulla sabbia”. Appunto.

Nel 2013 il totale dei voti validi fu di 34.005.755 su 46.905.154 aventi diritto. Non si espressero oppure si espressero non validamente 12.899.399 pari al 27,50% : l’1,91% in meno rispetto al 2018.

I primi tre partiti (riferimento sempre all’Italia esclusa la Val d’Aosta, per ragione di diversa formula elettorale) raccolsero in allora :

Movimento 5 stelle 8.691.406 voti pari al 18,52% sul totale degli aventi diritto ( 25,56% sul totale dei voti validi), PD 8.646.034 voti pari al 18,43% sul totale degli aventi diritto (25,43% sul totale dei voti validi), PDL 7.332.134 voti pari al 15,63% sul totale degli aventi diritto ( 21,56 % sul totale dei voti validi).

Nel complesso i tre partiti alle elezioni 2013 avevano ottenuto 24.669.574 voti pari al 52,59% del totale degli aventi diritto.

Da questo punto di vista un arretramento del 4,18% fra il 2013 e il 2018, come segnale – almeno a mio giudizio – di ulteriore indebolimento del sistema democratico – parlamentare.

Insomma, tra crescita delle astensioni e volatilità elettorale ci sono poche vittorie da celebrare per tutti: tanto più che dichiarato incostituzionale il sistema con il quale si è votato nel 2013, ci sono buon possibilità che eguale sorte tocchi anche  al sistema con il quale si è votato nel 2018.

Un clima complessivo di instabilità democratica (da non confondere con l’instabilità di governo) tale da provocare ulteriori fenomeni di disaffezione.

Proprio per fornire un paragone “storico” con il momento più alto di tenuta del sistema dei partiti (in una fase caratterizzata da fortissime tensioni: crisi economica, inflazione, terrorismo) può essere utilmente svolta una comparazione con l’esito delle elezioni del 1976 (quelle che – appunto – determinarono il formarsi del “governo delle astensioni”).

Una comparazione offerta per mero dato statistico, senza addentrarci in una analisi sull’esito politico di quella fase (della quale si discute molto anche in questi giorni ricorrendo il quarantesimo anniversario del rapimento Moro, vero e proprio punto di spartiacque in quel momento).

Il 20 giugno 1976 il numero degli aventi diritto era di 40.426.658.

Il totale dei voti validi fu di 36.707.578.

La somma di astenuti, bianche, nulle fu così di 3.719.080, pari al 9,19%. Tra il 1976 e il 2018 il “non voto” complessivamente ha avuto un incremento del 20,22%.

I primi tre partiti allora ebbero questo risultato numerico:

DC 14.209.519, PCI 12.614.650, PSI 3.540.309 (risultato questo del PSI giudicato molto deludente che portò allo sconquasso dal quale uscì segretario Bettino Craxi).

Nel complesso i primi tre partiti raccolsero 30.364.478 voti pari al 75,11% degli aventi diritto con un incremento del 26,70 (un quarto dell’intero corpo elettorale) rispetto al 2018.

All’epoca aveva un senso ragionare sulle percentuali, adesso per capire come stanno le cose è bene riferirsi alle cifre assolute.

Concludo con una deviazione dal piano originario della comparazione rigorosa tra elezioni omogenee. Per ricordare la “grande bufala” del 40% renziano alle Elezioni Europee del 2014.

In quell’occasione il totale degli aventi diritto era di 49.256.169 elettrici ed elettori.

Depositarono nelle urne voti validi: 27.371.747.

Le espressioni di “non voto” (astensione, bianche, nulle) furono così: 21.884.422 pari al 44,42% (in luogo del 27,50 del 2013, e del 29,41% del 2018)

I principali partiti raccolsero questi voti: PD 11.172.861 (pari al 22,68% sul totale degli aventi diritto in luogo del 40,82% calcolato sul totale dei voti validi), Movimento 5 stelle 5.792.865 voti (pari all’11,76% sul totale degli aventi diritto in luogo del 21,16% calcolato sul totale dei voti validi) Forza Italia 4.605.331 (pari al 9,34% sul totale degli aventi diritto, in luogo del 16,83% calcolato sul totale dei voti validi).

La somma dei 3 principali partiti alle elezioni europee del 2014 è stata quindi di 21.571.057 per una percentuale del 43,79% del totale degli aventi diritto.

Una percentuale ben al di sotto del 50%: un indice di debolezza sistemica del tutto sottovalutato mentre si celebrava una vittoria che presto, proprio per le ragioni appena esposte, si sarebbe rivelata di una estrema fragilità del governo

In conclusione, come giudizio complessivo, ci troviamo di fronte ad una fase nella quale la priorità non è soltanto quella della formazione del governo ma di una debolezza complessiva del sistema democratico che, in assenza di robusti soggetti di intermediazione, potrebbe lasciare spazio anche a non preventivabili tentativi di avventura.

Attenzione: per quel che riguarda un’attenta analisi della situazione italiana sul piano economico-sociale sicuramente non sanabile, come si sta cominciando a leggere, con un voto a breve dopo aver modificato per l’ennesima volta la legge elettorale in senso fortemente maggioritario.

La sinistra se n’è andata da sé di Marco Revelli

Un’Italia irriconoscibile. La sinistra del 2018 non è stata messa sotto da nessuno. Gli elettori si sono limitati a sfilarle accanto per andare altrove. Come si lascia una casa in rovina.

L’Italia del day after non ce la dicono i numeri, le tabelle dei voti. Ce la dicono le mappe, ce la dicono i colori. Ed è un’Italia irriconoscibile, quasi tutta blu nel centro nord, tutta gialla nel centro sud. Verrebbe da dire: l’Italia di Visegrad e l’Italia di Masaniello.

L’Italia di sopra allineata con l’Europa del margine orientale, l’Europa avara che contesta l’eccesso di accoglienza e coltiva il timore di tornare indietro difendendo col coltello tra i denti le proprie piccole cose di pessimo gusto: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, passando per il corridoio austriaco…

L’Italia di sotto piegata nel suo malessere da abbandono mediterraneo, nella consapevolezza disperante del fallimento di tutte le proprie classi dirigenti, e in tumultuoso movimento processionale nella speranza di un intervento provvidenziale (un novum, qualcuno che al potere non c’è finora stato mai) che la salvi dall’inferno.

L’una attirata dal flauto magico della flat tax, l’altra da quello del reddito di cittadinanza.

In mezzo il nulla, o quasi: una sottile fascia, slabbrata, colorata di rosso nei territori in cui era radicato il nucleo forte dell’insediamento elettorale della sinistra, e che ora appare in progressiva disgregazione, con i margini che già cambiano.

(*) Sono numerosi gli articoli di Franco Astengo sulla lettura dell’ultimo voto: li trovate tutti su www.controlacrisi.org

(**) dal quotidiano “il manifesto”

CONFRONTA ANCHE http://sbilanciamoci.info/paura-poverta-litalia-del-voto/ un dossier con articoli di Mario Pianta, Donatella Della Porta , Elena Monticelli (sul reddito di cittadinanza) e altre/i

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

2 commenti

  • molto utili i dati elaborati nel pezzo di Astengo

    una sola cosa : non se ne può più di sentire tanti “piangere” : “non c’è più la sinistra”
    ma anche la sinistra diciamo socialdemocratica non c’è più dal compromesso storico DC-PCI o quantomeno dalla fine del PCI e soprattutto da quando l’ex-PCI fu preso in mano dai Violante, Veltroni, D’Alema, Minniti & C. (vedi: “polizia postmoderna” e http://effimera.org/appunti-epistemologia-della-conversione-liberista-della-sinistra-salvatore-palidda/ )
    e vedi caso questo coincide con il trionfo del neoliberismo (ma tanti spesso se ne dimenticano)
    cosa fecero PCI e sindacati quando comincia la “rivoluzione neoliberista”? Già negli anni ’70 cominciarono a chiedere COGESTIONE delle imprese, nessuno chiese una legge per il controllo dello smantellamente delle grandi e medie fabbriche e le delocalizzazioni e il boom delle economie sommerse (anzi tutti a inneggiare al genio italiano dei “distretti”, della “terza italia” e del “made in Italy” senza dir nulla sul gigantesco boom del lavoro nero e del caporalato ch’eppure la CGIL aveva combattuto ai tempi di Di Vittorio …)
    PCI e CGIL Accettarono la cogestione, si limitarono a chiedere pre-pensionamenti, cassa integrazione, ammortizzatori e mai il controllo delle delocalizzazioni, dei paradisi fiscali ecc. (del resto anche gente del PCI come Guttuso -del CC del partito- aveva i soldi in banca in Svizzera …)
    il caso genovese e ligure è emblematico:
    dalla gloria della Resistenza e del 30 giugno 1960 sino allo sfacelo degli oltre trenta anni di compromesso fra opus dei, massoneria di destra e massoneria di gente di “ex-sinistra” : la destra ha vinto perché l’elettorato di sinistra non è andato a votare … alle comunali ha votato il 42% !!! (vedi http://effimera.org/prevedibile-sfacelo-della-sinistra-genovese-italiana-30-anni-va-destra-salvatore-palidda/)

    altra piccola nota: è assai inquietante che tanti pensino che il M5S possa essere affidabile (perchè la maggioranza del suo elettorato è di sinistra) …
    come ricorda Fulvio Vassallo Paleologo (https://www.a-dif.org/2018/03/11/la-maggioranza-contro-i-migrantidalla-guerra-alle-ong-agli-attacchi-razzisti/) la maggioranza del parlamento è contro gli immigrati e -aggiungo-
    per il sicuritarismo e ben poco contro le politiche economiche e finanziarie a favore di banche e padronato …
    l’ideale sia delle destre sia del M5S sarebbe avere Minniti ministro dell’interno …
    e vedi cosa dice Bannon (http://www.ilsecoloxix.it/p/mondo/2018/03/11/ACR8YFzB-rivoluzione_bannon_cinquestelle.shtml)
    ovviamente “la fa facile” … ma è emblematico che stimi il successo di M5S e Lega come il trionfo della “rivoluzione” alla Trump ed è noto che l’ambasciata americana è contenta se il M5S va al governo …
    ciò può essere interpretato come l’interesse americano a sfasciare l’Europa più che a esaltare il cosiddetto “populismo” (termine del tutto fuorviante sia per la detsra che per la sinistra … molto discutibili le tesi dei Podemos & C.)
    cmq :
    la maggioranza del parlamento e dei suoi elettori sembra essere razzista, fascista e sessista … come la maggioranza dell’Europa costruita dal 1990 sulla base del proibizionismo, del protezionismo, dell’affermazione di una fortezza con una sua cittadinanza superiore a quella degli altri …
    non ci resta che ancora una volta tentare di costruire ex-novo a partire dal livello micro-socio-politico

  • gian marco martignoni+

    Ottimo l’assemblaggio delle riflessioni proposte da Daniele, a partire dal’intervento analitico di Franco Astengo, che giustamente evidenzia “la debolezza complessiva del sistema democratico”. Questa debolezza è il prodotto del binomio de-politicizzazione e de-sindacalizzazione di massa e del conseguente spostamento a destra dell’asse politico. Mario Pianta individua nella dicotomia paura- povertà la chiave di lettura del voto.Io sono per integrare la dicotomia con la divaricazione “sciovinismo del benessere”al nord del paese e “assenza di prospettive” al sud (in uno scenario senz’altro peggiore sia della Grecia che del Portogallo ). Il ragionamento della Della Porta può essere esteso anche alla Francia, solo che il tracollo delle forze social-liberiste non ha prodotto delle medesime contro-forze. Un conto è France Insoumise ,Podemos, ecc., un conto è il M5S, che certamente è emerso come il primo “partito”, ma non possiamo dimenticarci come nel mezzogiorno d’Italia il cambio di cavallo è una pratica assai frequente.Mentre nel centro nord l’affermazione della Lega è consequenziale alla lotta per l’egemonia all’interno del centro destra, tanto che , solo per fare un esempio, a Reggio Calabria Salvini ha recuperato la destra più nera di Giuseppe Scopelliti. Come ha rilevato anche Turi Palidda, il discorso trionfalistico di Steve Bannon è tutt’altro che casuale, in quanto dimosta come l’internazionale post-fascista è in piena attività su scala globale. Infine, voglio solo evidenziare come la Lega sia il solo partito realmente organizzato, e quindi senza organizzazione non può esserci alcun futuro per quanto rimane della sinistra anticapitalista nel nostro paese.

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