«Vietato dimenticare»: gli IMI…

a 80 anni dallo sbarco in Sicilia e dall’armistizio.

«Ricordando gli IMI a ottant’anni dallo sbarco in Sicilia e dall’armistizio»: intervento di Domenico Stimolo per l’incontro del 7 novembre a Catania.

E’ molto complesso e articolato il tentativo di approfondimento su quell’azione gigantesca che condotta dai nazisti riguardo molte centinaia di migliaia di italiani in divisa che dopo l’armistizio del’8 settembre 1943, e nei periodi successivi, furono disarmati, in Italia e su tutti i fronti di guerra che ancora vedevano la presenza dell’esercito italiani. Imprigionati negli Oflag / Stalag. Veri e propri Lager. A differenza degli altri – ove furono uccisi molti milioni di cittadini europei – non erano luoghi di sterminio.

Ancor oggi, dei circa 700.000 militari deportati e internati, poco si sa. La Banca Dati LeBI (Lessico Biografico IMI) – cofinanziato dal fondo italotedesco per il futuro, gestito da ANRP – Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia, dall’Internamento, dalla Guerra di Liberazione e loro familiari, ha inserito 291.386 nomi ma quelliconvalidati” sono 151.917. La ricerca ha quindi molto ancora da fare.

Per consultare la Banca Dati bisogna inserire almeno il cognome. Non c’è un elenco complessivo da consultare direttamente. Nei casi ove sono presenti i dati completi sono riportati; luogo e data di nascita, posizione militare, luogo di cattura, di internamento o decesso.

Nell’iniziativa svolta a Catania è stato spontaneo porsi una domanda semplice e rilevante: quanti furono i siciliani e i catanesi che furono costretti a diventare IMI? Ad ora non c’è una risposta univoca.

Certamente, furono parecchie decine di migliaia. Una quantità umana molto rilevante.

Per quello che è noto nella nostra Regione non sono state mai effettuate, da strutture associative coinvolte o universitarie, ricerche specifiche di merito, sul piano globale regionale e nelle suddivisioni provinciali.

Una deficienza significativa, che con urgenza dovrebbe essere colmata. Un punto di approfondimento e di ricerca appropriata, che necessità di grande tempo e interesse specifico, può essere fatto sulla Banca Dati richiamata: inserendo progressivamente tutto lo scibile dei cognomi, almeno quelli più ricorrenti nelle nostre aree territoriale.

La ricerca sui siciliani deportati nei lager nazisti ha avuto una caratterizzazione diversa: riscoprendo: antifascisti, partigiani, oppositori e quant’altro, uomini e anche donne. Rilevante è anche la bibliografia prodotta da diversi sopravvissuti siciliani

Un contributo importante per la ricostruzione nominativa dei deportati fu dato da Nunzio Di Francesco (partigiano, deportato sopravvissuto a Mauthausen, ex presidente di Anpi Catania) che aggregò le conoscenza delle diverse Anpi siciliane. Riguardo la ricostruzione di dettaglio delle biografie, dalla ricerca di Giovanna D’Amico (laureata in Scienze Politiche a Catania, con il professore Saro Mangiameli) che ha pubblicato nel 2006 “I siciliani deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti 1943-1945”.

Stante queste ricerche i siciliani deportati sono stati 855; in 372 non fecero più ritorno. I catanesi furono 143, morirono in 70. Fra i tanti ricordiamo Carmelo Salanitro, di Adrano, la cui memoria verrà rievocata in questo evento.

Le strutture naziste denominate Oflag erano i campo di prigionia per gli ufficiali, negli Stalag venivano internati sottufficiali e soldati.  Questi ultimi erano i più numerosi. Nel territorio del Reich – quindi la Germania e i territori conquistati e annessi – esistevano oltre 60 grandi Stalag (con i sottocampi collegati erano 136). Poi, con la progressiva decentralizzazione del sistema dei lager e con la “civilizzazione” degli IMI (cioè quelli che vennero fatti uscire dai campi chiusi per essere impiegati in attività produttive),  numerosi furono gli Arbeitskommando, unità edili e di lavoro per prigionieri di guerra; i luoghi di pernottamento erano ubicati presso i posti di lavoro (fabbriche, miniere ecc.). Altra funzione espletavano i KZ o Konzentrationslager, gestiti direttamente dalle SS.

Claudio Sommaruga, un IMInato a Genova nel 1920, ingegnere minerario, che ha dedicato molto tempo del suo percorso di vita per tenere alta la memoria dei militari italiani internati – è stato collaboratore ed esperto ricercatore per parecchi anni di Aned, Anpi, Anei (Associazione nazionale ex internati nei Lager nazisti) – in suo memorandum intitolato “L’altra Resistenza” scrive: «con l’armistizio del’8 settembre i tedeschi disarmarono [arrotondo le cifre] 1.000.000 di militari, ne catturarono 800.000, ne internarono nei Lager 700.000 che in venti mesi si ridussero a 600.000, inclusi 50.000 caduti che si aggiungono ai 30.000 della prima resistenza armata, ai 35.000 deportati politici eliminati nei lager (per lo più partigiani, militari, ex IMI) con 8000 ebrei e almeno 20.000 militari caduti nei Balcani, alleati “badogliani” dei titini o direttamente arruolati nei partigiani slavi e greci». E’ necessario, inoltre, ricordare che in Germania in quel determinato periodo storico si trovavano 75.000 lavoratori civili rastrellati in Italia nel corso del 1944 e 85.000 emigrati rimasti bloccati.

All’armistizio, mentre i militari italiani vennero abbandonati, con grande infamia, da re e dallo Stato maggiore dell’esercito, fuggiti, ci furono diversi tentativi di opposizione armata ai tedeschi: in Italia (fra i principali a Roma, in Corsica e in varie caserme) e in vari fronti all’estero (Cefalonia, Grecia, Balcani).

I militari italiani disarmati e catturati principalmente furono trasferiti in Germania. Non furono considerati prigionieri di guerra, quindi non assistiti dalla Croce Rossa Internazionale e tutelati da un Paese neutrale, ma schiavi di lavoro senza tutele. La Germania nazista non riconobbe il Regno d’Italia del sud, sotto controllo alleato, come stato belligerante (neanche dopo la dichiarazione di guerra del 10 ottobre) e gli IMI furono falsamente considerati «disertori di Badoglio e soldati di Mussolini in attesa di impiego».

Aggiunge Sommaruga: «Dapprima i tedeschi li pressarono ad arruolarsi nelle Waffen SS allogene o negli “ausiliari” lavoratori della Wehrmacht (autunno ‘43), poi nelle divisioni di Graziani della RSI (inverno–primavera ’44). I soldati furono coatti al lavoro sotto scorta armata (gli ufficiali violentemente “invitati” al lavoro civile volontario!). Infine, dall’ estate ’44, volenti o nolenti, gli IMI furono civilizzati” d’autorità come “lavoratori liberi” volontari (ma obbligati!) nell’economia di guerra del Reich o, in alternativa, militarizzati” nei battaglioni del genio soprattutto dell’ aeronautica (Luftwaffe)».

Le condizioni di vita degli IMI nei Lager furono terribili. Ogni baracca vedeva fra 50 e 200 persone. Giacigli immondi, infestati di pidocchi. Temperature invernali bassissime. Fame costante data la scarsissima alimentazione. Malattie dilaganti: tbc, tifo petecchiale, infarti, dissenteria, inedia… Auasi 25.000 i morti. E poi, le violenze, praticate nei riguardi degli internati, spesso a carattere colletivo.

Gli IMI furono costantemente sottoposti alla pressante richiesta di aggregarsi alle formazioni dei fascisti della RSI, e ritornare in Italia. Per uscire (dicevano i nazisti) da quelle infami condizioni di vita di degrado e prigionia. Non furono molti coloro che aderirono ai pressanti appelli. La grande maggioranza si rifiutò (aderì meno del 15%): nei fatti fu una chiara e precisa scelta di Resistenza, passiva, silenziosa, ma di grandissimo significato, un vero sfregio ai fascisti e ai nazisti.

Nel 2005 Claudio Sommaruga elaborò “L’ Archivio IMI”, riporto i principali dati:

* Internati dopo 8 settembre (al dicembre 1943) 716.000; riguardo la ripartizione delle aree di provenienza, stante l’origine dei deceduti nei luoghi di prigionia: il 52% è nel Nord ( 372.000) , il 26% del Centro ( 158.000), 26% sud e isole ( 186.000).

* al luglio 1944 ( esclusi gli optanti) erano 640.229. Di cui, come provenienza geografica di cattura: Italia 196.000, Francia 32.000, Balcani/Grecia 411.000; Germania e aree orientali 1000.

La distribuzione degli IMI all’aprile 1945 è la seguente: Germania – Austria- Polonia – Cecoslovacchia 500.000, Italia-Francia-Balcani 100.000.

  • al maggio 1945 rimpatriati, 560.000. morti circa 53.000.

  • ex IMI collaboratori con RSI e nazisti: combattenti 40.000, di cui 23.000 RSI, 17.000 per SS; ausiliari volontari per struttura militare tedesca in Germania 23.000, per forze armate aerea, 63.000, per un totale di 103.000 .

  • Militari e IMI morti e dispersi: nei lager 41.953, caduti nella prima resistenza dopo 8 settembre, su tutti i fronti: 32.255, nei territori occupati 7600, morti nei trasporti navali 7500. Per un totale di 89.295.

Per chiara similitudine voglio ricordare Nunzio Di Francesco deceduto nel luglio 2011nativo di Linguaglossa – giovane militare in Piemonte, dopo l’ 8 settembre partigiano, deportato nel Lager di Mauthasuen ove incontrò Carmelo Salanitro: affabulatore e testimone a Catania e in Sicilia della deportazione nazifascista per decenni, specie con i giovani delle scuole, ex presidente Anpi a Catania.

Voglio anche ricordare Primarosa Pia (figlia di un deportato sopravvissuto a Mauthausen, curatrice della lista e del sito internet Deportati mai più, promossa nel 2006 per recuperare la memoria dei deportati e degli IMI. Claudio Sommaruga, deceduto nel 2012, per diversi anni ha scritto su “Deportati mai più” le memorie della deportazione degli IMI.

Ricordo, infine, con affetto, Carmelo Coco, il papà di Carmen che, con grande sentimento filiale e di ricostruzione storica, lo ricorda, nel suo libro “Fucili e mandolino”.

Infine voglio ricordare che a Milano si è aperta (dal 6 al 13 novembre) un’importante mostra fotografica sugli IMI: «Resistere non piegarci» con il sottotitolo “la Resistenza senza armi dei militari italiani nei Lager nazisti 1943-1945.”.

BANCA DATI IMI

https://www.lessicobiograficoimi.it/index.php/caduti/search?q=consoli&n=&l=&y=&d=0

 

 

 

 

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