Ancora sul Covid-19

interviste con il Movimento Ippocrate e Chiara Montaldo e un articolo di Elisabetta Teghil

 

Corona virus: la via del Movimento Ippocrate – intervista di  Olivier Turquet

 

Molte volte nel corso della pandemia da Covid 19 il tema delle possibili cure al virus è uscito e ha suscitato polemiche. Su iniziativa di Mauro Rango, un italiano appassionato di medicina che vive a Rodrigues (Repubblica di Mauritius), si è formato un gruppo di studio che da qualche giorno si è formalizzato nell’associazione IppocrateOrg. Ne parliamo con alcuni di loro. Mauro, Maria, Adriana, Nicola, Massimo.

Mauro puoi riassumere che cosa è successo?

MAURO Vivo nella Repubblica di Mauritius. L’isola in cui abito è Rodrigues a 600 km a est di Mauritius, l’ultimo punto dell’Africa nell’Oceano Indiano. Amo da sempre la medicina, pur non essendo medico. Allo scoppiare dell’epidemia di Covid-19 iniziai a fare ricerche sulle possibili terapie con amici medici, che mi conducevano sempre alla combinazione tra azitromicina e idrossiclorochina.

Quando il Coronavirus arrivò in Italia e iniziarono a morire le prime persone, chiamai il mio amico pneumologo, il dottor Alberto Palamidese, ora in pensione, che mi confermò (inizio marzo) che l’organo bersaglio del virus era il polmone e gli esiti erano di polmonite interstiziale simile a quelle del Micoplasma Pneumoniae chese non affrontata immediatamenteavrebbe condotto al decesso del paziente. Mi raccontò che, ai suoi tempi, il trattamento consisteva in azitromicina, dosaggi elevati di cortisone, eparina a basso peso molecolare, fino all’utilizzo del plasma iperimmune.

Nella prima decade di marzo telefonai ad un carissimo amico medico del Dipartimento Prevenzione della USL-2 Umbria che mi disse che stavano trattando a tappeto, sul territorio, a livello domiciliare, tutti i pazienti ai primi sintomi, con idrossiclorochina 400 mg/die x 7 giorni e azitromicina 500 mg/die x 6 giorni. Salvo qualche rarissima ospedalizzazione, tutti i casi si erano risolti in una settimana. Zero decessi (compresi quelli ospedalizzati). Zero effetti collaterali.

Nel contempo apprendevo che le autorità sanitarie locali a Mauritius stavano facendo scorta di idrossiclorochina e azitromicina. Mi informai presso le autorità e, all’arrivo dell’epidemia, il piano (che poi sarebbe stato annunciato dal Primo Ministro) era il seguente: idrossiclorochina, azitromicina, stessi dosaggi umbri e, per i casi più gravi, plasma iperimmune.

La stessa terapia fu utilizzata precedentemente in Corea del Sud che debellò abbastanza rapidamente l’epidemia.

Riscontravo quindi che tutte le mie ricerche conducevano sempre allo stesso punto.

Iniziai a scrivere lunghe email a vari giornali spiegando che la terapia esisteva mentre nella mia regione di origine, il Veneto, iniziavano ad ammalarsi ex compaesani e amici di amici lasciati in ospedale a morire, senza alcuna terapia, con solo ossigeno. Poi inizia l’ecatombe in Lombardia. Continuavo a scrivere senza che nessuno mi ascoltasse.

Il 17 di marzo la circolare AIFA autorizza l’utilizzo off label di idrossiclorochina ma mette anche in guardia dal contemporaneo utilizzo con azitromicina per via dell’allungamento della curva QT e possibile arresto cardiaco per gravi aritmie. La circolare della federazione dei medici di famiglia consiglia l’utilizzo dell’idrossiclorochina a livello domiciliare ma sono pochi, soprattutto nel Nord Italia che l’utilizzano abbinata all’azitromicina. Mentre la situazione al centro e sud Italia era diversa. Anche in molti grandi ospedali, penso ad esempio al Tor Vergata di Roma o al Cutugno di Napoli, l’azitromicina e l’idrossiclorochina venivano utilizzate in associazione già da metà del mese di marzo.

Poi, finalmente, verso la metà di aprile la terapia con azitromicina e idrossiclorochina viene presa in considerazione dalle strutture ospedaliere anche lombarde e venete ma ancora a macchia di leopardo perché molte tentavano, su consiglio di virologi, immunologi ed epidemiologi, il trattamento con gli antivirali che avevano scarso effetto.

Mentre a Piacenza il professor Cavanna, Primario Ospedaliero, curava a domicilio con idrossiclorochina e azitromicina senza decessi e senza effetti collaterali.

E in Germania riuscivano a contenere il tasso di mortalità entro il 3% grazie proprio ad un largo utilizzo di idrossiclorochina, azitromicina e diffusamente di plasma iperimmune. Ma in gran silenzio come sanno ben fare i tedeschi.

Ho sofferto molto nel vedere i miei connazionali morire e la rabbia aumentava nel constatare che  l’informazione era occupata da medici di laboratorio, esperti di vario genere e statistici e non da medici clinici, soprattutto pneumologi, che avrebbero saputo trattare la patologia. Regnava la confusione più totale e nessuno si occupava, a livello di vertice, di stabilire delle regole terapeutiche da seguire sia a livello di territorio sia a livello ospedaliero. Ogni Regione, ogni ospedale, ma anche ogni reparto ed ogni medico di base seguiva una propria linea di condotta riguardo la terapia.

Un’altra ragione di queste contraddizioni e della confusione regnante che ha portato a conseguenze catastrofiche credo sia risieduta nel fatto che una parte di comunità medica continuasse a percorrere il sentiero conosciuto della validazione di ricerche scientifiche che non potevano arrivare in tempi così brevi, mantenendo un atteggiamento attendistanella speranza dell’individuazione di un farmaco validato a tutti i livelli mentre un’altra parte di comunità  medica, più abituata a filtrare i risultati di ricerche tramite la lente dell’esperienza clinica personale o di altri medici, si proiettavano a riprodurre esperienze che avevano avuto la validazione del “risultato sul campo” in altre realtà, cioè terapie che avevano avuto il riconoscimento esperienziale di aver guarito i pazienti.

L’intuizione clinica di medici validata da risultati eclatanti sembra ancora non trovare cittadinanza nella comunità medico scientifica attuale. L’esperienza clinica comprovata da cartelle cliniche di guarigione di molti casi trattati senza alcun effetto collaterale appare essere meno significativa di uno studio randomizzato. Voglio qui ricordare il recente lavoro retrospettivo del gruppo di Marsiglia che ha comprovato la validità del protocollo con Idrossiclorochina e Azitromicina su più di 3700 pazienti Covid 19 (https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1477893920302817).

Il 5 maggio mi arriva un messaggio whatsapp di un amico di Milano. Mi racconta di un intervento presso la trasmissione condotta da Fazio di un virologo chiamato Burioni che cercava di rallentare l’iniziativa di alcuni medici di utilizzare il plasma iperimmune. Un moto enorme di rabbia mi fece scrivere di getto il mio primo messaggio Whatsapp sull’argomento. Lo inviai a una quarantina di amici con preghiera di inoltrarlo ai loro conoscenti.

Da quel giorno la mia vita cambiò.

Ricevetti migliaia di messaggi whatsapp e migliaia di email. Tra le persone che mi contattarono ci furono anche da tantissimi medici. Molti di loro avevano fatto i miei stessi tentativi segnalando che la cura già esisteva. Da subito è nato un gruppo composto da medici ospedalieri in servizio e in pensione, da medici territoriali e anche personale infermieristico con l’obiettivo di informare sulle possibilità terapeutiche. Ma anche da migliaia di cittadini con professioni diverse.

Chi fa parte del gruppo in questo momento e cosa state facendo?

Il gruppo è nato come convergenza di persone con competenze professionali ed idee diverse che si sono trovate a chiedersi cosa si può fare per trovare una cura a questo coronavirus. La prima cosa che abbiamo voluto fare è stata quella di ricostruire come sono andate nel concreto le cose.

In sostanza già dai primi di marzo in grossi ospedali romani, napoletani, sardi e siciliani ma certamente anche in altre realtà non di nostra conoscenza si usava la terapia con idrossiclorochina, azitromicina come farmaci di base sempre presenti. Poi i protocolli differivano tra ospedali e tra gli stessi reparti di un ospedale (a testimonianza della completa assenza di una regia). Chi vi aggiungeva vitamina C, cortisone, eparina, chi vi aggiungeva antivirali vari ed eparina e vit. A,  ma il nucleo centrale di base rimaneva l’azitromicina e l’idrossiclorochina. In questi ospedali, dove i protocolli contenevano i farmaci suddetti, la mortalità si riduceva sostanzialmente agli ultraottantenni con più patologie. Nel contempo, invece, negli ospedali lombardi e veneti, il numero dei decessi fu enormemente più elevato, arrivando alla cifra record del 17% di mortalità della Regione Lombardia.

Il mio video in Youtube in cui si parlava delle 30.000 vite umane che si sarebbero potute salvare, dopo 9.000 visualizzazioni è stato rimosso. Alla nostra obiezione Youtube ci ha risposto all’istante con un messaggio evidentemente automatico, preconfezionato, dicendoci che il contenuto era inappropriato.

Con questo gruppo di medici e dialogando col coordinatore di un altro gruppo di medici territoriali che hanno utilizzato diffusamente con i propri pazienti l’idrossiclorochina abbiamo realizzato diverse iniziative, senza dare loro troppa pubblicità, tra le quali:

  1. E’ stata firmata da una ottantina di medici italiani una lettera che ho inviato personalmente a The Lancet e per conoscenza all’OMS smontando, con l’aiuto di una cardiologa (la dottoressa Adriana Privitera), lo studio pubblicato da The Lancet in seguito al quale l’OMS ritirò l’idrossiclorochina dai trial e AIFA sospese l’utilizzo off label per Covid. A differenza di The Guardian e dei 120 scienziati (https://zenodo.org/record/3862789#.XvikvV9xfIX) che attaccarono lo studio dal punto di vista del metodo, noi abbiamo dimostrato che i decessi a cui lo studio si riferiva sono avvenuti per due ragioni: 1. Inclusione di pazienti con malattia in fase troppo avanzata, 2. Utilizzo di idrossiclorochina in pazienti cardiopatici, (ischemici, scompensati e aritmici) che non avrebbero dovuta assumerla. Lo studio conteggiava tali decessi come causa diretta degli effetti del farmaco in questione e concludeva per l’inefficacia dell’idrossiclorochina e sua pericolosità per incremento di mortalità e aritmie. Conclusioni di cui abbiamo dimostrato l’inattendibilità dal punto di vista medico e scientifico.
  1. Abbiamo scritto una lettera al Presidente Mattarella spiegando l’assurda posizione del’’AIFA e pregandolo di intervenire.

Ora siamo impegnati a dare assistenza per i protocolli di alcuni Paesi del Sud America e siamo impegnati nella ricerca di macchinari per il plasma per la Somalia.

Oltre ai medici abbiamo coinvolto migliaia di persone della società civile attorno ad un progetto che si chiama IppocrateOrg. La pagina Facebook (https://www.facebook.com/IppocrateOrg/) è già attiva, mentre il sito internet www.ippocrateorg.org lo sarà a brevissimo.

Questo progetto NON ha alcuna ambizione politica. Abbiamo respinto intromissioni di esponenti di varie formazioni politiche, di aiuti, di richiesta di collaborazione con associazioni affiliate o legate a partiti che abbiamo gentilmente rifiutato perché nasciamo come aggregazione di cittadini e professionisti della salute che ha come solo obiettivo la difesa della Salute della Persona Umana. Ci proponiamo di sviluppare un movimento che sappia dare voce a quella parte di comunità medico scientifica che, in questa vicenda del Coronavirus, non si è sentita rappresentata dalle Istituzioni Sanitarie. Nel contempo saremo impegnati a contrapporci a tutte quelle ricerche o informazioni che avessero quale scopo l’indebolimento dell’accesso a terapie mediche idonee alla cura e ledessero il Diritto Umano alla Salute e al Benessere.

La terapia con l’idrossiclorichina è finita sotto i riflettori del main stream e ha suscitato posizioni contrastanti dell’OMS, di istituti di ricerca e dell’Agenzia del Farmaco Italiana: potete riassumere in breve la storia di questa diatriba?

ADRIANA E’ opportuno fare un po’ di chiarezza. L’uso della clorochina risale nel tempo. [1] E durante l’epidemia Covid-19, la Cina e la Corea del Sud hanno utilizzato la idrossiclorochina con e senza associazione con macrolide, (WangMet al.Remsedivir and chroloquine effectively inhibit the recently emergednovel coronavirus.CellRes 2020 Feb 4 [2]). Circa 20 studi in Cina in vitro con ottimi risultati hanno fatto si che venisse raccomandata la sua utilizzazione per la prevenzione e il trattamento della polmonite in corso di Covid-19 ( https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32075365/ ). Nel marzo 2020 uno studio in Francia condotto in 20 pazienti evidenziava minore persistenza del virus soprattutto nell’associazione con azitromicina ( https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32205204/ ). Dopo questi studi l‘associazione idrossiclorochina azitromicina è stata prescritta in tutto il mondo anche al di fuori di studi clinici autorizzati. In Italia in Aprile, la Federazione Italiana dei medici di famiglia (FIMMG) ne consigliava l’utilizzo sia nei casi accertati di Covid-19 che nei sospetti, così molti medici di famiglia hanno utilizzato precocemente il trattamento evitando ricoveri in ospedale. Il 26 Febbraio 2020 il governo del Regno Unito aggiungeva la clorochina nell’elenco dei medicinali che non potevano essere esportati, dato il crescente numero di prove dell‘efficacia del farmaco. Nel mese di Marzo, con una circolare, l’AIFA autorizzava l’uso della idrossiclorochina off-label, mettendo in guardia dall‘utilizzo contemporaneo di azitromicina per diversi studi che dimostravano il pericolo di aritmie severe [3]. Ma dopo tanta positività cominciano i problemi [4]. Nel mese di Maggio, Mandeep Mehra e collaboratori pubblicano su The Lancet uno studio osservazionale su 96032 pazienti ricoverati in 6 continenti che assumevano idrossiclorochina e clorochina da sole o con macrolidi concludendo per evidenza di gravi aritmie nei trattati rispetto al gruppo di controllo, elevata mortalità e assenza di vantaggio terapeutico della idrossiclorochina e della clorochina sia da sole che in associazione con macrolide. ( https://doi.org/10.1016/S0140-6736(20)31180-6).  L’ OMS, su queste basi, interrompe le indagini e gli studi sull’idrossiclochina, l ‘AIFA il 29 maggio, non concede più la prescrizione off-label e consente di proseguire solo i trial ufficiali. Si crea così una gravissima situazione perché tale terapia era stata molto utile nell‘affrontare la prima fase della malattia.

Fortunatamente lo studio Lancet viene messo in discussione da 120 ricercatori da tutto il mondo che ne contestano sia la raccolta dei dati che la metodologia. The Lancet ritira così lo studio e l’OMS il 3 Giugno riprende la sperimentazione su idrossiclorochina.

E noi con la firma di 80 medici scriviamo alla rivista entrando nel merito del suo valore scientifico. Purtoppo l’AIFA non fa un passo indietro, mantenendo l’indicazione all’utilizzo della idrossiclorochina per covid-19 soltanto per studi clinici sia in ambito ospedaliero che a domicilio, la prescrizione viene pertanto esclusa dalla rimborsabiltà e cosa ancor più grave chi prescrive risponde personalmente di eventuali effetti collaterali per il trattamento. Un gruppo di medici fa una istanza legale all’AIFA chiedendo di poterlo utilizzare di nuovo per il trattamento precoce della malattia. Infine, a Giugno il trial britannico RECOVERY (www.recoverytrial.net/files/recovery-protocol-v6-0-202005-14.pdf) che ha utilizzato dosi elevatissime del farmaco, non trova differenze di mortalità tra i gruppi trattati e i controlli dopo un mese di trattamento. Anche questo studio è da criticare infatti sono stati reclutati oltre 10000 pazienti da ospedali in tutto il Regno Unito, la dose di idrossiclorochina è ELEVATISSIMA, e vengono trattati pazienti in monoterapia, quando l’effetto della idrossiclorochina è in associazione con il macrolide, inserendo anche pazienti gravi, alcuni sotto ventilatore. Come ormai tutti sanno, l’idrossiclorochina è il trattamento ideale nella fase precoce o intermedia media della malattia di cui evita l’aggravamento con le note complicanze mortali. Molto utile la spiegazione del Prof. Viale di Bologna sulla storia naturale della malattia e interventi terapeutici nelle varie fasi (https://youtu.be/mVBfCzDWxPQ).

Dopo RECOVERY, l’OMS ha nuovamente bloccato tutto.  Da ricordare che Recovery riceve finanziamenti da Oxford ma anche dalla fondazione Bill e Melinda Gates.

Dall’analisi di tutti gli studi, a tutt’oggi NON c’è un SOLO STUDIO che dimostri la pericolosità del farmaco, quando dato con le CORRETTE indicazioni. Allora è lecito domandarsi dove sta andando la ricerca scientifica?

Cosa chiedete al Governo e alle istituzioni mediche italiane?

NICOLA L’Italia è entrata  nella fase 2 dell’epidemia con riduzione dei contagi in quasi tutte le regioni e lo svuotamento dei reparti di terapia intensiva e il costante calo dei decessi.  Questo è avvenuto, secondo noi, per tre fattori concomitanti:

1) il lock down è stato osservato dai cittadini in maniera encomiabile,  assieme alle misure igienico-sanitarie (mascherine, distanza sociale. igiene di mani, superfici etc).

2) La buona terapia utilizzata anche se  empiricamente e a macchia  di leopardo, con largo uso in particolare della idrossiclorochina in fase iniziale di infezione e della eparina appena si è scoperto il meccanismo fatale di trombosi multiorgano, che causava il precipitare della condizione clinica dei pazienti.

3) le condizioni climatiche della stagione calda  che sembrano favorevoli alla limitazione dei contagi da parte di questa classe di virus respiratori.

Alla luce di quanto premesso, per non correre il rischio di vanificare quanto sinora ottenuto chiediamo al Governo Italiano ma anche alle regioni, che venga portata a conoscenza la popolazione quale sia la terapia da mettere in atto dopo il divieto di poter utilizzare l’idrossiclorochina, sino a ieri arma vincente della terapia iniziale. La perdita del suo utilizzo, infatti, ad oggi, fa intuire  che si sia deciso di lasciare i pazienti completamente scoperti dal punto di vista dell’infiammazione, lasciando alla sola  azione dell’antivirale il compito, arduo, di prevenire la successiva tempesta citochinica. Chiediamo altresì quale tipo  di molecola antivirale verrà utilizzata,  ed il costo  di un intero trattamento del paziente Covid,  per valutare se esiste un corretto ed accettabile rapporto costi/benefici. Nel caso di una ripresa dell’epidemia in Italia, quale sarà l’intervento sul territorio?

In assenza dell’ uso dell’idrossiclorochina come farmaco di primo immediato utilizzo sul territorio si avrà un inevitabilmente maggiore afflusso di pazienti in condizioni di gravità presso le strutture sanitarie: un copione già visto e terrificante, specie nelle RSA!

MARIA: vorrei che si riprendesse una sperimentazione seria e indipendente dell’Idrossiclorochina, che chiaramente, come tutti i farmaci, va usato con saggezza e con le accortezze che Adriana ha già esposto per esteso, dando a tutti una sana e vera informazione su dati statistici e sulle terapie possibili.

Inoltre, mi pare importante che ci fermiamo tutti a riflettere sulle responsabilità di chi ha gestito l’epidemia a livello governativo, dell’ISS, dell’AIFA e delle Regioni, in particolare la Lombardia, rileggendo tutto il processo dei flussi informativi, rivedendo il susseguirsi degli eventi partendo da un ampio profilo che includa ambiente, prevenzione, consapevolezza e libertà dei cittadini. Insomma, una visione ampia che rilegga tutto il processo nel suo insieme.

Vorrei far emergere, dati e tempistiche alla mano, che se si fossero messe in atto le corrette terapie fin dalla prima fase e su tutto il territorio, le misure di profilassi, con particolare attenzione alla protezione degli operatori sanitari, si sarebbe evitata l’ecatombe e la crisi economica da lock-down nazionale. Per non parlare del massacro dei nostri anziani nelle case di riposo!

Ora, a epidemia quasi spenta, viene dichiarata la necessità di una vaccinazione di massa contro l’influenza, a buon vantaggio delle case farmaceutiche, quando è sempre più evidente la correlazione fra vaccinazione antinfluenzale e gravità del Covid 19. (https://www.facebook.com/Articolo71/photos/a.109803843911684/175394604019274/?type=3&theater). Inoltre vorremmo sapere su quali evidenze scientifiche si giustifica la vaccinazione antinfluenzale dei bambini dai sei mesi ai sei anni. Ce lo spieghino!

Siamo stati proiettati in una dimensione surreale in cui, a fianco dell’effettiva pericolosità del virus, nessuno sapeva nulla, famosi virologi e politici, ma tutti fingevano di sapere facendo precipitare il paese nell’angoscia e nel panico, con grave danno per i bambini, gli anziani, i disabili e le persone affette da sofferenze psichiche.

La sanità dovrebbe essere, in tutto il mondo, di buona qualità e gratuita: il Covid 19 ha mostrato quanto siamo lontani da quest’obiettivo. Qual è secondo voi il ruolo di Big Pharma in questa questione e cosa dovremmo fare noi cittadini?

MASSIMO L’influenza di BigPharma distorce la realtà sull’effettiva rilevanza delle patologie e delle rispettive cure modificando a volte in maniera sostanziale l’informazione pubblica.

Per ovviare a tale importante problema sarebbe necessario che chi viene invitato a parlare in pubblico sia tenuto a dichiarare eventuali legami con le aziende del settore.

La pandemia del COVID2019 ha evidenziato che i medici sul campo sanno trovare delle risposte efficaci (e sostenibili!) molto prima che i ricercatori possano verificarne la validità. La vera forza sta nella capacità di scambiare liberamente e velocemente esperienze e risultati. Riteniamo che alla clinica dovrebbe essere restituito il valore e la dignità che la costosissima ricerca le ha sottratto.

La ricerca di BigPharma sta sfruttando il caso COVID investendo miliardi di dollari per proporre farmaci costosissimi o, addirittura, ancora inesistenti, quando abbiamo già a disposizione un insieme di farmaci che hanno dimostrato grande efficacia sia nelle fasi iniziali della malattia (idrossiclorochina, azitromicina, eparina), sia nelle fasi più avanzate (plasma iperimmune).

Gli ingentissimi fondi filantropici in campo medico  dovrebbero poter essere indirizzati esclusivamente e in maniera trasparente da enti governativi indipendenti onde evitare una deleteria commistione tra interessi economici, gestione dell’informazione pubblicitaria e necessità sanitarie.

MARIA Grazie Olivier per la domanda “cosa dovremmo fare noi cittadini?” in quanto sposta l’attenzione su tutti noi, sulle nostre capacità di comprendere e agire, senza delegare totalmente la lettura della realtà agli esperti, o presunti tali. Credo che questa sia una responsabilità che dobbiamo assumerci per ricominciare a riflettere su quanto è successo, in modo critico e creativo. Possiamo come cittadini e medici, riscoprire insieme la saggezza che è profondamente connaturata nell’umano sentire e coordinare i saperi in modo funzionale al sorgere della verità, non intesa in modo dogmatico e statico, ma come un continuo divenire che si svela a chi osserva il reale senza pregiudizi, censure o interessi da preservare.

Senza il recupero di un pensiero critico e della libertà di espressione dei medici, temo che ci ritroveremo nuovamente in una situazione drammatica per un altro virus o per l’emergenza climatica ed ambientale che ci sta già ora mettendo in scacco a tutti i livelli.

MAURO Dopo la pubblicazione dello studio di Marsiglia, citato più sopra, ci chiediamo quanti medici hanno sperimentato il protocollo idrossiclorochina-azitromicina nella loro pratica clinica in Italia e li invitiamo a unirsi alla nostra ricerca per condurre insieme uno studio epidemiologico retrospettivo sui casi trattati.

SCRIVETECI A QUESTA MAIL PROVVISORIA: ippocrateor@gmail.com (appena il sito Ippocrateorg.org sarà attivo ne apriremo un’altra)

Maggiori informazioni:

www.ippocrateorg.org (di prossima apertura)

 

QUI l’stanza di medici all’AIFA per la reintroduzione dell’Idrossiclorochina nel Covid 19: https://www.nursetimes.org/coronavirus-caos-idrossiclorochina-140-medici-contro-laifa/90879

Tutti i video di Mauro Rango:

[1]             Oggi oltre che nel trattamento della malaria, l’idrossiclorochina trova indicazione sia negli adulti che nei bambini in caso di artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico artrite idiopatica giovanile ,con precauzioni raccomandate per: problemi alla retina,patologie cardiovascolari,cardiomiopatie,insufficienza cardiaca,prolungamento intervallo QT, insufficienza renale epatica, carenza di glucosio 6 fosfato deidrogenasi

[2]             L ‘effetto antivirale della idrossiclorochina sarebbe dovuto all’aumento del PH all’interno della cellula proprio perché si lega ai radicali acidi determinando un aumento del PH che diventa più basico con conseguente incapacità del virus a svilupparsi nella cellula .Altro meccanismo d’azione della idrossiclorochina è che impedisce al virus di legarsi alla Porfirina inibendo l’EME che è la parte non proteica della emoglobina( costituita da complesso Ferro+Porfirina+ossigeno) Il coronavirus impedisce il legame tra ferro e porfirina e quindi non si riesce più a trasportare ossigeno, l’idrossiclorochina forma un legame stabile con l’EME sottraendolo al coronavirus. L’azitromicina, invece, oltre all’azione antiinfiammatoria, ha attività antivirale ed immunomodulante.

[3]             Nel 2015 33 studi cinesi rilevavano tale pericolosità (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/26564594/

[4]             Uno studio retrospettivo della New York University evidenziava allungamento del tratto QT fino a 500msec (val nor QTc negli uomini 0,44sec ,nelle donne 0.45 sec) con rischio di severe aritmie, è quindi incredibile che nello studio venissero inclusi pazienti con insufficienza renale e contemporanea assunzione di Amiodarone controindicati nel trattamento con idrossiclorochina e azitromicina!!!,e’ spontaneo domandarsi se un tale studio sia ETICO Infatti un allungamento del tratto QT può determinare una aritmia severa che si chiama Torsione di Punta che degenera facilmente in una fibrillazione ventricolare, aritmia mortale che si risolve solo con la defibrillazione elettrica.

da qui

 

 

“La salute e un par de scarpe nove” – Elisabetta Teghil

 

…Quanno c’è ‘a salute c’è tutto
Basta ‘a salute e un par de scarpe nove
Poi girà tutto er monno
E m’accompagno da me

Tanto pe’ cantà- (E.Petrolini 1932) Nino Manfredi 1970

La lucidità di pensiero è stata destabilizzata da un virus, il Covid-19. Improvvisamente (quasi) tutti e tutte tre mesi fa, sinistra di classe compresa, sono stati colti/e dalla paura della malattia e del contagio. Il <qui si muore> è stata la risposta secca e anche violenta a qualsiasi tentativo di analisi e di riflessione sulla propaganda terroristica e sul controllo asfissiante messo in atto dal sistema di potere a cui non si è mai accompagnata, guarda caso, nessuna indagine degna di questo nome sulle cause reali e sulle ragioni della propagazione del virus soprattutto in Lombardia. C’è in ballo la salute, la salute è la cosa più importante è stato il refrain di questi mesi.

Ma che cos’è la salute? Cosa significa essere in salute, mantenersi in salute? La salute fisica e mentale, poi, sono inscindibili e sono il risultato dell’equilibrio del nostro essere. Non stiamo qui ad indagare posizionamenti e teorie, ci perderemmo nei meandri di una discussione senza fine ma sicuramente la salute non è legata ad una specifica malattia piuttosto dipende dalla qualità della vita e anche della morte in quella che sembra una contraddizione ma non lo è. E la qualità della vita proprio perché non dipende dalla presenza o dall’assenza della malattia non è altro che il rapporto intercorrente tra i nostri desideri e la possibilità di realizzarli, tra il nostro senso della vita e la rispondenza reale che a questo senso viene data.

Altrimenti perché ci sarebbe chi è disposto a giocarsi la vita per un ideale politico o a rischiarla per un traguardo che sia il raggiungimento di una cima inesplorata o la trasvolata dell’Atlantico o, molto più semplicemente, a indebitarsi per comprarsi una casa sapendo che molto probabilmente dovrà sfiancarsi di lavoro e mangiare come insegna la saggezza popolare “pane e cipolle”?

Pensate veramente che abbia avuto importanza la salute nuda e cruda per chi si è fatto/a ammazzare nelle piazze e nelle lotte per una vita che valesse la pena di essere vissuta? o per chi ha passato lunghissimi anni in carcere, per chi ha fatto il partigiano/a in montagna o semplicemente i picchetti alle quattro di mattina nel gelo dell’inverno?

Tra l’altro la propaganda mediatica terrorizzando le persone rispetto ad una singola malattia ha fatto di colpo dimenticare che si muore tutti i giorni, con numeri altissimi, continuamente, di cancro e di infarto, di malattie cardiovascolari e ictus, di tranquillanti e di ansiolitici… per quello che mangiamo e per quello che beviamo, per i luoghi che abitiamo, per il lavoro che facciamo, perché dobbiamo essere sempre efficienti e disponibili… e per questo ci dobbiamo imbottire di farmaci con lauti guadagni per le case farmaceutiche e per il business sanitario.

Raramente la distanza tra il concetto di salute propagandato dalla filiera sanitario-scientifica e la possibilità di salute reale delle persone è stata così grande.

La scienza, la ricerca scientifica, la medicina, come qualsiasi altra cosa non sono neutre, non sono asettiche e nemmeno imparziali. Possono essere piegate a seconda delle esigenze a questo o a quel risultato, possono essere usate per questo o quell’obiettivo e addirittura il tipo di ricerca effettuato è dovuto a questo o quell’interesse, a questo o quell’indirizzo di mercato. Le potenzialità insite nella scienza come strumento di controllo, indirizzo e uso delle coscienze e dei corpi e come volano economico, di mercato, di sfruttamento e di profitto sono state da subito chiare alla borghesia fino ad arrivare allo scientismo attuale vero e proprio pilastro dell’organizzazione di potere. Si aprono qui scenari inquietanti sull’uso e la manipolazione delle menti e dei corpi, sulla trasformazione stessa degli esseri umani e della terra, sulla creazione di individui addomesticati e ubbidienti. Di questo ormai sono consapevoli in molti/e.

E, allora, come può essere che invece di scatenare reazioni forti e lucide, invece di aprire nelle persone scenari di consapevolezza con azioni adeguate, perfino la sinistra di classe si sia fatta chiudere in casa, abbia indossato inutili mascherine, abbia assunto il distanziamento sociale, abbia barattato la necessità di agire politicamente con l’ubbidienza alle disposizioni del così detto lockdown? La mancata reazione fattiva ai provvedimenti polizieschi e al controllo sociale serrato ha contribuito non poco a confermare nei cittadini la sensazione della necessità di queste modalità e ha messo le premesse perché queste stesse modalità possano essere usate in futuro per qualsiasi altra occasione si inventi il sistema di potere. Ingenerando oltre tutto nella gente uno spaesamento dovuto alla percezione netta che il malessere che la attraversava fosse alla fin fine un problema personale di incapacità di adattamento.

Non ce la giochiamo forse ogni giorno la salute nuda e cruda per un paio di occhiali da sole, per un telefonino, per un lavoro? Detta così, in maniera secca, può essere un’affermazione destabilizzante, ma forse che non sappiamo come funziona questa società, non sappiamo che ogni giorno barattiamo la nostra salute per le illusioni che ci propina un modello economico che invece tesse trame contro di noi? Che ci farà morire alla prossima qualsivoglia occasione che non occorre che sia tremenda o emergenziale ma che costituisce la norma della nostra vita? non lo sappiamo questo, cioè che noi la salute la perdiamo ogni giorno? Il castello messo insieme sul Covid-19 è una grande mistificazione e non perché le persone non siano morte, quelle sono morte davvero, ma è una mistificazione che un virus ci faccia morire di più di quello che ci succede tutti i giorni.

La società neoliberista della democrazia riformista, del politicamente corretto, dello scientismo si è impossessata anche della morte. Il marketing della morte decide quando serve che alcune morti siano esaltate come nelle immagini delle file di camion con le bare che lasciano il cimitero di Bergamo e quando siano silenziate come i morti di cancro nelle zone industriali. Decide a tavolino il concetto di morte cerebrale e si arroga il diritto di decretare quando e come un essere umano può essere giudicato morto per poter avere organi di ricambio a suo piacimento. E lo decreta per legge. E’ lo Stato etico, quello che decide per noi quando e come ci possiamo divertire o lavorare, dormire o mangiare, studiare o sognare, spaventarci e chiuderci in casa o uscire e vedere gli amici, ma non tutti, un po’ alla volta, quello che decide se ci dobbiamo mettere le mascherine o no. Quello che decide quando, come e se possiamo vivere o morire.

E come per la salute, raramente la distanza tra democrazia reale e democrazia formale è stata così grande. Quasi ovunque, nei paesi <democratici avanzati>, esecutivi di fragile legittimità governano da anni senza e spesso contro il consenso popolare. Il potere esecutivo si è reso autonomo dalla società imponendole in una cieca marcia forzata neoliberista e neoconservatrice, “riforme” sociali regressive e misure normative e poliziesche sempre più repressive.

L’arretramento della <democrazia> è sconvolgente, in nome di uno stato di emergenza dichiarato a piacimento si procede alla demolizione sistematica dell’ordine costituzionale. Governare per mezzo di ordinanze e decisioni dall’alto è diventata pratica normale dell’esecutivo con la metodica operazione di frantumare ogni giorno attribuzioni e competenze di altri rami del potere e con l’apertura della strada di una sorta di<legalizzazione> di questo modo di operare. Le protezioni che, di norma, in una società così detta democratica controllano l’uso arbitrario del potere coercitivo dello Stato sono saltate. Si assiste così ad una riconfigurazione della sovranità che rinnega perfino i principi fondatori del liberalismo classico. Nella teoria liberal-democratica, lo stato di emergenza, il<potere prerogativo> di chi governa, nella terminologia di Locke,è un’eccezione destinata a salvare la norma fondamentale, cioè esattamente l’ordine costituzionale. In uno stato di allerta permanente, l’eccezione diventa la regola così ci ritroviamo da anni ormai l’esercito nelle strade perché avrebbe dovuto proteggerci da non meglio identificati attacchi terroristici o combattere lo sciacallaggio nelle zone terremotate, ci ritroviamo le città e i territori cosparsi di telecamere per la così detta sicurezza contro ultras, facinorosi, malfattori, stupratori… ”avremmo dovuto riprenderci la notte e invece ci siamo ritrovate sole con le telecamere” ha scritto tempo fa molto lucidamente una compagna femminista in occasione dello stupro e del femminicidio di Desirée Mariottini. E così ora nel frangente del Covid-19 avremmo dovuto riprenderci il senso della vita e invece ci siamo ritrovati/e da soli/e con una accelerazione fortissima del controllo, della repressione e dell’addomesticamento.

Per questo è necessario ripartire dai fondamentali, come si usa dire nel gioco del calcio. Il neoliberismo ha patriarcalizzato la società tutta, ha fagocitato nei suoi meccanismi ogni momento del nostro vivere, non abbiamo più spazio o tempo che ci appartenga realmente come per noi donne nel lavoro riproduttivo e di cura e spazio e tempo sono scanditi dal dominio. La capacità di capire cosa ci fa star bene e cosa ci fa star male nel dipanarsi della nostra esistenza vuol dire recuperare la politicità del privato, concetto che invece ormai viene rimbalzato come uno spot pubblicitario, mercificato e privato di qualsiasi contenuto reale, e renderci conto che qualsiasi mutamento e trasformazione sociale trasformeranno anche il nostro essere. La mancanza di socialità, il distanziamento, lo smart working, le mascherine, la cultura del sospetto e della diffidenza, la paura, l’affidamento e la delega sulle nostre scelte e sulle nostre modalità di vivere a chi detiene il potere ci trasformeranno in qualcosa di altro, perché il privato è politico e il sociale è il privato.

E’ accaduto un fatto devastante, l’essere umano-merce è senza “coscienza per sé”, è coscienza del capitale che opera per il suo tramite. Dominio reale del capitale oggi significa assoggettamento della coscienza individuale ai programmi di comportamento neoliberisti. Il capitalismo è metabolismo sociale e investe tutti i rapporti sociali e pertanto l’alienazione della coscienza individuale è generale e la si recupera con la rimozione di quei rapporti sociali di produzione che l’hanno generata. Le persone vengono programmate secondo i rapporti di riproduzione neoliberisti e così il dramma sociale è la riproduzione automatica, inconscia della programmazione fatta per loro dal capitale. E’ questa catena che va spezzata e si può spezzare solo ponendo le proprie pratiche politiche e personali fuori e contro questa società.

Riaffermare la nostra autonomia e autodeterminazione sottraendoci a questi valori mortiferi tutti i giorni e in tutti i momenti della nostra quotidianità dovrebbe diventare esercizio del nostro vivere trasmissibile così anche ad altre e altri: rompere l’assuefazione al controllo, ribaltare la colpevolizzazione in cui ci vogliono invischiare, recuperare la capacità di indignarci, rifiutare il feticcio della legalità, promuovere la criticità verso la meritocrazia, la gerarchia, l’autorità, smascherare l’uso improprio e di parte di parole come responsabilità, bene collettivo, solidarietà, unità di intenti…che vengono usate dal potere per sottomettere le singolarità ai suoi scopi e fini, esercitare il coraggio di esprimere apertamente la propria opinione.

Lo stato di emergenza permette allo Stato di trascendere la società e di imporre la sua autonomia dittatoriale. Avendo così acquisito il monopolio dell’azione e della decisione politica, lo Stato, incarnato da coloro che decidono dell’emergenza, diventa veramente sovrano e gode di poteri illimitati. La sua vera essenza si disvela quindi in situazioni di urgenza quando sceglie il nemico e decide di combatterlo. Quindi l’emergenza diventa fondamento ontologico dello Stato. Inoltre presentando l’emergenza non come un tempo e uno spazio circoscritti, ma come proveniente da una minaccia di cui non si conoscono veramente i contorni si fa in modo che il futuro sia un tempo senza certezze affidato alle decisioni e alla discrezionalità del sovrano di turno presentato come detentore della tutela e della protezione. Dovremmo rinunciare alla libertà per “proteggere” la nostra vita e andare a comprarci un paio di scarpe nuove.

Si va verso la monopolizzazione del vivente, accompagnata da un sequestro della vita reale da parte di chi pretende di tirarne le fila.

Tutto questo con l’esaltazione del moralismo che rigetta e rimuove il materialismo nell’analisi del mondo sociale ed economico. Si assiste ad un rivolgimento simbolico fondato sulla naturalizzazione degli schemi del pensiero neoliberale in conformità con il modello nord americano accettata con rassegnazione come sbocco obbligato quando non viene celebrata con entusiasmo gregario. Questo potere, come quello nazista, vuole basare il suo dominio sull’assenza di controparte, tutte le forme diverse e singolari sono eresie e perciò destinate a scomparire. Siamo tutti nella condizione di schiavi ai quali, se viene fatta salva la vita, contraggono un debito indissolubile. E’ questo il cortocircuito che dobbiamo scardinare. Dobbiamo smettere di pensare con la testa del nemico.

da qui

 

intervista con Chiara Montaldo

“Se la salute è un bene comune, non può dipendere dalle risorse individuali, non può essere considerata un privilegio, come accade in paesi come gli Stati Uniti d’America, o un diritto acquisito e dato per scontato ma sempre più fragile, come abbiamo constatato in questi mesi anche in Italia, né un servizio di fatto spesso inaccessibile, come in moltissimi paesi in via di sviluppo, ma come un diritto per tutte e tutti da conquistare e difendere e che richiede politiche e investimenti pubblici e una efficace cooperazione internazionale”: un messaggio chiaro e argomentato quello lanciato qualche settimana fa da Chiara Montaldo, Claudia Truppa e Valentina Mangano su Scienza&Pace Magazine, rivista online a cura del Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace dell’Università di Pisa.

Abbiamo raggiunto Chiara Montaldo, infettivologa presso l’Istituto Lazzaro Spallanzani, che collabora da molti anni con Medici Senza Frontiere.

Come è cambiato il vostro lavoro allo Spallanzani da quando sono arrivati i due pazienti cinesi?

All’inizio non avevamo contezza di quello che stava accadendo e non potevamo immaginare che il numero dei contagi sarebbe precipitato in quel modo: fra quello che avevano i due pazienti cinesi e quello che è accaduto poco dopo c’è stata talmente tanta differenza che sembravano due malattie differenti. Quando le colleghe hanno isolato il virus è stato importante perché è stato il primo passo per capire questo virus per noi nuovo e per orientare lo sforzo clinico ad una migliore gestione dei pazienti.

Come spiega la grande differenza fra quanto accaduto in alcune zone del Nord Italia e il resto del paese?

È una questione per lo più irrisolta. Non ci sono evidenze scientifiche sufficienti sul ruolo dell’inquinamento o del clima. Certamente ha pesato l’organizzazione sanitaria regionale e si è reso evidente il ruolo fondamentale di quella che in cooperazione chiamiamo “medicina di comunità”. In regioni come la Lombardia dove questa è stata pesantemente trascurata si son visti i risultati.

Su cosa è centrata la sua attuale attività di ricerca?

Il mio studio è rivolto ai farmaci in sperimentazione in questo momento. Non abbiamo ancora farmaci risolutivi.Un vaccino efficace potrebbe essere il cardine della gestione dell’infezione ma ci vogliono almeno 12/18 mesi per produrre, sperimentare e approvare un vaccino.

Concorda con chi dice che il virus si è indebolito?

Non è possibile dirlo, e continuare a parlare senza avere evidenze è un grande problema. Dall’inizio di questa epidemia c’è stata una cattiva gestione della comunicazione, che ha generato confusione nell’opinione pubblica. Non possiamo fare previsioni basandoci su conoscenze che ancora non abbiamo.

Dalla sua esperienza con Medici Senza Frontiere che idea si è fatta di quel che sta accadendo in Africa?

Non c’è dubbio che l’età, fattore prognostico determinante del Covid-19, in Africa abbia giocato e giochi un ruolo importante. Le fasce di età avanzata sono a maggior rischio di evoluzione sfavorevole del Covid-19, e queste fasce sono nettamente meno rappresentate nei paesi africani rispetto a quelli europei. Dall’altra parte molti paesi africani sono più preparati alla gestione delle epidemie avendo dovuto gestirne molte, anche estremamente gravi, e sono maggiormente abituati ad un approccio comunitario della medicina. A metà marzo ero in Zambia per una formazione, qui da noi eravamo nel pieno del picco, lì non c’era ancora un caso eppure avevano già predisposto controlli e sanificazioni, in aereoporto, in taxi, in albergo.

Adesso come procede la situazione?

I danni collaterali del Covid-19 in Africa rischiano di essere più impattanti del Covid stesso, perché con l’arrivo dell’epidemia sono stati ridotti i servizi per altre malattie come Hiv, malaria, Tbc. Le Ong svolgono un ruolo enorme nel cercare di fare il possibile su questo fronte, supportando i servizi di salute primaria già fragili in tanti paesi e ulteriormente indeboliti dalla pandemia. Precedenti esperienze, tra cui le recenti epidemie di Ebola, hanno dimostrato che un approccio verticale su una sola malattia, trascurando le altre, non è quello vincente.

Pensa che questa pandemia sia servita a far cadere pregiudizi e cattive reputazioni sulle Ong?

Sicuramente in questa vicenda le Ong sono tornate in prima linea in Europa: in Italia Medici senza Frontiere (MSF) e Emergency hanno dato un contributo importante supportando il sistema sanitario soprattutto in termini di controllo e prevenzione delle infezioni, aspetto determinante della lotta all’epidemia.

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