Virtuale, corpo, linguaggio, biopolitica…

camminare e fluttuare, precipizio, Dick, ambigua utopia, post-umano (e altro): insomma Antonio Caronia

di Giuliano Spagnul

spgnul-locandCARONIA

Chiunque abbia tentato di dare una definizione sinteticamente esaustiva della figura di Antonio Caronia si è trovato a fare i conti con una personalità multiforme e impermeabile alle categorizzazioni, anche quelle più eclettiche normalmente a disposizione. Lascerò quindi il compito di descriversi a Caronia stesso: «nell’esperienza dell’Ambigua1 maturava per me il riconoscimento (tardivo, lento e contrastato) della mia ‘vocazione’, cioè quella (di ‘divenire’ in senso deleuziano) un intellettuale. Termine che avevo sempre aborrito fin dalla gioventù, ma che descriveva meglio di ogni altro quello che ero e che ostinatamente negavo di essere. UAU – «Un’ambigua utopia» – era quindi, per me, il 77 che non avevo fatto e insieme l’elaborazione del lutto di una politica che era stata una parte così importante della mia vita per quasi 15 anni. Poi ci ho messo ancora tanto, naturalmente, ed è forse per questo che ho creduto di vivere relativamente felice negli anni 80, salvo accorgermi, tra l’86 e l’88, di quanto insoddisfatto fossi… E solo ora, come vedi, da intellettuale e senza vergognarmene, posso riallacciare rapporti e partecipare a iniziative in un centro sociale»2.

E ancora, due mesi prima della sua scomparsa, definisce meglio la sua sostanza di intellettuale capace di dire, in senso foucaultiano, la verità: «Non ne so abbastanza, molte delle cose di cui parlo sono cose di cui non so quasi nulla, più delle quattro cosine che vi dico non sono in grado di dirvi, non sono un professionista di nulla, non so niente, sono un dilettante, però in realtà mi diverto, perché mi piace fare queste cose qui, non voglio fare il professionista perché non ne sono capace. Va bé… allora…»3.

spagnul-agosto79

Antonio Caronia ci ha lasciati il 31 gennaio del 2013 e solo adesso si è riusciti a fare un convegno che non tanto ne onori la memoria ma cominci a porre le basi per un approccio al suo pensiero il meno accademico possibile. Convegno promosso da due istituzioni accademiche, il T-Node Planetary Collegium e l’Accademia di Belle Arti di Brera, istituzioni in cui lo stesso Caronia era inserito, anche se non riusciamo a capire bene quanto tollerato. Come tutte le persone più ricche di saperi e di umanità non poteva non risultare estremamente scomodo. La realizzazione, difficile, di queste giornate di studio, è debitrice dell’autorevolezza esercita da Giovanni Leghissa e dall’infaticabile tenacia organizzativa di Mauro Folci coadiuvata da Amos-Bianchi.

Il primo scoglio che questa iniziativa ha dovuto superare è stato l’incredibile coincidenza temporale con un altro convegno su Antonio Caronia organizzato negli stessi giorni a Berlino in occasione della traduzione del suo libro «Cyborg».4 Spostato alla settimana successiva, il convegno milanese si è svolto dunque il 5 e 6 giugno nella sala napoleonica di Brera e dopo i saluti, di prammatica, del direttore dell’Accademia, Franco Marocco, ha visto susseguirsi, a ritmo incalzante, gli interventi di ben 35 studiosi5, più o meno accademici, più o meno abitanti di questo pianeta, molto poco omogenei fra loro, per cultura, per posizione sociale, ma comunque tutti fortemente, empaticamente vicini alla figura di Antonio Caronia. Sarebbe laborioso e soprattutto noioso fare una rassegna dei vari interventi cercando di condensare in poche parole discorsi complessi e articolati. Quando gli atti saranno disponibili (probabilmente on-line) non si mancherà di darne prontamente notizia. Ora mi accontenterei di fare un rapido excursus, soffermandomi qua e là e cercando di evidenziare alcuni punti, non necessariamente i più importanti, ma semplicemente quelli che mi hanno più colpito; consapevole che comunque sia un resoconto è sempre partigiano.

Fabio Malagnini fra i primi relatori ha presentato una infografica composta da parole chiave raccolte in quattro word cloud e in altrettanti nuclei tematici: virtuale, corpo, linguaggio, biopolitica, estratte dalle opere di quel «filosofo e camminatore instancabile» che era Antonio Caronia. Forse la definizione più azzeccata per chi lo ha conosciuto personalmente. Infaticabile camminatore in montagna ma anche in città, nelle città a lui più care, Genova e Milano. Acceso sostenitore di quella «terapia nomade» di cui ci parla Philip K. Dick in «Mr. Lars, sognatore d’armi» che lo portava a percorrere le strade delle città come fossero dei passages verso altri mondi. Fossero questi centri sociali, scuole in cui sobillare gli studenti, case private in cui discutere, ridere, mangiare e bere, o piazze in cui manifestare. In una di quest’ultime, in piazza degli Affari, ci ricorda Mauro Folci «dovevate vederlo, all’occupazione della Borsa di Milano, era uno scandalo, un uomo mingherlino non più giovane e senza denti, con il megafono a batterie accanto alla faccia di un celerino cinque volte più grande di lui che gli urlava contro a volte ingiurie di servilismo altre volte con tono persuasivo come a volerlo liberare da quel ruolo infame». E non era solo ovviamente in quella piazza: con lui i giovani antagonisti, arrabbiati e a fianco a lui, un altro cattivo maestro Franco Berardi (Bifo).

Era poi così sovversivo Antonio Caronia? O, come il “suo” filosofo Michel Foucault che, a detta di Francesco Monico, era in realtà un conservatore anche Antonio può essere in definitiva considerato tale? In fondo è troppo facile cavarsela, come fa Monico, con l’etichetta di libertario; un trozkista anarchico?6 Se camminare sull’orlo del precipizio o in quella terra di nessuno, perché nessuno l’ha ancora percorsa, vuol dire essere conservatori, allora Caronia lo era. Ma cosa mai poteva voler conservare? La possibilità di mutare, di cambiare, di non rimanere radicato a un’essenza prestabilita, fissata. Esposto al rischio e al pericolo di vittorie mai definitive ma sempre portatrici di un mutamento capace di rimettere tutto nuovamente in discussione inaugurando una pratica del fallimento, o per meglio dire dell’operare inoperoso.

Che poi l’operare rivoluzionario vittorioso coniugato col termine oggi più in uso di attivismo – come ha spiegato un ex studente di Caronia, timido ed emozionato ma mordacemente resistente, Alessandro Sansottera – trova attualmente una pericolosa convergenza con l’attivismo del lavoro. Azienda e movimento, contrapposti nelle piazze rischiano di convergere in un uso del linguaggio che ha conseguenze, nella pratica, devastanti. Discorsi in sintonia con quelli di un’altra ex studentessa, Loretta Borrelli che ci parla di relazioni contro connessioni come l’unica possibilità di sentire ancora l’esperienza della libertà. Gabriella Galati tocca un punto importante che ci apre a un’altra prospettiva, un altro versante del sapere di Caronia, quello più specificamente antropologico, ammesso che i vari saperi in lui possano mantenere una qualsivoglia barriera di contenimento. Il significato fluttuante, così come è stato definito da Claude Levy-Strauss7.

E ancora in tono un po’ brusco, quasi militaresco (che avesse ragione Robert Musil quando scriveva che «i filosofi sono dei violenti che non dispongono di un esercito»?) Giovanni Leghissa introduce al postumano, tema divenuto sempre più decisivo negli ultimi anni di vita di Antonio Caronia, a cui Leghissa aveva chiesto un intervento per il numero monografico di «Aut Aut»8 ma a cui non ha fatto in tempo a partecipare.

Un excursus nella fantascienza, soprattutto delle origini, da parte di Domenico Gallo e un punto di vista inaspettato su un Caronia non amante della fantascienza con Daniele Brolli e tanti altri interventi ancora che speriamo vengano presto resi disponibili.

spagnul-1979piedeCaronia

Ma per avviarmi alla necessaria conclusione mi sembra arrivato il momento di porre la domanda che sta alla base di qualunque manifestazione di ricorrenza per un essere umano che non c’è più. Che cosa rimane, che cosa rimane di noi quando non ci siamo più? In generale possiamo cavarcela rimandando alle migliaia e migliaia di pagine sui culti degli antenati dei vari studi antropologici; per quel che ci riguarda qui, invece, abbiamo il problema di un intellettuale e del suo lascito, non solo teorico ma anche di vita, che in Antonio Caronia è praticamente inscindibile. Ecco allora nell’ultimo intervento, conclusivo, un’altra ex studentessa di Caronia, Francesca Marianna Consonni, ricordarci che esiste un lascito materiale, i libri, cioè la biblioteca di Caronia che giace sigillata in uno spazio occupato alla periferia di Milano e che aspetta di essere inserita in un progetto da costruire collettivamente. Ottimo finale di convegno: un finale che apre, invece di chiudere, a un nuovo progetto collettivo. Sì, sarebbe bello se fosse così, ma alle volte la verità è spietata e dietro alle migliori intenzioni, capita emergano quelle fredde e vuote razionalizzazioni che stanno alla base di tante mitizzazioni e quindi sterilizzazioni di cui la storia, ahinoi, è piena. Francesca Marianna, probabilmente in un eccesso d’amore per colui che ha eretto a maestro dell’oralità pura, ha costruito un’idea di biblioteca come «discorso in cui non c’è niente di superfluo» perché tutto quello che c’era di superfluo era già stato precedentemente «allontanato»; come, per esempio, tutto l’archivio della rivista «Un’Ambigua utopia» e i romanzi di narrativa fantascientifica (eccetto Dick e Ballard) lasciato al Centro Torchiera. Probabilmente materiale infetto, o comunque spurio, capace di contaminare quell’indice della BIBLIOTECA, tramite cui è ancora possibile «sentire la risonanza, attraverso una catalogazione, di tutta la sua oralità». Un mondo chiuso privo di quell’eccedenza, di quel superfluo così indispensabile nel discorso di Caronia. Una biblioteca santuario, come in quel tetro film, ma forse tra i più veri di Truffaut, «La camera verde» in cui all’amante morta si edifica una stanza piena di ceri tenuti sempre accesi.

Per concludere, cercando di dissacrare il più possibile – sapendo in questo di essere in buona compagnia col mio amico Antonio- visto che si sono chieste proposte, propongo che questi 7 mila libri, intonsi, perché trattati con cura maniacale da Antonio (ognuno ha diritto alla sua coperta di Linus) vengano comprati attraverso una colletta da parte dei tanti amici, colleghi, ecc. e regalati all’Accademia di Brera2 dove Antonio ha insegnato e sobillato per anni. E che i soldi ricavati vengano destinati a quel nipotino che non ha fatto in tempo a vedere e che potrà avere un ricordo del nonno, nei prossimi tempi bui e disperati che ci attendono, per dirla alla Bifo, concretamente tangibile.

NOTE

1 – Un’ambigua utopia, rivista fondata nel 1977 dal collettivo omonimo. Per una sua storia http://un-ambigua-utopia.blogspot.it/2014/12/antonio-caronia-quando-i-marziani.html

 

2 – Lettera privata del 16.6.2001

 

 

 

 

8- «Aut Aut» numero 361, gennaio-marzo 2014, Il Saggiatore: «La condizione postumana», numero monografico a cura di Giovanni Leghissa

 

 

 

 

 

 

 

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *