Visavì – 2 – Gorizia Dance Festival Gorizia-Nova Gorica 11-15/10/2023
susanna sinigaglia
Visavì – 2
Gorizia Dance Festival
Gorizia-Nova Gorica
11-15/10/2023
Come annunciato nella prima parte, la recensione procede seguendo l’ordine di grandezza delle compagnie. La seconda parte inizia dunque con Coreofonie # Le Sacre di EgriBiancoDanza, una coreografia ospitata a Cormons, nel giardino di Palazzo Locatelli il 13 ottobre. Interpretato da quattro performer, ci si trova di fronte a un lavoro un po’ inquietante e nello stesso tempo dal titolo curioso, dove “le sacre” rimanda al celeberrimo lavoro di Igor Stravinskij, Le sacre du printemps. All’ingresso una gentile assistente spiega al pubblico che è in funzione un dispositivo speciale in grado di rilevare i suoi umori: la loro qualità orienterà l’esito della performance e perciò il destino dell’Eletta. Con questa misteriosa responsabilità, legata a elementi che sfuggono alla loro portata, gli spettatori si sparpagliano lungo i lati di quello che appare a metà giardino e a metà corte, visto che la sua pavimentazione deve essere percorsa dai quattro protagonisti, tre giovani maschi e l’interprete dell’Eletta.
Già questa sproporzione è poco rassicurante…
I quattro iniziano a percorrere il perimetro dello spazio; i tre maschi sembrano animali che fiutino la preda prima di avventarlesi addosso,
mentre la ragazza si guarda intorno inquieta pensando forse a come affrontare l’imminente pericolo.
E l’inseguimento ha inizio. Prima viene avvicinata da uno dei suoi persecutori che la tampina alle spalle mentre gli altri si preparano alla caccia, poi l’accerchiano.
La giovane scappa, viene presa in mezzo, si divincola, riesce a sfuggire varie volte alla cattura,
tanto che gli inseguitori le concedono un attimo di tregua per consultarsi sulla strategia da seguire.
La nuova strategia funziona, viene catturata.
E dopo un altro vano tentativo di fuga, alla fine deve arrendersi: è sconfitta.
Il pubblico resta un po’ sgomento, e sentendosi un po’ in colpa si chiede che cosa abbia fatto (o non fatto) per meritarsi un epilogo così drammatico… Mi sono perciò, a mia volta, chiesta che senso abbia un rivelatore degli umori all’ingresso dello spazio quando ancora il pubblico è completamente all’oscuro di quanto vi avverrà e in base a che cosa si decida la sorte della giovane.
Riguardo alla costruzione dello spettacolo, i suoni su cui si muovono i performer sono tratti dall’opera di Stravinskij destrutturata elettronicamente. I suoi frammenti sono stati poi legati ad alcune frasi e fasi coreografiche che, per il resto, sono lasciate all’improvvisazione in quanto le dinamiche si sviluppano al momento e il finale è sempre aperto. Quanto al primo termine del titolo, “coreofonie”, mi sembra che si possa riferire a “coreutica” (ma anche a coreografia) e “sinfonie”, dando così vita a questo strano connubio.
Gradisca d’Isonzo, davanti al cortile di Palazzo Torriani
Altro lavoro con quattro perfomer è Four, di AreArea. Nota per le sue creazioni in spazi all’aperto e non legate alla rappresentazione teatrale, la compagnia si esibisce nel cortile di Palazzo Torriani a Gradisca d’Isonzo.
Le dinamiche d’esplorazione dello spazio s’intrecciano con quelle d’esplorazione dei rapporti e ne determinano il segno; di simpatia o rifiuto, ostilità o amicizia, curiosità o chiusura. Da uno stato iniziale di quasi immobilismo, di scoperta di quanto li circonda, di misurazione delle distanze fra i corpi e fra le cose, inizia il percorso dei quattro giovani (due ragazze e due ragazzi) che attraversano il cortile in lungo e in largo, incrociandosi e valutandosi con lo sguardo, a volte con timore, senza interagire.
Poi inizia l’imitazione reciproca dei gesti, dei modi di abitare gli spazi salendo sui cubi disposti nel cortile e scendendone,
moltiplicando infine a coppie o insieme le interazioni fino a creare sequenze vere e proprie o improvvisazioni ispirate dalle emozioni del momento.
Infine a uno a uno, i performer lasciano il cortile per ritrovarsi sulla balconata – da dove erano scesi all’inizio – a contemplare se stessi in relazione allo spazio sottostante da loro abitato in precedenza e ora di nuovo vuoto.
Ed eccoci alle compagnie più grandi. Girls&Boys è una coreografia creata da Roy Assaf per la ZfinMalta National Dance Company diretta da Paolo Mangiola: come afferma lui stesso “Girls&Boys – endless years of brainwashing (ragazze e ragazzi, anni e anni di lavaggio del cervello)”.
In modo divertente e acuto mostra gli stereotipi di genere attraverso l’interpretazione di cinque ragazze e cinque ragazzi. All’inizio i due gruppi sono rigorosamente separati, quando è in scena l’uno non c’è l’altro. I ragazzi mostrano tutti gli aspetti più deteriori del maschile: esibizione di forza, sfida, tracotanza insieme a una certa superficialità.
Le ragazze sono leziose, un po’ schizzinose, e quando compaiono insieme ai ragazzi si lasciano manipolare.
Almeno per un po’.
Però a un certo punto i due gruppi si consultano fra loro
e le ragazze decidono di ribellarsi al proprio ruolo e a quello del maschile;
in una scena molto divertente inseguono i ragazzi fuori e dietro le quinte, finendo poi per prendere il sopravvento e giocare con loro.
Oltre a Distance che ha inaugurato il festival, a Cultus di Roberto Zappalà e al Visavì Experimental Contest della Compagnia Bellanda – che non ho visto –, sono due gli spettacoli interpretati da performer molto numerosi: il Gran Bolero del coreografo e danzatore Jesus Rubio Gamo, eseguito da sei componenti della En-Knap Group Dance Company di Lubiana e sei della Zagreb Dance Company di Zagabria; Now and never again, ultimo lavoro di Jeroen Verbruggen e Maša Kolar eseguito dalla Rijeka Ballet Company in anteprima, a ingresso libero. Infatti la compagnia ha sostituito all’ultimo minuto la Kibbutz Contemporary Dance Company, che avrebbe dovuto interpretare la coreografia Me Anì (Who Am I) di Léa Bessoudo Greck, impossibilita a lasciare Israele per intuibili ragioni.
Naturalmente, Gran Bolero fa riferimento all’intramontabile e sempre travolgente Bolero di Ravel. Jesus Rubio ne crea tuttavia una versione molto originale sia per la quantità di interpreti che riempiono la scena (non a caso il titolo è “gran” bolero) sia per l’intensità del suo crescendo mozzafiato. Rubio racconta la genesi di questo bolero così particolare in un piccolo pamphlet distribuito al pubblico.
Nel 2009 era tornato da Londra nella sua città natale, Madrid, in un momento di grandi difficoltà sia economiche sia sociali, non c’era lavoro. Finché non si affermò Podemos e la gente scese in piazza per reclamare un futuro migliore. Ritornò la speranza nel cambiamento. Fu a quel punto che il coreografo-danzatore s’imbatté nel Bolero di Ravel. E fu la scintilla di un amore che dura tuttora, una specie di miracolo che si ripete ogni volta che viene messo in scena. È proprio la ripetizione, secondo Rubio, la chiave di volta che spiega l’intramontabilità del successo del Bolero. La ripetizione determina l’insaziabilità del desiderio che vuole essere appagato ancora e ancora e ancora. Però pur nella ripetizione si produce uno scarto, magari minimo, ed è la piccola percezione dello scarto che concorre ad accrescere il piacere; in questo caso, il piacere della novità. Sembra lo stesso meccanismo che induce i bambini a voler sentir raccontare per l’ennesima volta la fiaba preferita, o noi adulti a rivedere i film “cult” o a rileggere romanzi che si conoscono a memoria: è il piacere insopprimibile della ripetizione e nello stesso tempo della riscoperta.
Forse per esprimere tale piacere irrefrenabile, Gran Bolero culmina in una specie di spogliarello di alcuni e alcune che sul finire della coreografia cominciano a togliersi maglietta, pantaloni, reggiseno fino agli slip in certi casi, con un gesto lasciato alla decisione di ogni performer che trascina il pubblico entusiasta dentro il loro erotismo liberatorio collettivo.
Now and Never Again è un lavoro composto da due coreografie: Adam and Eve di Maša Kolar e 4Never di Jeroen Verbruggen. A parte la perfezione dei gesti, mi ha colpito il rapporto che stabiliva in particolare Jeroen Verbruggen con ogni singola persona della compagnia. Poiché si trattava di un’anteprima, una sorta di prova aperta, il coreografo interrompeva di tanto in tanto l’esecuzione della performance per un suggerimento o un’osservazione. Il pubblico ha quindi potuto assaporare il piacere di assistere al lavoro nel suo divenire, e tale circostanza ha conferito allo spettacolo una qualità, una “marcia in più” davvero ammirevoli. Di ogni persona emergeva l’originalità interpretativa e nello stesso tempo era quasi palpabile la sintonia che si creava nel gruppo composto da tante singolarità.
Si evince che 4Never si riferisce allo scorrere delle stagioni: si susseguono puntuali anno dopo anno ma si lasciano alle spalle eventi che a volte purtroppo, a volte per fortuna, non torneranno mai più in una data forma e date circostanze. Anche in questo caso si presenta, sebbene in un’accezione molto diversa, il binomio ripetizione-scarto. Qui si avverte tuttavia il rischio dell’imponderabile, di quanto d’inatteso potrà riservarci il futuro, e forse è questa la ragione per cui la coreografia è stata abbinata – fondendosi con essa – a Adam and Eve, il primo uomo e la prima donna che dovettero affrontare il rischio della condizione umana.