Visavì – Gorizia Dance Festival

di Susanna Sinigaglia

Visavì

Gorizia Dance Festival

A fine settembre con gradevole sorpresa, mi è arrivato l’invito degli ArtistiAssociati per questa seconda edizione del festival che, l’anno passato, mi aveva piacevolmente coinvolto e fatto conoscere Gorizia, una città incantevole. Perciò quest’anno avevo già dei punti di riferimento strutturali e umani come Martina dell’Ufficio stampa e il suo staff di collaboratrici/collaboratori, l’albergo con il suo personale, i bar dove andare a fare colazione o per un bicchiere la sera, un ristorante dove gustare il tartufo. E ho saputo orientarmi in città senza chiedere troppo ai passanti, comunque sempre gentili e disponibili a darti indicazioni utili.

Infine ho potuto vedere Nova Gorica, dichiarata zona rossa l’anno scorso già durante il festival, che il pubblico raggiungeva con una navetta messa a disposizione dagli organizzatori.

 

Icarus

MN Dance Company / Michal Rynia, Nastja Bremee Rynia

La performance si è svolta a Nova Gorica, al Teatro nazionale sloveno dove si sono tenuti tutti gli spettacoli presentati nella cittadina omologa di Gorizia. La compagnia è formata da dieci fra danzatrici e danzatori quasi tutti molto giovani.

Il tema di Icaro è interpretato sia come anelito al volo sia come inevitabile caduta di chi aspira a grandi imprese senza avere gli strumenti sufficienti per renderle possibili. La coreografia è composta da tanti quadri, ognuno concluso in sé, ma dove non prevale la figura di un Icaro velleitario o idealista-sognatore. Quindi si avverte un senso d’incompiuto, di sospeso, come se i danzatori alla ricerca di una interpretazione soddisfacente di Icaro avessero la necessità di riprovare, fare ancora un tentativo per decidere quale direzione prendere. Nel frattempo, fra un quadro e l’altro, s’inseriscono momenti di danza belli ma un po’ incoerenti con il tema, quasi dei diversivi; per esempio, il duetto fra una danzatrice e un danzatore, che dovrebbe rappresentare un amore di Icaro.

Si ha così l’impressione di un lavoro frammentato anche se con momenti molto suggestivi come quando, in varie scene della coreografia, i corpi stesi a terra dei performer formano una specie di rosa ruotante.

Infine, il quadro si precisa e la figura di Icaro è pienamente sviluppata, dall’anelito al volo alla rovinosa caduta. È l’ultimo quadro: il destino di Icaro si è compiuto.

Inferno

ALDES / Roberto Castello

La performance inizia in tono molto cupo: si sente un rimbombo, un susseguirsi di boati mentre sulla montagna che domina lo sfondo gli alberelli saltano in aria per le esplosioni di cui s’intravedono i lampi: tempesta o guerra? Forse entrambe. Dopo vari minuti entra in scena una ragazza con un costume di lustrini che si rannicchia a terra come per ripararsi dai colpi; a lei si aggiungono poco a poco altri personaggi, maschili e femminili, che trasformano la scena in qualcos’altro fino a dar vita a un cacofonico chiacchiericcio.

La montagna non scompare ma passa in secondo piano: al centro dell’attenzione ci sono personaggi che interpretano una scherzosa pantomima abbigliati in varie fogge, trasandati o eccentrici,

e infine compaiono tutti in costume di lustrini come tante ballerine di un luccicante e frizzante show, magari televisivo.

Questa curiosa metamorfosi sembra volerci dire che l’inferno, la guerra, è l’altra faccia della medaglia, la conseguenza, di una vita tutta vissuta all’insegna di apparenza e superficialità. Mentre da una parte si rincorre il consumismo altrove, altri esseri umani pur presenti come la montagna diventano figure mute e inascoltate testimoni di tragedie cancellate dall’assordante e accecante immagine di balletti e lustrini.

Tuttavia, mentre mi è parsa geniale perché spiazzante la scelta iniziale d’introdurre nel frastuono della scena la ragazza in costume di lustrini, la performance nel suo sviluppo perde completamente il richiamo all’altra faccia della medaglia, quella tragica. Ed è per questo che nel finale il ricorso al balletto come simbolo dello schermo dietro al quale si nascondono le brutture della civiltà occidentale mi è sembrato, oltre che già visto, anche ambiguo. Infatti i performer sembravano veramente divertiti e mi ha assalito il dubbio che il pubblico, in parte, credesse a quel finale scoppiettante.

Mi è molto piaciuta invece la video-installazione creata dal regista, dove scorrono forme luminose davvero originali, che avrei gradito senz’altro di più se non fosse stata proiettata alle spalle dei danzatori in lustrini. Ho comunque apprezzato l’idea di base della performance, che mostra le due facce dell’inferno: quella feroce della guerra o dello sconvolgimento climatico e quella frivola di chi non ne vuole sapere e, anzi, vuole continuare a vivere nel “paese dei balocchi”.

Les misérables

C&C Company / Carlo Massari

Sono tre uomini e una donna. All’inizio li vediamo in scena di spalle, con un costume che lascia completamente scoperte le natiche. Si voltano lentamente e possiamo osservarne appieno l’aspetto grottesco; suscitano un senso di ridicolo misto a compassione con quei capelli rossi arruffati e quel buffo costume fra l’osceno e il kitch. Si esprimono con gesti scomposti

 

 

 

 

 

 

e ogni tanto a parole ricorrendo a luoghi comuni, considerazioni stereotipe, continuando a sfilare in tondo, intruppati, sul palco come “girando a vuoto”;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

senza sapere dove andare, come orientarsi, tornano sempre allo stesso punto.

Di tanto in tanto uno di loro cade mentre gli altri se ne discostano, o lo guardano impauriti: è l’immagine dell’indifferenza, o paura del dolore che si vuole allontanare da sé non riconoscendolo nell’altro.

 

 

 

 

 

 

Si può dire, concludendo amaramente con le parole dell’autore, che: “Les misérables parla con ironia di noi, del presente, di bestialità, di xenofobia, della mancanza di autocoscienza, dell’accettare come verità tutto quello che ci viene detto”.

Visavì meets art

Arearea / Marta Bevilacqua

Avevo molto apprezzato il lavoro di questa compagnia l’anno scorso nella performance presentata in piazza Transalpina, lungo il confine con Nova Gorica, per testimoniare la vicinanza di Gorizia alla città chiusa per Covid.

Quest’anno il suo progetto si è rivolto in tutt’altra direzione, all’esplorazione del rapporto fra danza, spazio d’esposizione pittorica e opera d’arte. L’azione si è svolta negli ambienti di Palazzo Attems Petzenstein, sede della Pinacoteca dei Musei provinciali; ha interessato l’atrio, dove erano esposte le opere di Gian Carlo Venuto – testimoni della sua collaborazione fra il ’73 e il ‘79 nei laboratori artistici di Francesco Basaglia – e varie altre stanze con dipinti e sculture permanenti.

Apre la performance Marta Bevilacqua, in nero, entrando nell’atrio quasi in punta di piedi.

 

Le opere di Venuto sembrano fremiti, battiti, spirano fragilità, sono tocchi di delicatezza. Parlano di una pena quasi impossibile a dirsi e perciò solo accennata, trattenuta con dolente riservatezza.

La performer si avvicina alle opere con discrezione, percependone tutto il vissuto che vi è espresso o racchiuso.

Al centro della parete, l’immagine di Basaglia cui la performer rende omaggio e poi rivolge un saluto

 

avviandosi verso l’ingresso che conduce alle sale dei musei e invitando il pubblico a seguirla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qui ci aspetta un’altra performer, in un completo rosso che rimanda ai colori presenti sui quadri con i quali si relaziona danzando, raggiunta da un’altra

danzatrice, in bianco, cui si affiancano tre ragazze del pubblico invitate a interpretare con loro i quadri della sala.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ora prende il testimone la danzatrice in bianco, che “flirta” con un mezzo busto

prima di passare a dialogare con i quadri incontrati sul suo percorso, che sta volgendo alla fine.

 

 

 

 

 

 

 

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Così riguadagniamo l’atrio da cui tutto è iniziato e accogliamo con entusiasmo il commiato delle tre danzatrici che ci hanno accompagnato nella “visita guidata”.

Visavì Short Format

Questa sezione del festival era dedicata ai lavori in fieri di formazioni giovanili che hanno acceso l’interesse e l’approvazione del pubblico per la freschezza e, nello stresso tempo, il rigore. I quattro progetti fanno riferimento o al mito, come in Narciso e Aganis [1], o si avvalgono di metafore, come in T.R.I.P.O.F.O.B.I.A. o Bilismo, Bomo [2], per trovare risposte esistenziali.

 

Narciso

Coreografia
Giovanni Napoli
Interpretazione
Cosmo Sancilio

Quello proposto nella performance è un Narciso che s’interroga su se stesso; fra le mani, un grande specchio che sembra non riflettere più l’immagine del proprio autocompiacimento quanto piuttosto della propria dannazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È un Narciso in preda alla disperazione, che cerca di abbandonare lo specchio per distogliere lo sguardo dalla propria effigie in cui è intrappolato. Ma non riesce a liberarsene e inevitabilmente torna allo specchio, diventato ormai la sua condanna a vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

T.R.I.P.O.F.O.B.I.A

Coreografia
Pablo Girolami / Ivona
Interpretazione
Paolo Girolami
Giacomo Todeschi

Online ho trovato questa definizione di tripofobia:

“La tripofobia (dal greco trýpa, che significa “buco”, e phóbos che significa “paura”) è il timore morboso o la repulsione provocata da qualsiasi pattern costituito da figure geometriche ravvicinate. A scatenare la paura sono soprattutto i buchi, ma possono anche essere piccoli rettangoli, cerchi convessi o altre particolari forme che si ripetono. Nei casi più gravi, la tripofobia può provocare sintomi fisici o attacchi di panico in piena regola…”

Il performer entra in scena seminudo andando a collocarsi su una pedana al centro del palco. Ha sul corpo una specie di ventose che si staccano dalla sua pelle mano a mano che si muove al ritmo della musica di Max Richter.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In suo appoggio arriva il compagno, e insieme intrecciano strani percorsi dove a volte si sostengono, a volte entrano in competizione in un singolare rapporto di amore-odio.

 

Parlando alla fine con Pablo Girolami, gli ho detto che più che paura ho colto il conflitto fra i due danzatori. E Pablo mi ha fatto osservare come la sensazione di trovarsi in pericolo, la paura, può metterti in competizione con l’altro per cercare la salvezza solo per te. Ed è certo vero.

 

Bilismo, Bomo

Coreografia
Katja Kolarič e Andrej Supančič
Interpretazione
Katja Kolarič
Musiche
Andrej Supančič

Questo di Katja e Andrej è un progetto molto ambizioso. Vorrebbe raccontare la storia dell’universo e dell’essere umano, lo scorrere del tempo, l’evoluzione dell’esistenza. È un assolo che ho trovato piuttosto astratto, difficile da seguire nel suo sviluppo malgrado Katja sia un’interprete raffinata, preparata ed espressiva nel suo semplice costume verde pallido. Però il suo compito era davvero arduo. Forse sarebbe preferibile per i due giovani affrontare l’argomento con un approccio diverso, magari più storico e meno scientifico di quello che hanno invece adottato qui. E riportare la ricerca di un legame fra danza e scienza, nel loro caso la matematica visto che si riferiscono alla sequenza di Fibonacci, sul piano della sua applicazione pratica, della sua osservazione in natura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aganis

Coreografia
Giovanni Leonarduzzi / Compagnia Bellanda
Interpretazione
Lia Claudia Latini, Ludovica Ballarin, Sara Bravin, Aurora Conte, Valentina Staltari

Le Aganis, come viene spiegato nella presentazione della performance (vedi anche nota 1), sono ninfe, creature acquatiche mitologiche del Friuli; a volte dolcissime e seducenti, a volte aggressive e turbolente: le cinque giovani danzano in modo splendido in entrambe le accezioni. Hanno una preparazione classica pur frequentando varie versioni della danza contemporanea. Così racconta Leonarduzzi l’incontro con loro: “Da tempo desideravo confrontarmi con la danza accademica. Il materiale coreografico è dunque mutato grazie al rigore delle danzatrici, alla loro capacità di unisono. Hanno imparato movimenti specifici della breakdance per loro totalmente nuovi così a livello energetico la sezione a terra emana ampiezza e intensità”.

Si muovono formando in alternanza grovigli di piedi e mani rivolti verso l’alto, e gambe e braccia sembrano colli di cigno, oppure si disperdono ai quattro lati della scena per tornare poi al centro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sembrano petali di un fiore che si apra e si chiuda. Qualcuno mi ha detto che ha visto gli sviluppi della coreografia e ne è rimasto affascinato. Spero anch’io di averne la possibilità, magari il prossimo anno.

Soul Chain

Coreografia
tanzmainz / Sharon Eyal / Gai Behar

Questa performance aveva suscitato grande attesa. I suoi coreografi, israeliani, e danzatori vivono in Germania e hanno fama internazionale. In particolare Sharon Eyal è stata danzatrice, direttore artistico e coreografa, della Batsheva Dance Company per dodici anni e crea coreografie per compagnie di tutto il mondo. La tanzmainz è stabile allo Staatstheater Mainz (Teatro statale di Magonza) ed è una formazione composta da 21 elementi. Quindi ci si aspettava uno spettacolo imponente e ai massimi livelli.

Viviamo in tempi difficili e in Germania, come sappiamo, la quarta ondata di Covid ha già in ottobre cominciato a mietere vittime. Così, ci sono stati dei casi nella compagnia e hanno potuto raggiungere Gorizia solo quattro danzatori, fra cui una giovane e un giovane italiani, e un manager del teatro. Abbiamo però potuto ammirare il video che hanno girato, oltre che di stralci della coreografia in programma, anche di momenti della loro vita artistica e di alcuni interventi dei coreografi. E tutti abbiamo capito che è stato un vero peccato non aver potuto vedere questi formidabili danzatori dal vivo. Nei costumi color carne, lasciano trapelare una potenza fisica accompagnata da una potenza espressiva straordinaria che lascia emozionati e intimiditi.

 

Nelle brevi sequenze che si sono susseguite (il film dura 45 minuti) ho visto scorrere davanti agli occhi immagini che mi hanno evocato la Guerra mondiale con le sue tragedie, la storia d’Israele con i suoi miti, l’estremo militarismo mutuato dai propri peggiori nemici, i ribaltamenti della storia. Così spero che i lettori di questo articolo ne possano avere un assaggio nel video al seguente link:

https://www.staatstheater-mainz.com/web/veranstaltungen/tanz-21-22/soul-chain-ua

Nota in calce

Quest’anno il festival ha assunto un carattere decisamente internazionale e infatti si poteva verificarlo sia osservando gli ospiti dell’albergo, sia ascoltando parlare il pubblico nei foyer. Inoltre nel 2025 Gorizia e Nova Gorica saranno insignite del titolo di capitali europee della cultura. Sarà una tappa molto importante per due città finora considerate marginali ma che in realtà, se guardiamo all’Europa, si collocano perfettamente nella Mitteleuropa; concetto cultural-geografico che si è riaffacciato alla finestra della storia dopo la fine della Guerra fredda e sta ora tornando in auge dopo decenni di letargo.

Per queste ragioni, vorrei portare all’attenzione degli amministratori delle due città una carenza abbastanza macroscopica in entrambe e che mi ha colpito: quella di mezzi pubblici e taxi. In particolare, quando si arriva in stazione il parcheggio dei taxi è sempre vuoto e, per esempio, se si chiede telefonicamente un taxi per recarsi da una città all’altra, non si trova nessuna disponibilità né a Nova Gorica né a Gorizia. Una simile reticenza mi ha colpito se penso invece all’atteggiamento dei cittadini e alla solidarietà fra loro manifestata sia l’anno scorso sia quest’anno, e testimoniata dalla massiccia presenza di pubblico misto nelle tre sale dedicate al festival. Mi auguro che già per l’edizione 2022 questa carenza sia colmata, e che i legami fra le due città coinvolgano anche i tassisti.

[1] Figure mitologiche legate agli ambienti acquatici del Friuli.

[2] In sloveno significa, grosso modo, “noi eravamo”.

Susanna Sinigaglia
Non mi piace molto parlare in prima persona; dire “io sono”, “io faccio” questo e quello ecc. ma per accontentare gli amici-compagni della Bottega, mi piego.
Quindi , sono nata ad Ancona e amo il mare ma sto a Milano da tutta una vita e non so se abiterei da qualsiasi altra parte. M’impegno su vari fronti (la questione Israele-Palestina con tutte le sue ricadute, ma anche per la difesa dell’ambiente); lavoro da anni a un progetto di scrittura e a uno artistico con successi alterni. È la passione per la ricerca che ha nutrito i miei progetti.

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