«Vita e potenza: Marco Aurelio, Spinoza e Nietzsche»
La recensione-riflessione di Giuliano Spagnul sul nuovo libro di Rossella Fabbrichesi
Nel suo penultimo libro Cosa si fa quando si fa filosofia? (1) Rossella Fabbrichesi non può esimersi dal constatare che la propria disciplina, per lunghi secoli «considerata eminentemente come contemplazione e riflessione», oggi si ritrovi costretta a ritagliarsi «al più uno spazio ‘sofistico’». I filosofi si vendono come opinionisti e «vendono le proprie piccole idee come merci al mercato globale, o come medicine nei sanatori per le anime. La filosofia contemporanea non è divenuta ‘grande politica’ (e neppure ‘grande salute’, nella terminologia di Nietzsche), ha preferito fornire supporto argomentativo alle nuove scienze – da regina a servetta che spazza il terreno dai dubbi etici e dagli ostacoli dialettici, che triste parabola!» (2). È sotto gli occhi di tutti quanto questa devastante piega (o piaga, per meglio dire) sia diventata predominante nella nostra quotidianità, e come quel fare filosofia, che a vari livelli apparteneva a tutto il genere umano (dalla filosofia ”grossolana” del cosiddetto uomo semplice a quella più “impegnata” in un corpo a corpo con la Verità) al contrario si sia trasformata sostanzialmente nell’aderire o meno alla sentenza dell’opinionista di turno. Rimane un po’ discosto, pensandosi se mai anche al riparo, lo specialista della materia, quello che Fabbrichesi definisce nel suo ultimo libro «Vita e potenza» (3) come il pensatore «che si chiude nelle cittadelle universitarie [e] diventa un ‘artista della ragione’, e la filosofia diviene un mestiere: non più formazione di uomini, ma specialismo astratto indirizzato ad altri specialisti che conducono altrove le loro vite, spesso perseguendo obiettivi del tutto diversi». (4) Per l’autrice invece la «filosofia non è imparare a leggere e situare nel tempo gli autori (e non è arte logica, né studio della fisica dei corpi celesti e dei pianeti, o semplicemente esercizio retorico), ma pratica in actu che si traduce nei gesti e nei comportamenti quotidiani». (5)
Da queste premesse il libro si apre a un discorso complesso quanto lineare sulle vite filosofiche di tre esseri umani nel loro costante e irriducibile interrogarsi su quale sapere possa «essere fecondo, se non conduce a trasformare e trasformarsi?». (6) Un imperatore, lo stoico Marco Aurelio, un filosofo esiliato dalla sua comunità, Spinoza e il filosofo folle Nietzsche. La follia di quest’ultimo potrebbe sembrare la chiusa pessimistica di una ragione che, se lucida, non può che portare all‘comunicabilità e incondivisibilità di alcun mondo possibile. E di fatto questi ultimi decenni, nel nuovo millennio, sembrerebbero confermarci la triste prognosi di una malattia terminale di cui ormai è affetta l’intera umanità. Ma qui la domanda: a cosa serve una filosofia (e soprattutto la pratica di questa) se evidentemente porta alla follia come per Nietzsche o all’esilio per Spinoza, follia e solitudine a chi giova? In realtà la possibile lettura pessimistica (fino a rasentare il nichilismo) di un siffatto percorso filosofico che rimanda a un governo di se stessi agli antipodi del pensiero dominante, quello che ci vede proiettati in una dinamica di libero arbitrio capace di farci sentire colpevoli per ogni scelta sbagliata e onnipotenti per ognuna giusta e vincente, trova il suo antidoto proprio in quel rischioso buco nero a cui si da il nome di follia.
Danzare sul bordo dell’abisso è la condizione che contraddistingue la nostra avventura umana. Non cadervi dentro, quanto non allontanarvisi troppo, è il compito arduo che il filosofo, non di mestiere ma di vita, ha cercato da sempre di praticare. Insegnare? Sì, ma solo a condizione di esserne esempio vivente! Filosofia che si pratica innanzitutto per sé, per realizzare una “vita felice” in cui «la conoscenza [serva] la vita e non la vita la conoscenza» (7). Attraverso questa concezione che lega indissolubilmente vita e pensiero, si dipana l’itinerario di una ricerca del potere e del piacere nel dialogo costante con se stessi (quel lavoro di sé su di sé di cui ci parla l’ultimo Foucault) per diventare amici del proprio daimon. Quel demone che ognuno di noi si trova assegnato fin dalla nascita e che ci determina verso un destino che è il nostro e solo il nostro. Quanto più riusciremo a farcelo amico tanto più saremo in grado di controllare e governare spazi di libertà, tanto meno lo conosceremo tanto più il cosiddetto libero arbitrio resterà favola per gli sciocchi e anelito a un potere illusorio, in ultima istanza, distruttivo quanto autodistruttivo.
Per rispondere alla domanda “che cosa devo fare della mia vita?” – vero leit motiv di tutto il libro – non bisogna incorrere nello sbaglio che si debba ingaggiare una battaglia con l’esistenza, piuttosto occorre precisare che l’unico vero dominio che si può acquisire sulla propria vita riguarderà sempre un esercizio in actu e quindi non una lotta ma piuttosto una danza. La ragione, per Nietzsche, deve avere i piedi leggeri. Solo con questa leggerezza potremo conoscere ciò che fa parte della nostra essenza senza scambiarla per alcunché di universale. La potenza e la vita che fanno da strillo nella copertina di questo libro, insieme alla caustica immagine della statua greca del pugile (un po’ suonato?) delle terme, sono i due termini con cui si gioca la possibilità di una vita ascendente piuttosto che declinante. Una vita felice (ma che inevitabilmente affronta il dolore che le è intimamente legato) piuttosto che una vita dominata dalle passioni tristi, che non sa dire sì, mai, a nessun attimo degno di essere vissuto come bello, per l’ansia di non poterlo possedere, per sempre. E ancora, ancora questo libro ci racconta l’alchimia e la felicità di lavorare sulla materia della propria vita come, appunto, fa la trasmutazione che dal fango estrae l’oro.
Ma questo libro – così denso e così tenace nel tenere le fila di un discorso sulle pratiche della cura di sé (mai, ribadiamolo, come dominio acquisito ma sempre come esercizio in actu) attraverso il pensiero e la vita (non disgiunte) di questi tre grandi esempi – non può non interrogarci, infine, sul pensiero e la vita dell’autrice. Autrice appunto, donna che parla di tre uomini in un libro in cui nell’introduzione si dice ispirata a due grandi autrici contemporanee: Simone Weil e Rachel Bespaloff , ma che qui nell’introduzione rimangono relegate, e che parla del ruolo fondamentale che Lou André Salome ha avuto nella vita di Nietzsche (in contrapposizione all’altro ruolo fondamentale della sorella Elisabeth Förester-Nietzsche) ma senza aprire al suo pensiero e alle sue ragioni (o sragioni). Non è qui questione del “ruolo” delle donne… di equilibri e bilancini, ma c’è un’ombra che aleggia e inquieta la lettura di questo libro (e non è detto che non sia un pregio comunque) e cioè che quella follia, quell’esilio e forse anche la solitudine di un imperatore, siano in realtà prerogative di un mondo, quello femminile, a cui l’uomo (parlo di noi maschi) non può accedere se non con l’esito fatale di alcun ritorno possibile. Donne possibili streghe, gli inquisitori avevano la vista lunga; ma ora le streghe sono tornate e rivendicano apertamente di voler inseguire il proprio demone e di fare della propria vita un esperimento, il proprio e non quello assegnatole da altri. Forse occorrerebbe rivedere la storia di quegli uomini – degli uomini – per una volta tanto all’ombra di quelle donne.
Chiedo scusa all’autrice, a una donna, ma questo è ciò che di più importante penso di aver ricevuto dal suo libro; il resto rimane utile quanto sicuramente affascinante, come doloroso. Ma la lacuna, il buco che mi sembra di aver percepito è quello da cui è necessario partire per un vero “disassoggettamento” e “risoggettivazione” del soggetto umano, troppo umano, costantemente a rischio di precipitare nell’abisso in cui solo il saper danzare sui bordi può salvarlo.
Nota 1: Rossella Fabbrichesi «Cosa si fa quando si fa filosofia?», Raffaello Cortina Editore, Milano, 2017. Cfr in “bottega” https://www.labottegadelbarbieri.org/il-quotidiano-orrore-lofficina-e-il-pizzaiolo-egiziano/
Nota 2: Ivi, p. 52
Nota 3: R. Fabbrichesi, «Vita e potenza», Raffaello Cortina Editore, Milano, 2022
Nota 4: Ivi, p. 16
Nota 5: Ivi, p. 15
Nota 6: Ivi, p. 26
Nota 7: Ivi, p. 20