Vittime e processi: negazione di verità e giustizia nella…

… nella Next Generation Ue

di Lucia Vastano (*)

E’ da mesi che si discute di quanto una mascherina sul viso sia una minaccia alla nostra libertà. Eppure il 24 maggio scorso la benda che nelle aule dei Tribunali copriva gli occhi della dea bendata che impugna la bilancia della Giustizia è calata sulla sua bocca, nel silenzio distratto dei media.

Un mese fa è stata infatti pubblicata a cura del ministero della Giustizia la «Relazione finale e proposte di emendamenti al DDL AC 2435» emessa dalla Commissione di studio, presieduta da Giorgio Lattanzi, per elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché in materia di prescrizione del reato al fine di accelerare i procedimenti giudiziari. Così come è stato chiesto dalla Commissione europea nel Next Generation UE come conditio sine qua non affinché l’Italia possa avere accesso ai 209 miliardi di euro (il 27,8% del totale) per rilanciare l’economia messa KO dal Covid.

Secondo il comitato NOI, 9 OTTOBRE di cui fanno parte magistrati, avvocati e giuristi nonché numerose associazioni di vittime di stragi del lavoro e del profitto e movimenti che da anni si battono per la sicurezza sui luoghi di lavoro, nelle comunità e sui territori, questo documento si propone di mettere nell’angolo nei processi, insieme alle vittime e alle parti civili offese, anche verità, giustizia e i diritti costituzionali di tutti i cittadini.

Apparentemente il capitolo 2.1 – «definizione delle vittime di reato e costituzione di parte civile» – sembra andare incontro alla direttiva UE (25 ottobre 2012) in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato. In realtà, come sempre, il diavolo si nasconde nei dettagli.

In primis la Commissione Lattanzi vuole escludere quasi del tutto dai processi penali le parti civili, a meno che a costituirsi parte civile non sia la vittima stessa, come previsto dall’articolo 185 del cpp (la vittima di un reato può proporre l’azione civile nel processo penale per il risarcimento dei danni, patrimoniali o non). Si tende a indurre le vittime a rivalersi economicamente in ambito civile piuttosto che cercare verità e giustizia in sede penale.

L’ostinata e spesso eroica volontà delle vittime a far sentire la propria voce nel corso del processo penale viene vista come impropria ricerca di vendetta, così perlomeno si evince dal titolo di un’intervista a Domenico Pulitanò (La proposta di Lattanzi dice addio alla giustizia vendicativa) pubblicata sul quotidiano edito dal Consiglio Nazionale Forense «IL DUBBIO» (https://www.ildubbio.news/2021/06/03/la-proposta-lattanzi-dice-addio-allidea-della-giustizia-vendicativa/).

In altre parole si cade nel conveniente luogo comune: a muovere vittime e superstiti, impegnati per anni e anni nelle udienze, con enormi sacrifici, sia economici che psicologici, vi sarebbe soltanto la ricerca di vendetta o di soldi.

«Ci sentiamo umiliati, per dirla alla napoletana “cornuti e mazziati”. Per noi l’unico scopo è avere giustizia e verità, non solo per i nostri cari morti, ma anche per evitare che ad altri (potenzialmente a tutti noi) tocchi la stessa sorte. Cercare giustizia nei tribunali ha solo questo significato per noi: evitare stragi, morti innocenti, evitare che si distruggano le comunità e l’ambiente. Evitare che ci sia chi può permettersi di stare sopra la legge che tutti noi dobbiamo rispettare» dice Adele Chiello Tusa del comitato NOI, 9 OTTOBRE, madre di Giuseppe morto con il crollo della Torre Piloti di Genova il 7 maggio 2013. Da otto anni, Adele che risiede in Sicilia non ha mai perso un’udienza a Genova.

«Per quanto concerne le parti civili, le parti offese, in effetti viene proposta una radicale modifica tendente soprattutto ad escludere dal novero delle parti civili gli enti e le associazioni che potrebbero partecipare» spiega Felice Casson, magistrato e uno dei relatori dell’appello NOI, 9 OTTOBRE (**) «solo nelle forme dell’intervento di cui all’ ex articolo 91 del cpp, con la scusa della razionalizzazione dei tempi processuali. Peraltro questa sarebbe una scelta politica, non imposta da alcuna norma, nemmeno europea. Per le vittime del reato in senso stretto non dovrebbe cambiare nulla, per ora, salvo discussioni, integrazioni, o modifiche parlamentari. Però così com’è strutturata, la nuova proposta su enti e associazioni non va assolutamente bene. La tutela anche penale delle vittime è un caposaldo del nostro sistema giuridico-costituzionale, assolutamente irrinunciabile. Ci tengo a ribadire che i tempi processuali non si tagliano confiscando o cancellando i diritti delle parti offese e quindi delle vittime di reato. Anche perché, su questa strada, qualcuno potrebbe poi limitare i diritti delle altre parti processuali. Contesto anche la volontà di annullare la riforma sulla prescrizione».

Sul tema della difesa dei diritti delle vittime interviene anche Massimiliano Gabrielli, avvocato delle vittime in importanti processi, da Rigopiano alla Concordia, dalla Torre Piloti di Genova a Viareggio, dalla strage della discoteca di Corinaldo, al processo eternit bis a Napoli.

«Posso solo aggiungere la considerazione che nel nostro ordinamento esiste il diritto al processo, per l’imputato che deve potersi difendere con ogni mezzo ma anche per le vittime e parti offese dal reato che hanno il sacrosanto diritto di partecipare all’accertamento delle responsabilità e della formazione della prova nel contraddittorio dell’aula. La commissione Lattanzi concentra sul solo Pm la raccolta degli elementi indiziari di accusa, e sappiamo bene che le Procure tendono spesso ad assicurare un risultato immediato evitando di rivolgere lo sguardo ai vertici delle società ed alle responsabilità di sistema. E questo favorisce il ripetersi dei disastri per mancanza di una sanzione per chi decide delle politiche aziendali». 

Vi è inoltre un altro aspetto particolarmente pericoloso nella relazione Lattanzi. Ai Pm e ai Gip viene indicato di aumentare la loro funzione di filtro per fare in modo che solo per le denunce che hanno probabilità di finire in condanne si arrivi nelle aule dei Tribunali.

Un emendamento proposto dalla commissione affida al Gip il compito di valutare la sussistenza di elementi tali da rendere altamente probabile una condanna in sede processuale e solo in questo caso la denuncia deve avere un seguito nelle aule del tribunale. In tutti gli altri casi il filtro delle indagini preliminari deve tendere ad archiviare. In caso contrario il pubblico ministero si deve assumere la responsabilità di chiedere il rinvio a giudizio e di opporsi a un’archiviazione. Questo dovrebbe ridurre il numero dei casi che arrivano nelle aule e contribuire così ad una celerità del sistema penale.

Il Pm e il Gip dovrebbero quindi svolgere una specie di pre processo prima che le parti si possano incontrare in Tribunale. In parole ancora più semplici: nei processi devono comparire esclusivamente i presunti colpevoli.

Sempre più spesso le denunce delle vittime non vengono nemmeno prese in considerazione. I Gip accolgono quasi sempre le richieste di archiviazione dei Pm, che spesso non attuano indagini accurate, nemmeno nei casi più gravi, ove vi siano minacce, violenze, maltrattamenti (soprattutto di donne e minori), palesi violazioni delle norme di sicurezza, non rispetto degli obblighi di messa in regola o di manutenzione di edifici o strutture pubbliche o private. Anche le opposizioni, a volte arricchite da nuove informazioni, vengono generalmente archiviate.

«Questo è un altro punto delicato delle proposte-Lattanzi, anche se va ricordato che, all’origine, per l’udienza preliminare era già prevista questa funzione di filtro» ribadisce Casson. «È una proposta che potrebbe essere pericolosa, soprattutto nei processi, come quelli considerati nell’appello NOI, 9 OTTOBRE, in cui le vittime si scontrano con una controparte molto forte, come le grandi aziende. Tra l’altro, negative sono pure le considerazioni della commissione sulla prescrizione».

Sulla questione dell’udienza preliminare così come è intesa dalla commissione Lattanzi torna anche l’avvocata Alessandra Garini, con Gabrielli presente nelle aule di processi di grande impatto mediatico.

«E’ vero che l’udienza preliminare dovrebbe essere un filtro per evitare processi infondati, basati sul nulla che però possono rovinare la vita delle persone, aspetto al quale tutti noi siamo attenti, d’altro canto però se viene chiesto al giudice di mandare avanti solo i processi in cui vi sia già la prova, allora si finisce per togliere il senso stesso al processo.

«Il processo è la sede dove si forma la prova. Se si pretende che il giudice abbia la preveggenza e mandi avanti solo i processi per i quali arriverà la condanna si crea un cortocircuito “meraviglioso”. Come sempre prevale il garantismo, quel garantismo però che va oltre i diritti degli imputati, ai quali noi teniamo, siamo un Paese civile e democratico, ma qui dietro al garantismo si occultano altre motivazioni. E per questo è doveroso alzare un muro”.

Rincara la dose, Laura Mara, avvocato in diversi processi che riguardano in particolare le morti sul lavoro. «La relazione Lattanzi, nell’ottica populista di snellimento del processo penale, va ad intaccare i principi cardine del nostro codice di rito e della stessa Carta Costituzionale. Fra le altre, verrebbe mutata la funzione filtro dell’udienza preliminare e le associazioni ed i comitati non potrebbero più costituirsi parte civile in forza dell’articolo 74 cpp ma solo ex articolo 91 cpp ovvero previo consenso della persona offesa. La commutazione della pena in sanzione pecuniaria calcolata in base al reddito dell’imputato formalizzerebbe la monetizzazione del bene salute e della vita. Un vero disastro per la nostra (già debole) democrazia».

Il Comitato NOI 9 OTTOBRE teme – come Casson, Mara e Gabrielli – che per soddisfare le richieste di ridurre i tempi della giustizia italiana e mettere così mano ai fondi europei, si calpestino i princìpi fondamentali su cui è fondata la nostra Costituzione.

(*) del «Comitato NOI, 9 OTTOBRE», ripreso dal sito di Medicina Democratica.

(**) vedi, cfr Le stragi del profittoIl lavoro per vivere, non per morire e Il comitato «Noi 9 ottobre» alla commissione lavoro del Senato

 

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