28 giugno: viva il Gay Pride, ribelli in festa

di Saverio Tommasi (*)

SaverioTommasi-GayPride

«Ma come, ancora il Gay Pride? Quello con tutti i carri mascherati che mostrano anche i culi?».

Quante volte l’abbiamo sentito dire? Cento, duecento, diecimila? Perché di fronte alla liberazione, a tutte le liberazioni, c’è sempre qualcuno che avrebbe preferito la repressione dei diritti: sempre quelli degli altri, però. Oppure qualcuno che vorrebbe insegnare agli altri come si manifesta, il modo e i tempi, chi invitare, cosa dire, come comportarsi, cosa mostrare e cosa no. E invece pippa, il Gay Pride (viva il Gay Pride!) è la liberazione anche da chi vorrebbe insegnare agli altri come si conquista ciò per cui lui non ha mai dovuto lottare.

Questa è la storia del Gay Pride.

Era il 27 giugno 1969, l’una e venti di notte, quando la polizia irruppe allo Stonewall Inn, un bar gay in Christopher Street, a New York. Le irruzioni della polizia nei bar gay erano frequenti: la polizia picchiava e arrestava, così a caso, chiunque avesse trovato in quei bar. I gestori dei bar gay lo sapevano, gli avventori lo sapevano, tutti lo sapevano, perché così funzionava, ed erano tutti anche abbastanza preparati, magari per riaprire la notte stessa o al massimo il giorno dopo. E sopportavano.

Ma quel 27 giugno 1969, allo Stonewall Inn, 1:20 di notte, la storia andò in modo diverso e i presenti si ribellarono. Basta, stop, cazzo, via. Non si sa perché proprio quella notte, durante quella retata e a quell’ora. Probabilmente i motivi furono due: il primo è che nell’aria c’era già il fatto che le minoranze avessero il diritto di rivendicare una dignità uguale alle maggioranze, era cresciuto il movimento del “Sessantotto” e in modo particolare quello contro la guerra nel Vietnam. E poi, forse, contribuì che la settimana prima era morta Judy Garland, una vera e propria icona di pensiero nella comunità gay.

Quindi quella notte, allo Stonewall Inn, iniziò la ribellione. E Sylvia Rivera, la donna transessuale – nella foto – fu la prima a iniziare la protesta gettando una bottiglia contro un poliziotto. Come Rosa Parks quando rifiutò di cedere il suo posto a un bianco, in quell’autobus a Montgomery nel 1955.

Da quella notte iniziò la marcia delle persone giuste per dare gli stessi diritti di cui godono gli eterosessuali anche alle persone gay.

In Italia la prima manifestazione pubblica di omosessuali ebbe luogo il 5 aprile 1972, per protestare contro il «Congresso internazionale sulle devianze sessuali» organizzato da un Centro di sessuologia di ispirazione cattolica.

Per questo, se oggi in mezzo a 20 carri mascherati e a qualche decina di migliaia di persone, qualcuno sceglie di indossare un perizoma, oppure portare una frusta, oppure mutande rigonfie, io penso che abbia il diritto di fare il cappero che gli pare. E che faccia bene ad esercitare questo suo diritto. È come dire: mi volevate morto? Io sprizzo di vita! E lo dice con l’ironia che il suo corpo gli suggerisce, e noi non abbiamo nessun diritto di dirgli come manifestare. Punto basta e stop. Anche perché, concorderete con me, chi si scandalizza di mezza chiappa esibita in piazza a Roma, quasi sempre, fa commenti irripetibili di fronte a un quarto di chiappa in discoteca. E allora si mettesse d’accordo con il proprio cervello, e se non ci riesce, che perlomeno taccia.

Viva il Gay Pride!

(*) Attore, scrittore, blogger, Saverio Tommasi è nato a Firenze e ama raccontare storie. «Il mio mestiere – scrive nel suo sito – è vivere le storie… Sul campo. Sul palco, attraverso una telecamera o un libro. Mostrare ciò che non si ha interesse a disvelare». Quali storie? «Storie scomode. Voglio alzare i tappeti e raccogliere la polvere». Questo testo è stato ripreso anche da «Comune Info».

 

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