Voi pensate che…

. io abbia qualche diritto? Una storia di ordinaria immigrazione

Lettera indirizzata all’Organizzazione per i lavoratori non documentati del Belgio (traduzione di Maria G. Di Rienzo)

Mi chiamo Doralice. Ho 27 anni e come altri brasiliani sono venuta in Belgio per cercare di migliorare le condizioni della mia famiglia. Ho due figlie che vivono con mia madre in Brasile. Sin dal primo giorno del mio arrivo in Belgio ho frequentato la chiesa e là un’amica mi ha detto che c’era una donna che cercava una domestica. La mia amica organizzò l’incontro e tutto andò bene. Ero felice, perché la signora mi disse che potevo cominciare a lavorare da subito, il lunedì successivo. All’inizio pensavo di essere stata fortunata. La mia datrice di lavoro era gentile e parlava spagnolo. Tuttavia mi sbagliavo e lei si rivelò assai diversa.

La signora Francesca e suo marito hanno una casa grande e molto bella (4 bagni, una cucina attrezzata, molti oggetti utili e molti altri non proprio utili). Ho lavorato in quella casa per circa un anno, finendo per conoscerne ogni dettaglio. Lavoravo per l’intera settimana e in teoria ero libera il sabato dopo l’una del pomeriggio e la domenica. Ma facevo spesso straordinari. I miei datori di lavoro davano numerose feste e amavano avere la casa piena di ospiti. Io dovevo preparare ogni cosa per queste feste, erano due o tre a settimana, e durante la Pasqua diedero feste ogni giorno, non avevo neppure il tempo di mangiare. Quando c’erano più di dieci ospiti i miei datori di lavoro chiamavano provvisoriamente altro personale domestico, fra cui una mia amica, Nora, anche lei brasiliana, che lavorava per la loro figlia. Il cameriere temporaneo prendeva 100 euro a serata, la mia amica niente. Quando chiesi alla signora Francesca perché lei mi diede 10 euro da consegnare a Nora.

La signora era molto esigente. Si lamentava di continuo. Anche se facevo tutto quel che mi diceva di fare e lo facevo bene, lei si lamentava, in modo aggressivo e scortese. Dopo ogni pasto, mi obbligava a lavare i piatti a mano, non voleva che usassi la lavastoviglie. Il lavoro era duro, lavoravo 12/13 ore al giorno. E poiché continuavano a dirmi cose che mi ferivano ho cominciato a essere sempre più triste e depressa. Alcune delle cose che la signora mi ha detto non le dimenticherò mai. Per esempio, una volta avevo aperto un pacchetto di biscotti. Lei se ne accorse di notte, venne in camera mia a svegliarmi e prese ad urlare. Non mi era permesso aprire confezioni di cibo, potevo mangiare solo da quelle già aperte.

Mi assegnava un sacco di lavori non necessari, come l’annaffiatura del giardino: c’era il sistema automatico per farlo, ma lei voleva che lo facessi io a mano. Dovevo essere sempre pronta, sempre in servizio. Durante i loro pasti, dovevo stare in piedi nella stanza in attesa di ordini. La mattina dovevo portarle la colazione in camera. Spesso mi ha messo in situazioni difficili, chiedendomi di fare cose che non c’entravano con il mio lavoro di domestica. Per esempio dovevo massaggiarle la schiena con la crema e quando veniva in casa la sua parrucchiera io dovevo lavarle i capelli. Non erano cose che volevo fare, ma non avevo scelta.

Un giorno cominciai a sentire un forte dolore a un braccio. Continuai a lavorare senza dire niente ma infine il dolore era così intenso che ne parlai alla signora Francesca. Lei mi diede degli antidolorifici. Ma dopo venti giorni il dolore non se ne andava. Allora mi portò da un medico. Costui mi prescrisse quindici giorni di riposo, ma la signora gli disse che io non potevo riposare perché dovevo lavorare per lei e mi diede ancora antidolorifici. Andai avanti così per altri venti giorni, ma il dolore non mi lasciava neppure dormire. Lo dissi alla signora e lei non commentò: mi allungò altri medicinali. In quel periodo i miei datori di lavoro decisero di andare in vacanza per due settimane. La signora Francesca mi disse che grazie a ciò avrei avuto del tempo per riposare ma in effetti dovevo continuare a lavorare per tenere la casa pulita.

Quando tornarono andai da un altro medico, da sola, e lui mi disse che avevo la tendinite e che dovevo venire in ambulatorio regolarmente per curarla. La signora disse che potevo farlo, ma solo dopo il matrimonio di suo figlio. Le mostrai la diagnosi e le prescrizioni e lei rispose: «Solo dopo il 9 settembre». Le dissi che stavo veramente male e che avrei trovato qualcuno che mi sostituisse. Lei replicò che quel qualcuno poteva trovarlo da sola. Io continuai a lavorare e lei non trovò nessuno. Allora la mia amica Nora si fece avanti, mi sostituì e io potei cominciare il trattamento medico. Il dottore era bravo, ma la procedura era molto dolorosa. Dal braccio la sofferenza mi aveva preso tutta la schiena. Le iniezioni erano pesanti. Quando tornavo a casa dopo il trattamento non riuscivo a fare nulla, neppure a sollevare un bicchiere d’acqua. Feci in tutto tre sessioni e anche se avrei dovuto continuare, come il medico mi aveva detto, tornai al lavoro: la mia amica non voleva più sostituirmi, perché la trattavano malissimo e lei si rifiutava di massaggiare la signora, che tra l’altro l’aveva assalita perché aveva mangiato un uovo. La cura era molto costosa, non l’ho mai finita. E devo lavorare, perché ho due figlie in Brasile, non sono sposata, e mia madre è malata. Anche se so che non potrei legalmente lavorare qui devo farlo, perché non posso permettere che la mia famiglia muoia di fame.

Vorrei sapere se qualcuno può aiutarmi. Ho sofferto parecchio. Sono un’immigrata e sono in Belgio senza permesso, ma sono un essere umano e non merito così tanto dolore. Vorrei essere pagata per gli straordinari e la malattia, e vorrei denunciare i miei datori di lavoro per il trattamento che mi hanno inflitto. Dopo aver letto quanto ho scritto, voi pensate che io abbia qualche diritto?


Com’è finita la storia di Doralice. L’Organizzazione per i lavoratori non documentati del Belgio ha tentato una negoziazione con i datori di lavoro per ottenere il pagamento degli straordinari e della malattia. I datori di lavoro hanno rifiutato in modo assai arrogante. Allora Doralice ha scritto la sua storia con tutti i dettagli (omessi dal testo precedente) e l’Organizzazione l’ha inviata all’Ispettorato del lavoro. Un’ispettrice si è confrontata con il marito della signora Francesca, il quale ha dovuto ammettere che Doralice lavorava per loro, ma ha continuato a negare il resto. Nonostante ciò, l’ispettrice ha scoperto molte irregolarità nei pagamenti fatti a Doralice. Il suo calcolo ha stimato che i datori di lavoro devono a Doralice 5.000 euro più i versamenti dei contributi sociali e che non hanno mai pagato le tasse relative al suo impiego come domestica. Per evitare di andare in tribunale, i datori di lavoro hanno versato a Doralice la somma richiesta.

UNA BREVE NOTA

Le traduzioni di Maria G. Di Rienzo sono riprese – come i suoi articoli – dal bellissimo blog lunanuvola.wordpress.com/  – Il suo ultimo libro è “Voci dalla rete: come le donne stanno cambiando il mondo”: una recensione è qui Voci dalla rete alla data 2 luglio 2011. (db)

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