VOLUTTA’

VOLUTTA’
dal Mille Lire Stampa Alternativa “Storie Malsane”
di Mauro Antonio Miglieruolo
***

Lo giuro, sono innocente. Non lo affermo per giustificarmi anticipatamente, non mi importa essere o non essere creduto, parlo per puro amore della verità. Il sangue che ha macchiato i miei calzoncini da fanciullo non è stato causato dal mio malvolere, ma per mero infortunio. Io ero quel che ero, i fatti pure, nessuno li può modificare, la ferita della bambina anche: immodificabile, essenziale oggettività combinata insieme per realizzare l’effetto perverso di distruggermi la vita…


Geometria dell’Inconscio di Carlo Bellati
vedi altro in:
http://www.sinantropo.org/artisti/Bellati%20Carlo.htm

Era bella, sai, quella bambina. Aveva i tuoi stessi lineamenti, il profilo, gli occhi, la medesima piega della bocca. Se non la sapessi morta sarei tentato di interpellarti con il suo nome; e affermare che sei lei, cresciuta e pasciuta, e fatta donna. Se non fossi scettico griderei al miracolo e mi abbandonerei ad ogni possibile gesto d’esaltazione…
La cercavo ogni volta che potevo e, se potevo, giocavo con lei nei luoghi più appartati, negli sgabuzzini, nel sottoscala del palazzo, dietro l’ascensore, ovunque potessi esplorare non visto la femmina che prometteva di diventare… lei faceva gli occhi grandi e osservava stupita il procedere ansimante delle mie mosse. Non partecipava veramente, era solo curiosa di me, del maschio ch’ero già diventato, e mi lasciava fare, condiscendente. Dopo, quando avevo finito, provavo un imbarazzo tremendo e me ne fuggivo, lasciandola ancora più stupita a contemplare le terga della mia vergogna senza, immagino, potersene dare alcuna giustificazione. Anch’io ero molto curioso, ma non di lei, bensì della sua piccola ferita, così morbida, così strana, così inquietante…
Un giorno notai in un cassetto, lasciato incautamente aperto, il coltello appuntito e seghettato che in casa si usava per tagliare il pane. Decisi sull’istante che quella sarebbe stata la mia lancia, l’arma con cui avrei percorso il mondo e guadagnato tutta la gloria che mi spettava. In un istante mi trasformai in uno dei tanti eroi generosamente elargiti dalla TV, e di cui erano piene le mie imberbi fantasia dell’epoca, Jack la Stupratore, Ercole Bill e le sue Cinquanta Vergini per Notte, il Signor Conte Jus-primae-noctis, Dracula Primo Ministro, e via discorrendo. Mi posi cavalcioni del manico del coltello e galoppai per casa, orgoglioso del mio nuovo Ronzinante, lancia e cavalcatura nello stesso tempo, segreta arma sessuale, era bello lungo e appuntito, l’avevo come nessun altro, non ci sarebbe stata barba di Vergine che mi avrebbe potuto resistere. Correvo per casa felice, facendo yuppiii… yuppiii… e la mia amica entusiasta del gioco, anche lei gridando yuppiii… yuppiii… decise di venirmi incontro d’impeto, e di abbracciarmi. Fu quasi un’aggressione. Sì, mi aggredì. Tutta colpa sua. Io, quasi, non volevo. Ma lei no, lei corse gioiosa… corse corse, sì che corse! Corse incontro a se stessa per aprire dentro di sé una ferita definitiva che la rendesse donna prima ancora che della donna entrasse in sospetto di qualità!
La ricordo ancora, riversa in terra, il manico scuro che sporgeva dal suo ventre, gli occhi sgranati sull’impossibile che era successo. L’unico pensiero fu che quel manico non stava dove avrebbe dovuto essere e perciò, da uomo preciso e ordinato quale sono sempre stato, desiderai estrarlo e affondarlo di nuovo, nel giusto posto, un po’ più in basso, tra le coscettine divaricate scomposte. Oddio! allora avrei anche potuto osare compiere la medesima operazione, senza più inquietudini di sorta, con l’altro coltello che mi pulsava nei calzoni, piccolo e irriverente, e che per la prima volta sputò la sua gloria sporcandomi la coscia.
Come ogni volta, il conseguimento della meta, il piacere, (sanzionato da un risultato tangibile, ormai), mi riempì di orrore. Fuggii lontano dalla preda involontaria, involontariamente consumata, come mai ero fuggito in vita mia, e come mai più in seguito (fuggii quella volta e non smisi più di fuggire). Non ne ho mai più voluto sapere di femmine. Non almeno di quelle reali, che sudano, parlano, amano, sono piene di carezze ed attenzioni; volli invece quelle immaginarie, quelle che tacciono in attesa dei tuoi desideri, e che non urlano quando le ferisci col sesso, non sanguinano se, involontariamente, le ferisci con la lancia; di loro mi beai.
D’altronde avevo la mia mano quale amica e complice, avevo i miei sogni maldestri, e mi bastavano. Che mi importava delle donne, dei loro sguardi curiosi di me, del loro improvviso stupore quando mettevo in chiaro i miei scopi? Il mio candido essere?
Mannò, io mento, e non devo, non voglio… con te non mi sento di iterare in questa infinita commedia; tanto più che leggo, nella pietà dei tuoi occhi, le verità che non oso pronunciare. E’ vero, sono infelice. Quegli occhi innocenti stupiti di donna, sgranati sull’impossibile, mi mancano. In fondo sono solo un esibizionista, uno che ambisce mostrare a tutte il suo fallo tagliente, il suo orgoglio, lo scopo unico della sua vita, l’arma fondamentale con cui conquistare il mondo, e placare le inquietudini frutto di quei misteri soffici e umidi che il genere femminile ben custodisce, e il cui enigma noi uomini mai riusciremo a sciogliere.
Perciò cara, abbi pietà di me, offrimi un’occasione, suscita nel rospo il principe che vi sta in agguato, gioca con me come fossimo in un sottoscala, io porrò all’altezza del sesso questo attrezzo appuntito che vedi e tu, felice come la bimba che ancora sei, mi correrai incontro gioiosa, per cercare rifugio nelle mie braccia, per trovare insieme un compimento per quel piacere atteso a lungo, e che di nuovo deve arrivare.
Sii contenta di me, amore mio, e lasciati pugnalare casualmente, affabilmente, dolcemente a morte, non una volta, ma più volte, affinché da ogni ferita nasca una fessura di donna, e da ogni fessura una speranza rapida e giuliva.

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