Von Braun, il genio e il boia

Piccolo e sgraziato l’87° razzo si solleva di neanche 2mila metri e cadendo incendia una fattoria. Gran delusione dei giovani tedeschi riuniti nella «Società per il viaggio spaziale», ispirata alle teorie di Hermann Oberth, ma quell’incidente del 1932 richiama l’interesse di ambienti militari. Così il ventenne Wernher Von Braun (era nato il 23 marzo 1912 a Wirsitz) e gli altri sognatori delle stelle iniziano a lavorare nel «Servizio armi dell’esercito» che, negli anni successivi, il potere nazista sostiene e finanza. Von Braun fa carriera. Nell’ottobre 1942 un suo razzo arriva a 80 chilometri di altezza e cade a 200 km dal punto di lancio: basta aggiungere una tonnellata di esplosivo ed ecco la V-2, l’arma che può far vincere la guerra. Ma ci vogliono quasi due anni per costruire in serie le V-2: quando iniziano a far strage in Inghilterra e in altre città europee, ormai Hitler ha perduto.

All’inizio del 1945, Von Braun fugge, con 500 fra scienziati e tecnici, consegnandosi alle truppe statunitensi. Con un’operazione segreta gli specialisti tedeschi vengono portati negli Usa: lavoreranno a nuove applicazioni militari dei razzi e poi nella gara per conquistare lo spazio che è ufficialmente iniziata il 4 ottobre 1957 con l’inatteso volo dello Sputnik sovietico. Colmato il ritardo, grazie a stanziamenti record, sono gli Usa ad arrivare per primi (e unici sinora) sulla Luna, nel 1969, grazie anche al genio di Von Braun. Ma il passo successivo, portare esseri umani su Marte, resta da compiere: è quello il vero obiettivo di Von Braun che già nel 1962 presenta un progetto “marziano” e un altro per una stazione spaziale orbitante. Negli ultimi anni della sua vita Von Braun prende atto del minor interesse degli Usa: abbandona la Nasa (l’ente spaziale Usa) ma sino alla morte, nel giugno 1977, continua a promuovere la conquista dei cieli, nuova tappa dell’avventura umana.

L’anno scorso Paolo Aresi ha dedicato un bellissimo romanzo di fantascienza a Sergej Pavlovič Korolev, il “nemico” di Von Braun, l’uomo che tra infinite difficoltà – Stalin lo fece imprigionare per anni – portò l’Urss a superare gli Usa nella gara per lo spazio ma che morì troppo presto per vedere la conquista della Luna e poi l’inattesa collaborazione astronautica fra le due super-potenze. In questi giorni Aresi rende omaggio (sempre su Urania) a Von Braun con un breve racconto dove immagina che dietro alla passione per le stelle di quel ragazzo tedesco ci sia un segreto, l’incontro con un alieno: una favola che, per certi versi, ricorda il film «Et».

Nel mondo reale il segreto di Von Braun è ben più tragico. Per tutta la vita ha cercato di negare, contro molte evidenze, di essere stato complice del nazismo ma soprattutto di sapere cosa accadeva nel campo di concentramento di Mittelbau-Dora dove venivano costruite le V-2: la fabbrica era diretta dalle Ss, come operai venivano usati i prigionieri stranieri e almeno in 20 mila vi morirono. Nessun processo dopo la guerra per Von Braun: non il perdono per un genio ma l’abituale cinismo del superiore interesse militar-politico.

Così a 100 anni dalla nascita è giusto restituire al sognatore tedesco sia la gloria per aver portato  gli esseri umani a conquistare la Luna che la vergogna per la sua complicità con gli orrori  nazisti. Rubando una definizione al suo compatriota Nietzsche, fu «una corda tesa fra l’animale e  l’oltre-uomo, una corda sopra l’abisso».

UNA BREVE NOTA Parola più, parola meno questo mio articolo è uscito sul quotidiano «L’unione  sarda» del 27 marzo 2012. (db)

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