Votare “L’Altra Europa con Tsipras”
di Mauro Antonio Miglieruolo
Ho votato e continuerò a votare tutte le liste che la Sinistra Comunista, con o senza falce e martello, con o senza pugni chiusi, con o senza bandiera rossa, continuerà a presentare. I simboli contano, molto di più contano i programmi, la pratica politica, la coerenza dei personaggi che ne sono i portatori. Andrò alla sostanza, trascurando l’apparenza, dunque, indifferente alle turpi valutazioni del tipo “voto utile”, che in genere sono portati avanti dalle formazioni che, dal punto di vista degli interessi dei lavoratori, sono del tutto inutili.
Lo farò pertanto incurante dei sondaggi con i quali, gli agenti ideologici della borghesia, tentano di screditare preventivamente coloro che ne minacciano di intaccarne l’egemonia, accampando il pretestuoso argomento che “la lista non supererà la soglia di sbarramento” (soglie messe non genericamente contro i piccoli partiti, come sostengono; piccoli partiti che farebbero ricatti: li fanno soprattutto i grandi; ma proprio per rimandare all’infinito la possibilità di una vera opposizione di accedere al parlamento). Non è argomento questo che possa determinare la scelta di un elettore consapevole. Il quale elettore baderà più all’uso che è probabile si faccia del suo voto, che al risultato del voto stesso. Vincere per vincere, “andare al governo” per continuare a essere ignorati, sfruttati e bastonati, non è certo un risultato al quale un individuo raziocinante possa aspirare. Si vince o anche solo “si è presenti” per diffondere nel paese determinate logiche antisistema, per ottenere specifici risultati sul piano economico, politico, ideologico. Altrimenti è inutile, non serve.
Nessuna illusione elettoralistica, alias democraticistica, dunque; e nemmeno parlamentaristica; se è importante la presenza nelle istituzioni di una voce in grado di difendere gli interessi dei lavoratori, più importante è la presenza in sé nella competizione elettorale in modo da raccogliere intorno a una bandiera la volontà degli sfruttati e oppressi; più importante è trovare momenti di riflessione collettiva e far circolare posizioni che normalmente trovano molte scarse possibilità di ascolto.
Compito dei comunisti non è di arroccarsi attorno alle proprie bandiere: è giusto siano agitate, difese, non è giusto riassumano l’intero da fare dell’iniziativa politica; è giusto sostenere, quando possibile, i propri valori e le proprie posizioni, non è giusto trasformare la teoria in dogma. Ogni volta che non risulterà praticabile portare avanti l’idea comunista nella sua purezza, bisognerà rassegnarsi a sostenere, di volta in volta, quelle più avanzate riscontrabili nel concreto delle situazioni concrete. Non, come si dice nel pessimo linguaggio dei politici, “per portare qualcosa a casa”, ma per determinare equilibri politici più avanzati in grado di avvicinare il tempo in cui sarà possibile proporre o riproporre la nostra politica, i punti di vista propri alla tendenza comunista.
Non ignoro il pericolo di inquinamento o addirittura di declino della prospettiva comunista insita in ogni allentamento della tensione ideale (ma dovrebbe essere propria questa tensione ideale a vaccinare dai pericoli: se ciò non avviene non è perché si ha precisa misura delle proprie forze e ci si adegua a esse, ma perché si è già fuori dalla prospettiva marxista rivoluzionaria); l’opportunismo sempre si nasconde dietro le ragioni di opportunità; l’opportunismo dimentica i principi, si lascia abbagliare dai problemi di tattica, dimenticando quelli strategici. Esso però non si manifesta nella necessità di “fare il passo secondo la propria gamba”. Si manifesta quando non è commisurato alla congiuntura politica, ma si serve della congiuntura politica per trasformare la necessità in metodo, la presa d’atto dei rapporti di forza, nella rassegnazione rispetto ai rapporti di forza.
Come per altro è rassegnazione rispetto ai rapporti di forza stabiliti l’irrigidimento dogmatico di alcuni sui principi, i quali principi se sono l’obiettivo delle forze anti sistema, e la guida permanente alla scelta degli strumenti di lotta, non devono diventare il rifugio per sottrarsi al dovere di individuare la strada per costringere l’avversario a segnare il passo o quantomeno frenarne l’offensiva; l’estremismo, nel caso, nasconderebbe dietro i principi la propria cecità rispetto ai problemi che comporta l’agire politico, compromettendo con l’assenza di flessibilità nella tattica le stesse prospettive strategiche. Il dogmatismo, in buona sostanza, è deresponsabilizzazione, scorciatoia per eludere le difficoltà del presente, ed eludere le domande poste dalla congiuntura politica (nella quale si è immersi).
Né è da prendere in considerazione l’adozione di una eventuale linea mediana, soluzione tipicamente massimalista, cioè dell’opportunismo strategico nascosto dietro l’estremismo tattico, che viene modulato di volta in volta, mescolando la coppia di elementi, in modo da non arrivare alla resa dei conti con la borghesia. Tenere una linea mediana, di equidistanza o di integrazione tra opportunismo e estremismo, comporta la caduta sistematica nelle trappole di entrambe (le scelte sarebbero operate dalle circostanze e non nella prospettiva di spingere le circostanze in una determinata direzione); trappole che si evitano valutando opportunamente: a) la misura in cui una determinata iniziativa politica avvicina (o allontana) la realizzazione dell’obiettivo fondamentale di contribuire alla egemonia della prospettiva comunista; b) chiedendosi ogni volta quali siano i costi politici pagati e se vi è guadagno o meno nell’accettare di pagarli; c) quale sarà l’effetto sulla psicologia dei lavoratori, sulla fiducia in se stessi e nei rapporti con le organizzazioni di massa; la reazione della borghesia a qualsiasi determinata iniziativa politica, e cioè il grado e gli argomenti con i quali viene avversata.
Esemplifico chiarendo che domani io voterò “Europa con Tsipras”, invitando nel contempo chi mi legge di fare lo stesso, votare Tsipras; e però sono in obbligo di chiedermi se il prezzo politico pagato, considerando che Tsipras non è un dirigente rivoluzionario, capo di un partito rivoluzionario impegnato nel “superamento dello stato di cose esistenti”, giustifica la mia richiesta (fate lo stesso, votate Tsipras); e se inoltro l’invito motivandolo con argomenti che non creino illusioni riformiste nelle masse e cercando di declinare con la massima chiarezza quale sia la posta in gioco; e soprattutto mostrando come non venga intaccata la centralità del comunismo nella identità politica collettiva.
Con meno parole: i discorsi imbastiti per sostenere Tsipras e l’eventuale affermazione di Tsipras porteranno o no a più avanzati equilibri? a maggiore determinazione nell’aderire a un progetto rivoluzionario? a migliori opportunità per il proletariato di organizzarsi per lottare? O invece contribuirò a rafforzare nelle masse le illusioni sulle possibilità di modificare dall’interno il sistema, alimentando le tendenze riformiste della formazione politico-ideologica nella quale mi riconosco (o nella quale ripongo una qualche fiducia)?
Effettuata questa valutazione avrò la risposta ai problemi che presenta l’attualità; risposta che comunque dovrà poi passare il vaglio della riflessione sulla evoluzione della congiuntura, che chiarirà il grado di efficacia (politica) della posizione assunta a favore della lista per Tsipras; riflessione che mi permetterà di correggere gli errori, se errori ci sono stati, di rovesciare la prospettiva se sarà necessario rovesciare la prospettiva (nel caso che le derive elettoralistiche tanto temute siano state poi effettivamente praticate); e quindi di mettere a punto la linea del giorno dopo utilizzando il medesimo processo verità-errore adoperato dalla scienza per formulare descrizioni sulla materia tendenzialmente sempre più precise alle quali aspira.
Il criterio di massima è costituito comunque dagli effetti prodotti sulle masse. E cioè la valutazione si vi sia stata demoralizzazione o, all’opposto, accentuazione della combattività delle masse. Quindi non gli effetti, secondari, di opinione, o relativi al successo conseguito, al numero di voti ottenuti ecc. Ma gli effetti vitali di politicizzazione e, insieme a questi, di maggiore fiducia nei dirigenti dei movimenti anti sistema, di miglioramento nei livelli organizzativi, di più ampia e convinta partecipazione alle lotte.
Ribadisco dunque che il fare quotidiano non riguarda quasi mai la persecuzione di un punto politico astratto (o un modello di ortodossia comunista); né deve arretrare rispetto l’incalzare di argomenti nulli, ma propagandisticamente efficaci nel loro apparente buon senso, quali quello sulla necessità di vincere, quasi si trattasse di una lotteria e non delle necessaria specificazione degli interessi in gioco e in favore di quale parte sociale il gioco viene giocato. Importante è dare un segnale della propria presenza, della volontà di esserci per la difesa degli interessi di chi lavora, per significare in faccia al nemico che la partita non è chiusa, che esiste tutt’ora sufficiente effervescenza politica da riuscire a tradursi in effervescenza elettorale; che è bene non tirino troppo la corda, poiché rischiano di farla spezzare. Dicendo nel contempo alle masse che indipendentemente dal successo della lista L’altra Europa con Tsipras (che dai primi sondaggi sembra proprio debba esserci), quel che conta è sottrarsi dal vero ricatto politico: il ricatto non dei piccoli ma dei grandi partiti, complici dell’attuale disastro economico provocato dalla finanza, che vogliono restare soli a rappresentare gli italiani, in modo da potersi accordare e eternizzare la loro vocazione all’intensificazione dello sfruttamento, dei privilegi, della corruzione, dell’impoverimento dell’Italia.
Primo passo questo per gli ulteriori passi che verranno dati in direzione della costituzione di formazioni ideologico-politiche che si pongano quale obiettivo immediato la difesa intransigente del lavoro e, in prospettiva, l’egemonia dei lavoratori. Un primo piccolo passo. Che occorre dare affinché ne vengano dati altri. Perché se non viene dato, non sarà mai che un qualsiasi obiettivo venga conseguito.
Ogni fine comporta vi sia un inizio. A noi tocca iniziare con L’altra Europa con Tsipras.
***
Vedo che più d’uno sull’eventuale adesione alla lista pro Tsipras avanza qualche dubbio. Sono contento di poterlo constatare. L’unanimismo non fa bene allo sviluppo della causa dei lavoratori, non fa bene allo sviluppo mentale e coscienziale degli individui, è mortale per le società. Continuiamo perciò ad avanzarne. Continuiamo a scandagliare, sviscerare, discutere.
Meglio sapere, per quanto è possibile, a cosa si va incontro ogni volta che si dà un passo. Alcune parole in più oggi potrebbero risparmiarci una delusione domani.
Personalmente non ritengo resterò deluso da Tsipras. Non mi faccio illusioni su quel che farà (neppure conosco bene chi egli sia: mi basta sapere che ha buone intenzioni di interpretare il bisogno diffuso di un’altra, diversa Europa). Mai mi faccio illusioni su coloro che bazzicano, con un certo successo, le istituzioni. Chi rappresenta le istanze di radicale cambiamento è difficile che possa restare a lungo, con un ruolo importante, sul palcoscenico della gran commedia (spesso farsa e altrettanto spesso tragedia) della democrazia. E se vi rimane finisce inevitabilmente distrutto. O da una valanga di false accuse, sostenute dalla denigrazione sistematica dei media; oppure, se non basta, anche eliminato fisicamente. E però non mi nascondo l’importanza di avere nelle istituzioni chi sappia e voglia sporcarsi le mani per portare avanti istanze che, per quanto in modo deformato, danno voce alla disperazione muta di un paese. Sono loro che, a volte, più che i comunisti, rappresentano bene gli equivoci insiti nel così detto “sistema democratico”; sistema all’interno del quale mai le decisioni assunte su problemi fondamentali sono nell’interesse del popolo. Un sistema tanto fragile che, per potersi reggere, occorre violi sistematicamente le proprie regole, i propri principi, ogni riferimento reale al così detto “governo della maggioranza”. Maggioranza che per poter essere deve essere costruita a tavolino, per mezzo di brogli elettorali legalizzati. La legalizzazione dell’imbroglio per altro costituisce una esigenza permanente del modo di produzione capitalistico entrato nella sua fase di decadenza. Ma non è solo l’attentato permanente ai principi di democrazia a caratterizzare le istituzioni capitalistiche (in Italia e nel mondo, anche se molto più in Italia). L’elemento decisivo sono i tentativi, in parte realizzati, di trasferire tutto il potere all’esecutivo. Cioè di includere nella facoltà dei governi parte di quelle che un tempo erano i poteri dei parlamenti e della magistratura. Con il corollario inevitabile del ruolo crescente delle forze di repressione e loro professionalizzazione.
Qualunque elemento, anche un granello di sabbia, gettato negli ingranaggi di questa tendenza cieca e irreversibile che, salvo l’avvento del socialismo, potrebbe portarci nel giro di qualche decennio (speriamo non prima) a forme esplicite di dispotismo (il dispotismo della finanza), costituisce un rallentamento prezioso. Qualsiasi voce si levi per cantare con parole diverse da quelle diffusissime sui media e nei parlamenti, offre il destro a altre possibilità imprigionate nei vortici del tempo e che non dovrebbero tardare a venire alla luce.
Ecco, per me, Tsipras rappresenta tutto questo. Questo granello di sabbia destinato a rallentare il processo di mutazione del sistema capitalistico.
Per tutto questo voto Tsipras.
SE L’ ESTREMISMO E’ UNA MALATTIA INFANTILE, L’ ELETTORALISMO PUO’ ESSERE UNA MALATTIA SENILE.
Una visione pragmatica delle cose – spesso (auto)definitasi tale – acquista immediatamente autorevolezza, come se il solo uso della parola attribuisse preventivamente a quella determinata visione acutezza e ponderazione, raziocinio e misura, lungimiranza e pazienza.
Nei discorsi delle sinistre, il “Pragmatismo” – altrimenti detto “Realismo” – ha storicamente dato la stura a derive moderate, conferendo legittimazione culturale e filosofica all’abbandono dell’anticapitalismo, primo gradino di una (più o meno) palese adesione ai principi borghesi, processo poi spacciato come ineluttabile in virtù di presunte contingenze storiche. Questo cammino a ritroso delle forze sociali di massa inizia con l’accettazione delle arene predisposte dalla borghesia per lo scontro di classe – o meglio per la sua elusione – le istituzioni democratico-parlamentari. Una scelta pragmatica questa, appunto, nobilitata sovente dal pomposo titolo di “lotta dall’interno”, una sorta di scaltra infiltrazione dei movimenti operai nel cuore politico del capitalismo. In realtà si tratta solamente dell’inizio della resa, una “scelta pragmatica” ampiamente sconfitta dalla storia.
Contraddizione nella contraddizione è costituita dai movimenti pseudo-popolari degli ultimi anni, che, a livello nazionale ed internazionale, addirittura dichiarano guerra a quei poteri la cui voce è espressa da quelle istituzioni di cui questi movimenti si candidano a far parte, accettandone le regole del gioco; quindi implicitamente legittimandone l’esistenza – che a parole si condanna. Nonj si può essere antisistema all’interno del sistema. Se si vogliono usare le strutture del sistema come megafono per la propria voce allora ci si accorgerà di come quella voce verrà prima distorta, poi messa in sordina, quindi normalizzata nel coro polifonico delle istituzioni borghesi.
La politica dei piccoli passi nelle aule del potere è già stata triturata nel frullatore della storia, sono tutti passi indietro, anche se in apparenza si avanza. Gli unici piccoli passi possibili sono quelli percorsi insieme nelle campagne residue, nelle strade urbane, nelle autoconvocazioni di gruppi, associazioni, centri sociali, comuni, per partire realmente dal basso, dove noi siamo: le altezze parlamentari danno alla testa, provocano vertigine, abbandono, tradimento.
Sottoscrivo al 99% quanto detto da Ginodicostanzo (incluso la parte che accenna ai pericoli del pragmatismo, uno delle insidie nel quale può incorrere il comunismo). Ecco il residuo 1%:
Non mi stancherò mai di ripetere (forse dovrò imparare a dirlo meglio) che la politica è affare che si svolge prevalentemente fuori dalle aule parlamentari, organi di ratifica delle decisioni della classe dominante. In particolare la politica di sinistra (anche quella NON comunista), la quale si può svolgere e si svolge nelle piazze, sui posti di lavoro e nei comitati che si occupano dei problemi del territorio. Tuttavia, in quanto comuinista, non rinuncerà mai (MAI) a dire la mia ovunque mi sia possibile farlo; non rinuncerò mai a utilizzare le contraddizioni del sistema politico borghese, né sarò assente quando si tratterà di volgere contro la borghesia le istituzioni borghesi medesime, scavando nei punti deboli e facendo leva sui punti deboli. Qualunque sia l’esiguità del risultato. Non mi posso permettere di rinunciare a nulla, nessuna occasione di contestazione.
Io è sicuro che non sono forte, NOI TUTTI però sì, SIAMO FORTI. Ma forti se espressione di una linea proletaria, che punta a favorire sempre e comuqnue il proletariato, che ha come suo centro l’assunzione del punto di vista proletario (si può sbagliare, ma se effettivamente questa è la direzione di marcia, si riuscirà anche a correggersi).
In questo caso la nostra forza ci permetterà di passare indenni nelle forche caudine delle istituzioni. Se non saremo in grado di passarle nemmeno saremo degni del nome di comunisti.
Il pericolo dell’opportunismo è sempre in agguato. Giusto ricordarlo. Non lo si evita però evitando di sporcarsi le mani, ma combattendo sempre e ovunque, in ogni istanza, in ogni luogo, in ogni circonstanza e condizione lo sfruttamento e l’opprerssione (in comunisti sanno farlo anche nei tribunali borghesi e persino in galera, che trasformano in scuole di comunismo).
Inoltre, se io non ho la forza di gridare in faccia la nemico quel che il nemico merita gli si dica e non ho la capacità di far giungere queste grida alle orecchie delle masse, come fare il salto di qualità rappresentato dall’assunzione in prima persona della gestione della società?
Con le lotte? Certo, con le lotte? e come diversamente? Ma mi chiedo, possibile che occorre ribadire che il primato spetta comunque e sempre alle attività non istituzionali?
Purtroppo sì, occorre ribadirlo. C’è qualcuno che continua a sopravvalutare le possibilità di cambiamento del sistema. Le lotte in parlamento non servono a questo. Sono solo una tribuna di sostegna a quello che i comunisti organizzano FUORI dal parlamento.
Grazie pertanto a Ginodicostanzo per aver sollevato il problema. La lotta contro l’opportunismo e il parlamentarismo sono permenenti, non finiranno se non con la fine della borghesia. E dovere di tutti ricordarlo, costantemente. Ricordare che non è con i voti in parlamento che si cambiano le cose, ma con l’attività quotidiana di trasformazione dell’esistente.
Anche se, pragamatista impenitente (come vedi non temo le etichette o comunque le parole), se il parlamento italiano proclamasse il passaggio al socialismo (cosa mai successa, neppure in Cile) non mi dorrei certo per questo.
Temo che nel rispondere a Ginodicostanzo io abbia peccato di astrattezza. Credo invece sia opportuno entrare nel merito.
Perciò chiedo: perché la borghesia, acclarata l’inutilità della presenza dei comunisti nelle istituzioni, si dà tanto da fare per screditare chi in esse riesce a entrare? Perché quando qualcuno di sinistra, anche moderata, arriva a occupare posti di governo la stessa borghesia diventa isterica, alza i toni, minaccia, inizia il boicottaggio economico e se non basta ricorre al colpo di stato? La borghesia sarebbe allora una coalizione di imbecilli masochisti?
Credo invece che si renda conto bene della pericolosità che può assumere per gli equilibri complessivi del sistema l’eventuale occupazione delle cabine di regia da parte di forze di sinistra, anche di sinistra moderata (purché non di finta sinistra, alla craxi). Perché, se pure riuscisse a ottenerne il controllo operando pressioni, ricatti, minacce, oppure corrompendo, la situazione potrebbe in qualsiasi momento sfuggirgli di mano. Non per qualche alzata d’ingegno di un singolo, che pure è possibile, ma per la pressione delle masse. Le quali, mobilitandosi, potrebbero costringere il “governo socialista” ad assumere iniziative altrimenti impensabili. E’ il caso, ad esempio, della Spagna, dove l’azione della masse in risposta al colpo di stato franchista ha spinto sulla stessa strada il governo republicano che nicchiava d’intraprenderla. O in Cile, in cui le masse spingono un po’ troppo Allende, che si lascia spingere, ma i cui pregiudizi democraticistici gli impediscono di armare le masse e prevenire il colpo di stato. Noto poi di sfuggita che anche in Finlandia, nel 1918, i socialisti ottengono la maggioranza assoluta in parlamento; ma anche loro non sanno organizzare la difesa preventiva dal ritorno della borghesia e la borghesia allora li abbatte per mezzo di una sollevazione militare iniziata da forze paramilitari.
Si potrà dire che non sono stati capaci di, che erano troppo moderati per ecc. non però che la loro presenza nelle istituzioni non sia servita. E’ servita quantomeno a porre il problema, nell’immaginario delle masse, della possibilità di prendere il potere. E’ servita a aprire una crisi. Che in presenza di un partito autenticamente rivoluzionario, in grado di guidare le masse all’assalto al cielo, sarebeb stato l’elemento decisivo per l’avvio di un processo di tarsformazione del sistema. Il fallimento di queste esperienza non è pertanto da scrivere alla presenza di uomini di buona volontà (non so come definirli altrimenti) nelle istituzioni, ma alla mancanza fuori di qualcune che in grado dis fruttare le contraddizioni che quella presenza comportava.
Che poi il lavoro principale, anzi fondamentale, sia nella società, questo è tutt’altro. Un partito rivoluzionario però mai rinuncerà ad “avere voce in capitolo”, alla sua presenza nelle istituzioni. Salvo che il prezzo da pagare non sia l’annacquamento della linea, l’oscuramento dei principi, la diffusione del carrierismo. Ma questo pericoli sono sempre all’ordine del giorno, quando si intraprendono azioni rivendicative, economiche e non, quando si tratta dell’agibilità politica delle manifestazioni, quando si è eletti nei strutture rappresentative sindacali ecc. Sempre. Sempre l’opportunismo è all’ordine del giorno. Sempre i comunisti sono chiamati a combatterlo.
Quanto alla demigrazione che la borghesia opera contro chi nelle istituzione ritiene di dover difendere gli interessi delle masse popolari: la borghesia può fare il chiasso che vuole, deformare quanto vuole, se i comunisti sanno muoversi la verità arriva comunque alle masse.
Ci si dovrebbe chiedere, a questo proposito, perché Lenin in Russia era a favore della partecipazione alle elezioni della Duma (!).
Quel che posso aggiungere è che io ha svolto attività nel sindacato dell’INPS. Nel pubblico il sindacalista è quello che fa carriera, che disturba poco il manovratore. Io non ho fatto carriera e ho disturbato molto. Perché era “bravo”. Non lo ero. Più onesto? Non so, mi vergognavo a non esserlo.
Però avevo una formazione e una linea che mi permetteva di individuare rischi e pericoli di “sudditanza psicologica”. Alle istanze governative come a quelle della Confederazione. Nel gruppo in cui militavo dubitavano sarei riuscito a uscirne indenne. Ci sono riuscito. Molti altri, più capaci di me, più adatti di me a quel lavoro defatigante, ci hanno lasciato la dignità.
Perché altri non dovrebbe invece ottenere di farlo proficuamente?
LA LISTA TSIPRAS:
LA NUOVA POLITICA SENZA CLASSE DELLA “SINISTRA” ITALIANA
di Michele Terra
Una volta c’era il Partito della Rifondazione comunista – più o meno unitario – poi ci furono
i governi dei Prodi, poi le scissioni, poi venne l’Arcobaleno e di seguito nacque Sel di Nichi
e i suoi amici, e ci fu l’ora della lista Rivoluzione Civile con il suo vate Ingroia.
Dopo anni sconfitte arrivarono gli intellettuali ed i professori, non portarono
doni alla sinistra e ai comunisti ma….. la lista Tsipras per le europee.
Questo potrebbe essere l’incipit che i nostri nipotini leggeranno – forse – tra qualche
decennio nel libro delle favole della sinistra. Perché la c.d. Lista Tspiras è la nuova favola dove andranno a recitare il ceto politico post e neo rifondarolo ed intellighenzia sinistroide ma rigorosamente anticomunista.
Questa sinistra italiana, litigiosa e divisa, per mille motivi che qui non andremo ad elencare, per ritrovare un momento di unità che le faccia sperare di superare lo sbarramento del 4% è dovuta ricorrere al papa straniero. Perché per unirsi a questa tornata di elezioni europee, senza far ricordare al proprio elettorato il recente passato e le proprie responsabilità, è necessario parlare di Europa e solo di quello.
Inizialmente è stato Paolo Ferrero con i resti del Prc a proporre Tsipras come candidato alla presidenza della Commissione Europea come espressione del Partito della Sinistra Europea, aggregazione che unisce, in realtà in forma di coordinamento, partiti quali la Linke tedesca, il Pcf e il Parti de Gauche francesi, Izquierda Unida spagnola, oltre ovviamente il Prc e Syryza più altre formazioni minori. Ma la cosa è presto sfuggita di mano agli eterni rifondatori con l’entrata in campo di un gruppo di intellettuali e professori, fondamentalmente legati alla rivista Micromega, diretta da Paolo Flores D’Arcais ed edita dal gruppo Repubblica-Espresso, di fatto il lato sinistro del fronte politico-editoriale di Carlo De Bendetti. Questa lobby si è immediatamente autonominata comitato promotore della lista Tsipras, emarginando Rifondazione e tutti i soggetti collettivi potenzialmente interessati, ponendosi come unico ponte di comando dell’intera operazione con potere di scelta assoluto su candidature e composizione delle liste.
I garanti della lista
Cerchiamo di vedere meglio chi sono alcuni dei promotori di questa lista che pare vogliano gestire dalla A- Z questa operazione politica e poi mascherarsi dietro ad una finta democrazia para-assembleare per militanti e simpatizzanti di sinistra, ormai talmente disperati da credere a tutto, anche a ‘sti quattro professori.
Paolo Flores D’Arcais – Un quarantennio fa – quando i mulini erano bianchi – è stato comunista, poi è stato uno dei grandi sostenitori della svolta di Achille Occhetto (personaggio che probabilmente non passerà alla storia per il suo acume politico); in particolare Flores D’Arcais teorizzava l’esistenza di una “sinistra dei club” che avrebbe dovuto affiancare e intersecare il PDS. Peccato che la sinistra dei club esistesse solo nella testa del nostro intellettuale, mentre il PDS è sopravvissuto ai propri fondatori e teorici solo poche sfortunate stagioni (sono invece sopravvissute le abitudini salottiere di D’Arcais). Non pago di queste brillanti operazioni, tramite la rivista Micromega, Flores D’Aircais è stato uno dei più accaniti promotori di una sinistra giustizialista vicina a di Di Pietro e al suo partito di ladroni e voltagabbana.
Marco Revelli – Dalla seconda metà degli anni ’90 fino alla caduta è stato uno dei grandi
ispiratori di Fausto Bertinotti, uno degli intellettuali indipendenti dal Prc ma organici al
bertinottismo, tanto da venire eletto consigliere comunale a Torino nelle liste Prc. Il suo saggio Oltre il novecento venne definito da Luigi Pintor (che non era esattamente un bolscevico leninista) come «il libro più organicamente anticomunista che io abbia letto». Nel 2011 Marco Revelli
disegnò il governo Monti come l’arrivo dei salvatori della patria: “(…) politicamente, mi rendo conto che al suo governo non ci sono alternative. Che il suo ingresso a Palazzo Chigi ha il senso di un’ultima chiamata, oltre la quale non c’è un’altra soluzione politica possibile, ma solo il vuoto in cui tutti, nessuno escluso, finirebbero per schiantarsi (l’insolvenza dello Stato, la sospensione del pagamento degli stipendi ai dipendenti pubblici, il blocco del credito bancario, la paralisi del sistema produttivo, da cui una astrattamente desiderabile campagna elettorale non ci avrebbe messo al sicuro, anzi…). Non so se la nascita del suo governo sarà sufficiente a metterci al riparo, almeno temporaneamente, dalla tempesta che ci infuria intorno. Ma so che ne è – anche sul piano dello stile – la condizione necessaria.(…)”[Il Manifesto 17 novembre 2011]. Le stesse posizioni sono state poi ribadite da Revelli anche nei mesi successivi.
Barbara Spinelli – E’ stata tra le più determinate promotrici della lista, le sue posizioni politiche c’entrano abbastanza poco con la sinistra: è un’europeista convinta (nel senso di Unione Europea con le due maiuscole), editorialista de La Repubblica, giornale che non ha certo brillato per la sua linea di sinistra negli ultimi trent’anni. Dopo le elezioni politiche del 2013 la radicalità della Spinelli si è tramutata in un appello a Beppe Grillo affinché il Movimento 5 Stelle formasse un governo con il Pd di Bersani. Durante la recente crisi Ucraina Spinelli si è schierata dalla parte di rivoltosi invocando un intervento più deciso dell’Unione Europea.
Luciano Gallino – E’ uno dei più importanti sociologi italiani; saggista molto prolifico, tra i suoi ultimi lavori si segnala La lotta di classe dopo la lotta di classe. Viene da chiedersi come mai sostenga un progetto politico dichiaratamente aclassista come la lista Tsipras. Ricorda un po’ un altro famoso intellettuale come Mario Tronti che, dopo aver ripubblicato un classico dell’operaismo come Operai e Capitale ed aver sostenuto anche nei suoi scritti più recenti la necessità del partito di classe, ora fa il senatore per il Pd.
L’abdicazione di Sel e del Prc
Sono questi i principali personaggi a cui la sinistra politica si è affidata, a dir il vero, come vedremo, con poco entusiasmo. Ma se si parla di Europa, di Euro e di politiche economiche per Sel e Prc la lista Tsipras diventa un passaggio obbligato per la rimozione delle proprie responsabilità (in qualche caso un’operazione forse neanche consapevole, ma vera e propria rimozione psicologica dei propri reati politici).
Se nei primi anni ’90 la neonata Rifondazione Comunista denunciava – giustamente – i guasti che avrebbero prodotto i cosiddetti “parametri di Maastricht” per l’accesso all’euro, pochi anni dopo tutti i parlamentari del Prc – Vendola compreso – votavano le politiche economiche del primo governo Prodi necessarie per l’entrata nell’eurozona: privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica, ovvero alla scuola, alla sanità, al salario dei dipendenti pubblici, ecc.. Tutte queste scelte “europeiste” sono state reiterate nel corso degli anni da Prc e Sel ogni volta che hanno fatto parte di maggioranze e governi locali e nazionali.
Ma le scelte dei garanti emarginano sia Sel che il Prc al ruolo di sostenitori della lista senza voce in capitolo: sono solo i garanti nazionali ed i loro proconsoli locali a determinare ogni passaggio.
La stessa adesione di Sel alla lista Tsipras, se confermata fino alla fine del percorso, non è stata lineare ma nasce dalla sconfitta della linea Vendola al congresso nazionale del partito. Il presidente pugliese avrebbe preferito sostenere direttamente il socialdemocratico tedesco Schulz, con l’obiettivo dichiarato di entrare a breve nel Partito Socialista Europeo. La parziale sconfessione di tale linea da parte del congresso lo ha portato ad elaborazioni linguistiche senza costrutto politico: “(…) vogliamo occupare quella terra di mezzo tra Schulz e Tsipras, (…) siamo con Tsipras ma non contro Schulz (…)”, in definitiva Vendola tenta di essere milanista ed interista in contemporanea, rischiando di fare – in termini milanesi – la parte del pirla. Tra l’altro Tsipras in Grecia è il principale oppositore del governo di cui fa parte il Pasok, il vecchio e corrotto partito socialista ellenico espressione di quel Pse di cui Vendola vorrebbe entrare a far parte.
Lo stesso Prc, che della Sinistra Europea di cui Tsipras è esponente, si trova talmente in difficoltà da aver costretto la segreteria nazionale a scrivere una lettera ai propri iscritti per spronarli nell’impresa rilevandone alcuni dolentissimi punti: “(….) la nostra richiesta di costruire un percorso democratico nella definizione dei simboli e della composizione della lista è stata completamente disattesa dai promotori. Nonostante le nostre ripetute richieste (…) i garanti della lista non hanno accettato di costruire un percorso democratico che potesse determinare un effettivo spazio pubblico di sinistra.(…) Ci troviamo piuttosto di fronte ad una lista civica, di cui condividiamo la sostanza delle posizioni politiche senza che ne condividiamo i modi di costruzione e larga parte della cultura politica che viene proposta dai promotori. Il risultato concreto è una lista civica antiliberista(…)”
Di certo il rifiuto dei garanti di inserire la parola Sinistra nel simbolo ha creato ulteriori malumori nel mondo di Rifondazione.
La stessa Syryza esprime posizioni molto più radicali della lista italiana, senza tener conto che almeno il 25% del partito greco si trova su posizioni nettamente più a sinistra dello Tsipras, come si è evinto dai risultati dell’ultima conferenza nazionale.
E se dovessero farcela?
Il primo sondaggio li dà ad un esagerato 7,2%, ma se dovessero davvero superare lo sbarramento ci troveremmo davanti all’ennesima svolta destra della sinistra istituzionale/movimentista italiana, senza una politica del conflitto di classe ed egemonizzata dai personaggi di cui sopra, legati più che altro alla tradizione – minoritaria – di una parte della borghesia liberaldemocratica progressista italiana.
Concordo con la valutazione di Michele Terra.
Non sono d’accordo con chi andrà a votare con rassegnazione e poco entusiasmo né con chi distribuisce santini di Tsipras.
In questo momento esiste una unita’ di fatto fra un vasto fronte di comunisti che interpretando i caratteri imperialistici della costruzione europea vi si collocano contro e propongono l’immediata rottura della UE. In questa fase di campagna elettorale i comunisti non possono l’asciare certe parole d’ordine alla destra o a un movimento protestatario come il M5S. Lasciando in questo momento le considerazioni retrospettive tanto care ai rompicoglioni quello che e’ importante oggi che PDCI, PC, RdC , PCLin contrapposizione con la lista atlantista per Stipras si ritrovano di fatto uniti a prescindere dalle loro differenze. Come sempre i fatti superano le intenzioni e aprono processi che vanno interpretati e diretti. Le questioni internazionali sono sempre state decisive nella conformazione delle forze politiche. L’uscita in toto dei vari paesi dell’euro, o l’uscita dei paesi mediterranei, o di un solo paese che denotano differenze di prospettiva sono temi da approfondire ma che comunque sono all’interno di una proposta comune di rompere la UE e la sua moneta unica. La capacita’ dei gruppi dirigenti si misura nel saper leggere ciò che si muove e agevolare processi unitari fra comunisti che in questo momento sono identificabili oggettivamente in Italia nella contrapposizione alla lista per Stipras e in Europa in alternativa alla generica sinistra europea. Pieraccini, Rizzo, Casadio, Ferrando battete un colpo. Ci sono molte orecchie in attesa. Nessuna avventura organizzativistica ma azione comune e coordinata già in questa campagna elettorale. I gruppi dirigenti si misurano anche nella capacita’ di leggere le novità e di sapersi muovere. Non ci possiamo assumere la responsabilità di perdere condizioni che facciano avanzare processi unitari fra comunisti. Ricordiamoci che esiste anche un problema di costruzione anche di un fronte piu’ ampio ma questo, se non vuole involvere all’interno di un movimento che si esaurisce su se stesso, deve trovate un riferimento solido in una presenza comunista egemonica. Stesso ragionamento per la questione sindacale. La presenza comunista risulta imprescindibile, ecco perché necessita di fare un passo in avanti e non due indietro come abbiamo fatto con l’arcobaleno, la federazione della sinistra, la lista Ingroia, la lista per Tsipras.
http://www.youtube.com/watch?v=nkNcHPS3vd0
ma quest o spot è per votarli o non votarli, quelli della lista Tsipras? boh…
Questo spot è la fotografia del disorientamento diffuso tra le masse. Non è uno spot in favore di Tsipras, come pretenderebe, ma la denuncia del nuillismo esistente nella sinistra italiana: Nella quale, da anni, non ha più parte il PD.