«Welcome», «Umberto D» e 57 canali di merda

Oggi parlo di cinema. In particolare di un film recentissimo e assai bello, «Welcome» (visto in sala) e di un capolavoro del tutto dimenticato, «Umberto D» recuperato in dvd.

Per chi non mi conosce, preciso che sono un cinefilo; anche un po’ cinofilo ma mi secca se il correttore automatico interviene spesso nei miei scritti a mutare inopportunamente la e in o.

Amo il cinema classico e moderno; quello lentissimo e l’altro spumeggiante, da stress; adoro le cinque K (Kieslowski, Kitano, Kubrick, Kurosawa, Kusturica) ma anche il genere brillante; a volte, se posso, rivedo il film due volte di seguito … perché mi è piaciuto, per capirlo meglio o per godermi la tecnica dopo essere stato ipnotizzato dalla trama; sino a poco tempo fa andavo al cinema anche per pomiciare (ma questo è un altro discorso) al buio; preferisco la sala e il grande schermo ma non per questo rinuncio a vedermi vhs e dvd. Anzi direi che, almeno in Italia, è quasi l’unico motivo per usufruire ogni tanto di un televisore. Di solito, cioè 362 giorni l’anno, mi schiero con quello che cantava Bruce Springsteen: «57 canali in tv e nulla da vedere / così, nel sacro nome di Elvis, presi il fucile / e feci saltare in aria quell’aggeggio».

Se potessi, acquisterei (e regalerei) un mucchio di nuovi e di vecchi film. In questi giorni a esempio nelle edicole emiliane – non so altrove – si trovano a prezzi accettabili (fra i 7 e i 9 euri) classici di Hollywood come «Gardenia blu», «La grande nebbia», «Il paradiso può attendere», «Rivolta al blocco 11» ma anche di altre cinematografie («La fortezza nascosta», il meglio di Truffaut, le tre serie di «Heimat»)… tutti molti interessanti, per motivi diversi, pur se, a volte, il peso degli anni si fa sentire sulla trama o sulla tecnica.

Film difficili da trovare già. Potrei piratare qualcosa – non lo considero un reato –ma sono un cyber-sauro, insomma poco pratico. In casi estremi sono ricorso a “bucanieri” che conosco per farmi regalare qualche introvabile: per esempio quelli del “povero” (di soldi ma ricco di idee) cinema africano o del gran vecchio Mizoguchi. A proposito: se la maggior parte dei critici seri (in Italia anche Mereghetti che apprezzo con riserva e Morandini con il quale ho spessissimo un comune sentire) sostiene essere Mizoguchi storicamente il regista più grande – per quel che possono valere queste classifiche – è davvero stupefacente che i suoi film siano introvabili da noi. Ma lasciamo perdere.

Questa premessa per dirvi che sul blog tornerò a parlare di film (vecchi e nuovi) oltrechè ospitare chi ne scrive, anche meglio di me. Penso a Carlo, a Daniela, ad altre/i…

Ho visto «Welcome» di Philippe Lioret in sala, all’inizio di marzo con Marina e con Kashif, sconvolti come me. Non eravamo gli unici turbati: mai vista tanta gente piangere… per un gol di Cristiano Ronaldo (chi ha visto il film capisce di cosa sto parlando). Non so molto del regista ma «Welcome» è coraggioso e ben fatto: appena trovo la locandina farò come Andrea (che lavora in un ufficio immigrazione della Cgil) e me la attaccherò davanti agli occhi perché … mi resti in mente. Forse non è un capolavoro ma mi pare il film giusto per scuotere un poco i nostri tempi vigliacchi. Colpisce al cuore e più sotto come quel «Milllion dollar Baby» che per certi versi gli somiglia nella forza delle emozioni anche se racconta una storia del tutto diversa o l’altro di sant’Eastwood, «Gran Torino», che invece si avventura su un territorio simile ma che affronta la paura e l’incomprensione dell’altro negli Usa del fascista Bush invece che – come accade in «Welcome» – a ridosso del tunnel che collega la Francia del disgustoso Sarkozy e l’Inghilterra dei laburisti da tempo senza bussola o decenza.

Ve lo stra-consiglio.

Poche sere dopo mi sono goduto in dvd il vecchio «Umberto D»: è appena uscito in una serie (curata da Paolo Mereghetti e da Goffredo Fofi) che arriva in edicola a 12 euri e 90. Un po’ troppo ma sorvoliamo su questo. Film cancellato dalle sale quando uscì nel 1952: anche per “merito” dell’allora giovane Giulio Andreotti. E poi dimenticato dall’Italia del boom.

Non lo avevo mai visto. Conoscendo la trama potevo pensare allo statunitense «Cupo tramonto» (altro film introvabile) oppure al giapponese «Viaggio a Tokio» più che a «Il posto delle fragole» o a certi film che riescono a far sorridere anche sulla vecchiaia estrema. D’altro canto l’accoppiata fra un regista nel suo periodo “neorealista” (Vittorio De Sica) e uno sceneggiatore geniale (Cesare Zavattini) poteva funzionare come incepparsi. Dovendo dar retta a Morandini era un film da 5 asterischi cioè il massimo (e lui è piuttosto prudente nei suoi giudizi) ma chissà.

Mi sono messo in poltrona e… ho dimenticato tutto. Compreso che, a un certo punto del film, compare per pochi attimi mio padre: ha collaborato per qualche tempo con De Sica (più sul versante tecnico che creativo) ma è una storia che semmai vi racconterò un’altra volta. Se neppure mi sono accorto che nel film c’era mio babbo non è accaduto per distrazione, dissenso generazionale o tardivi problemi edipici. E’ proprio che «Umberto D» è un capolavoro, non ti molla un secondo. In qualche punto il ritmo e la tecnica forse sono “datati” ma resta un’opera impressionante, vicina alla perfezione. Il malefico Andreotti non aveva torto a temerlo perché De Sica ha saputo unire una tenerezza incredibile a una tristezza e a una violenza quasi insopportabili. Con tocchi di poesia e ironia indimenticabili come quando il protagonista prima cerca la “tecnica” giusta, poi allunga la mano per chiedere l’elemosina ma si vergogna e appena qualcuno si ferma finge… di scaldarsi il palmo al sole.

Come in «Rosetta» (per citare un film recente che in Belgio è riuscito a mettere un governo con le spalle al muro) il finale si apre a una tiepidissima, esile speranza ma proprio come quello dei fratelli Dardenne «Umberto D» è un film attraversato da «una crudeltà lucida senza compromessi», per dirla con Morandini, ma anche una condanna senza appello del sistema politico oggi dominante.  Se il protagonista resiste non è perché trova solidarietà umana ma per non abbandonare Flick, il suo cagnetto.

Dopo l’Italia del bom e poi quella dei diritti, delle lotte, delle speranze viviamo oggi un’Italia di nuovo disperata, arrogante e fascistoide dove gli “Umberto D” cioè i pensionati “di serie Z” affollano le mense Caritas, vengono arrestati (e talvolta quasi muoiono di vergogna) perchè rubano un pezzo di carne al supermercato, vengono sfrattati senza che intorni ci si indigni granchè. «Aiuta lo Stato ammazza un pensionato» era uno degli slogan ironici-paradossali che veniva urlato nei cortei dello scorso decennio quando lorsignori cianciavano (e ancora cianciano) di abbassare ancora le pensioni per sanare il debito pubblico proprio mentre gli stessi si rubavano (e ancora-ancora rubano) la cassa pubblica, saccheggiano il Paese, spendono i soldi di tutte e tutti negli sperperi più indecenti o in qualche presunta azione e/o guerra umanitaria. La loro protezione civile, chiunque può vederlo, è più inefficace di un preservativo bucato eppure gli ignoranti (e molti giornalisti) «fanno ohhhhhhhhhhh» come dice quel tipo che ce l’ha con i gay, non Ratzinger ma quell’altro che canta.

Varrebbe la pena ri-proiettarlo «Umberto D» per quanto è drammaticamente attuale: chissà se qualche cineteca piuttosto che Università della terza età o sindacato lo fa. Ma ovviamente ci vorrebbe ancor più qualche regista di coraggio che aggirando la doppia censura (politica prima e di mercato truccato poi) ci proponga storie simili sull’oggi, nell’epoca del «lavora, consuma, crepa» per dirla con un altro slogan più realista che ironico. Non che manchino in Italia film importanti e riusciti – tale considero «La giusta distanza» di Silvio Soldini, per dirne uno – ma sono una manciata rispetto a quelli che (per fortuna) ci arrivano da fuori. Quei pochissimi italiani e i pochi stranieri talvolta – non sempre – riescono a bucare un mercato che è nelle mani…. ovviamente del signor tessera P2 1816 (alias Silvio Berlusconi) e dei suoi molti amici o sudditi. Perè anche se circolano… non è mai abbastanza, anche perché spesso si ha l’incapacità di valorizzarli, proporli nei luoghi di aggregazione e formazione. Dunque questi film utili, “belli e dannati” (cioè controcorrente) facciamoli girare il più possibile: «Welcome» (come «Umberto D») è un graffio nell’anima – per chi ci crede – o nel cuore. Non se ne esce senza entrare in crisi almeno un po’. Vi pare poco di questi brutti tempi?

Redazione
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7 commenti

  • Umberto D. è un capolavoro. Non aggiungo altro per non togliere il piacere di scoprirlo a chi ancora non l’ha visto. Anche solo per il fatto di aver dato fastidio a Belzebù (Andreotti) va assolutamente visto.

  • enrico caravita

    Grazie db,
    un bacione.

    e.

  • Io, che sono cinEfilo e cinOfilo come il Barbieri sono anche uno che si emoziona quando attraversa o vede “dal vivo” i luoghi del cinema. Luoghi che trasudano le immagini che vi sono state girate, luoghi che traspirano l’aria buona del buon cinema (quando c’è).

    Luoghi che con Umberto D. diventano poesia, come piazza della Rotonda, al Pantheon, proprio davanti a Cenci (luogo ben utilizzato da un altro capolavoro che è Indagine su un cittadino…Petri dove seiiiiiiii). Qui, al Pantheon, il nostro Umberto D. compie un gesto che ancor oggi, a maggior ragione oggi, stringe il cuore, e – parafrasando Barbieri – graffia l’anima.

  • giovanna tomai

    Ho visto Welcome e anche io ho sentito correre le lacrime per una trama così ben congeniata a fronte di un tema che travolge anche chi non sa o fa finta di non sapere.

    Non ho visto Umberto D e spero a questo punto di recuperarlo!

    un caro saluto,
    gio

  • sei un grande pkdick… anche senza cellulare!

  • “Raccontavo a Daniele che ieri sera sono andata al Lumiere a vedere
    > Come Back, Africa di Lionel Rogosin, restaurato da poco dalla
    > Cineteca, e che ero rimasta colpita dalla somiglianza della situazione
    > di come venivano trattati i neri nella Johannesburg anni ’60 a quella
    > dell’Italia del 2010 e lui mi dice: perchè non scrivi un pezzo?” Ehhh
    > scrivi un pezzo, fosse facile per me scrivere…… Per me che sono
    > una donna orale scrivere è sempre molto difficoltoso ma per Daniele ci
    > proverò.
    > “Mentre osservavo le immagini in bianco e nero di questo film,
    > bellissimo e tragico allo stesso tempo, mi venivano in mente le
    > immagini che ogni giorno vedo alla televisione, le notizie che leggo
    > sul giornale, le parole che ascolto alla radio. Immagini di violenza
    > sfrenata, di razzismo, di odio. Ieri sera mentre guardavo il film mi
    > sembrava che non ci fosse differenza alcuna. I neri sudafricani
    > dovevano presentare il permesso di soggiorno per poter lavorare, il
    > permesso scadeva dopo pochissimo tempo e se non trovavi lavoro in quei
    > pochi giorni arrivava la polizia di notte e ti veniva a prelevare
    > nella baracca dove tu stavi cercando di dormire accanto a tua moglie
    > al calduccio cercando qualche ora di quiete……Dov’è la differenza
    > con gli sgombri che tutti i giorni leggiamo sui giornali?? Dov’è la
    > differenza nel trattare uomini e donne come bestie, senza alcuna
    > dignità umana, senza rispetto per l’essere umano?? Non ne vedo alcuna.
    > I lavori a cui potevano accedere i neri degli anni ’60 erano lavori
    > tutti naturalmente umili: dalle pulizie, ai camerieri, agli
    > sgobbafatiche delle officine e tutte cose dove il rispetto per le
    > capacità intellettive della persona non venivano minimamente tenute in
    > considerazione. E anche qui vedo poca differenza con tutto quello che
    > è sotto ai nostri occhi, visibile a chi lo vuol vedere ma invisibile
    > ai più…….. Vedevo le facce stupite dei miei amici quando
    > continuavo a dire che nulla è cambiato rispetto a oggi….. Allora gli
    > ho detto: ma forse voi non ve ne accorgete perchè fate lavori diversi
    > e non siete così sensibili al tema ma io che ci lavoro vi assicuro che
    > è così!! PRESTATE ATTENZIONE!!!!! prestate più attenzione amiche mie e
    > amici miei che quello che sta accadendo oggi in Italia è atroce. Nè
    > più nè meno di quello che succedeva durante l’*apartheid in Africa.
    > *Anzi forse una differnza l’ho trovata: quando un poliziotto sta per
    > violentare una donna il suo collega gli dice “vieni via che queste
    > cose non si fanno”. Ecco in Italia nel 2010 queste cose SI
    > FANNO…anche queste cose SI FANNO.”

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