Yerka e non Yerka / 17

Artisti a confronto – di Mauro Antonio Miglieruolo

PRIMA PARTE: YERKA

La proprietà privata è un animale rapace da tenere al guinzaglio, entità infedele sempre pronto a involarsi verso altri lidi. A rubare nel proprio recinto e in quelli altrui. Bisogna sia costantemente sorvegliata, tenuta al sicuro dalla tendenza alla predazione.

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La gloria di una società stratificata, pronta a partire alla conquista dell’universo. Le basi però sono quelle che sono. Non potrebbe essere che prima di conquistare lo spaziotempo l’essere umano arrivi a conquistare un poco di razionalità? in favore della giustizia e dell’uguaglianza?

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Una panchina sull’orlo dell’abisso. In un territorio disseminato di scheletri. In una realtà caratterizzata dall’abbondanza. Dalla possibilità della pace e di cura della propria persona.

L’abisso sempre incombente.

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Milioni di finestre cieche in costruzioni silenziose si affacciano in un deserto d’anime, mondo inutile anche se pieno di convinzione sulla propria eccellenza. Puoi camminare quanto vuoi in questa strana città, non ne troverai mai il termine. Né stazione dalla quale ripartire alla ricerca di nuovi lidi. Perfetto racconto New Age.

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Meraviglioso Yerka! Ineguagliabile tempra d’artista! Capace di innovare su uno stesso tema.

Altro che castelli in aria! Le case sugli alberi che diventano palazzi nel cielo (Malaguti). Il sogno trasformato in incubo (pur nelle stesse modalità di bellezza). Il capitale incombe sula realtà dell’uomo, un peso insopportabile da portare.

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La navicella della civiltà viaggia su un iceberg immobile, all’interno di uno spazio sempre più ridotto. C’è proprio da chiedersi: che fine farà tutto questo? tutto il costruito, il guadagnato e il rubato…

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Non lo sappiamo, non lo vogliamo sapere per non doverlo ammettere. È sull’esistenza di alberi che si fonda tutto. Non la sola possibilità di sfamarci, ma anche il senso di armonia e di bellezza che per secoli ha cercato di temperare le tendenze perverse del dominio. Potrebbe essere che “sul più bello” tutto questo finisca?

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Altra bella opera inedita di Yerka. In queste puntata ne sono state offerte diverse: originali, mai rubate, neanche in parte, al vasto golfo che raccoglie l’oceano delle idee e dei pensieri umani.

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Chissà a chi è toccato esporre nel proprio salotto questo capolavoro? Un’opera in bilico tra passato, presente e futuro.

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Quadro frutto dell’ampliamento di quello presentato nella puntata precedente. I particolari aggiunti offrono alla fantasmagoria dell’invenzione un appiglio di normalità (le stagioni differenti) al quale ancorare un significato. Sulla “normalità” del mondo incombe l’ignoto della macchina, dello strapotere della tecnica e del nascosto occulto della finanza.

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Nell’insieme della sua opera, nella quale gli esseri umani sembrano escluso, occasionalmente appare una creatura umana. L’artista allora è costretto a riconoscere tutto quello che fin lì ha negato: che l’essere umano è principio e fine di ogni cosa.

L’umano?

La bellezza connaturata al feminile, piuttosto.

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Le quattro stagioni? Le due stagioni dell’anima, piuttosto. Il nero della cattiva coscienza, che trova rifugio nei sotterranei dell’inconscio. Contrapposto alla solare apertura del giorno, al vitale dell’acqua che scorre (o che zampilla).

La via per arrivare alla due inconciliabili possibilità è una sola. Il primo e più facile bivio è quello che porta a destra (guarda un po’!); il secondo più proficuo, che esige anche un lungo cammino, conduce a sinistra.

La vita è sempre costantemente una scelta…

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SECONDA PARTE: Fantascienza

La semplicità sembra essere la cifra disrtintiva di molta fantascienza. Non sembra: lo è. Ma è su quella semplicità che sono costruiti i mondi alternativi, fascinosi, terrorizzanti, possibili e impossibili, di Dick, Van Vogt, Sheckley e compagnia bella (no, bellissima).

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Una scale che conduce all’ignoto che è il risvolto permanente di ogni realtà. E conduce alla Fantascienza.

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Chiare fresche dolci estensioni fumettistiche dell’emozione che guida la fantascienza.

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Lo strapotere della macchina, ingigantita a esplicitarne il pericolo.

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Pessimo futuro quello che ci aspetta. L’uguale di ciò che viviamo nel presente. Irrigimentazione, controllo e supertecnologia. L’umano scomparso, dissolto dallo stesso incedere marziale delle sue opere.

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L’universo ci sembrava nostro (nel secolo scorso). Ora ci resta solo il sogno – cioè l’illusione – che ha permesso di metterlo al mondo.

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Non è un angelo quello che è rappresentato. È un folletto, o un invasore? Che importa. Importa dispensi acqua. Armonia e pace.

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Il Novecento è pieno di scale mobili che hanno sprofondato l’umanità in vari inferni, il peggiore dei quali è quello descritto come il migliore dei mondi possibili. Mi piace pensare che possa esserne concepita una che conduca alla realtà di un mondo davvero nuovo e diverso. Un mondo di pace e di uguaglianza.

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Il sogno continua, anche dopo essere diventato realtà. L’uomo non smetterà mai di sognare. Di aspirare a una dimensione superiore, più alta e nobile di quella già raggiunta.

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Noi siamo le prede, gli extraterrestri i predatori. Qualcuno ne concluderà l’impellenza dell’opportunità di armarsi. Ne deduco che voglio giocare un gioco diverso da quello che contempla la sola necessità di predare.

 

continua sabato prossimo

 

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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