Gli Stati Uniti negano il visto al Nobel Wole Soyinka
(articolo ripreso da africarivista.it)
Il premio Nobel della letteratura nigeriano Wole Soyinka ha fatto sapere che gli Stati uniti gli hanno revocato il visto e gli hanno vietato l’ingresso nel Paese. Lo scrittore, oggi 91enne e premio Nobel per la letteratura nel 1986, ha denunciato in una conferenza stampa il fatto che il consolato statunitense a Lagos gli ha chiesto di portare con sé il passaporto affinché il suo visto potesse essere annullato di persona, poiché erano emerse “nuove informazioni” sul suo conto, non specificate.
Soyinka ha definito l’invito una “lettera d’amore piuttosto curiosa da parte di un’ambasciata” e ha detto alle organizzazioni che speravano di invitarlo negli Stati Uniti di “non perdere tempo”: il premio Nobel era titolare di un permesso di residenza permanente negli Stati Uniti ma vi ha rinunciato nel 2016, strappando la sua green card in segno di protesta contro l’elezione del presidente Donald Trump. Tuttavia, il famoso autore ha continuato a svolgere regolarmente incarichi di insegnamento presso università statunitensi, cosa che fa da almeno 30 anni.
Il caso getta luce sulle politiche di visto e revoca degli Stati Uniti nei confronti di cittadini stranieri. Come sottolinea Al Jazeera, dall’inizio del suo secondo mandato Trump ha messo in atto una stretta sull’immigrazione. Quello che ha coinvolto Wole Soyinka non è infatti il primo caso. L’amministrazione Trump ha revocato nell’ultimo periodo visti e green card a individui che ritiene non in linea con le politiche del presidente.
Prima persona del continente africano a vincere il Premio Nobel per la Letteratura, Soyinka è uno dei più acuti e vivaci intellettuali africani. Ha speso la sua vita a scrivere e a lottare per i diritti.
Conversazione telefonica
Il prezzo sembrava ragionevole, il luogo
indifferente. L’affittuaria aveva giurato di vivere
fuori sede. Non rimaneva nulla
se non la confessione. “Signora” avvisai,
“detesto buttar via tempo in viaggi inutili – sono africano.”
Silenzio. Trasmissione zittita di
buone maniere pressurizzate. La voce, quando venne,
spalmata di rossetto, pigolio di lungo
bocchino dorato. Ero stato beccato, che imbecille.
“QUANTO SCURO?”… Non avevo sentito male… “LEI È CHIARO
O MOLTO SCURO?” Bottone B. Bottone A. Tanfo
di respiro rancido di pubblico nascondino telefonico.
Cabina rossa. Cassetta rossa. Autobus rosso
a due piani che schiaccia l’asfalto. Era vero! Svergognata
dal silenzio scortese, la resa
spinse lo stupore a pregare semplificazione.
Lei era piena di riguardo, variando l’enfasi –
“LEI È SCURO? O MOLTO CHIARO?”
Venne la rivelazione.
“Lei intende – come cioccolato semplice o al latte?”
Il suo assenso era clinico, schiacciante nella propria leggera
impersonalità. Rapidamente, regolatomi a quella lunghezza d’onda,
scelsi. “Seppia Africano occidentale” e come pensiero aggiunto,
“Come dice il mio passaporto.” Silenzio per spettroscopico
volo di fantasia, fino che la sincerità fece risuonare il suo duro
accento sulla cornetta. “COS’E’?” concedendo
“NON HO IDEA DI COSA SIA.” “Tipo castano.”
“È SCURO, GIUSTO?” “Non del tutto.
Di faccia, sono castano, ma signora, dovrebbe vedere
il resto di me. Il palmo della mia mano, le piante dei miei piedi
sono di un biondo ossigenato. Lo sfregamento, dovuto –
che stupido pazzo – allo starmene seduto, ha reso
il mio sedere nero corvino – un momento, signora!”- percependo
il suo ricevitore rizzarsi in un fragore di tuono
fin nelle orecchie: “Signora,” supplicai, “non vorrebbe piuttosto
controllare di persona?”
Mi indigna l’impoverimento del linguaggio, la retorica dell’esclusione. Il muro di Trump è già eretto nelle menti (Wole Soyinka)
«Le relazioni euro-africane degli ultimi cinque secoli – diceva lo scrittore nigeriano Nobel per la letteratura 1986 – sono la storia di un monologo. Quello europeo».

