Aicci anda sa vida: ancora sul film di Milani
di Ignazio Sanna
La vita va così (https://www.youtube.com/watch?v=6Duye2JYA0E&t=126s), ultimo film di Riccardo Milani, è un curioso oggetto, che può essere letto secondo diverse prospettive. La principale, secondo il punto di vista attribuibile all’autore e alla produzione, lo inserisce nel filone della commedia all’italiana di ambito regionale. Infatti inizia con i toni della commedia per proseguire via via su toni sempre più legati al sociale e le problematiche ad esso collegate. Come altri hanno giustamente notato (https://www.labottegadelbarbieri.org/la-vita-va-cosi-cambiamola/) si tratta di un punto di vista sostanzialmente neo-coloniale, sia pure, io aggiungerei, con inclinazione buonista. La vicenda è quella, realmente accaduta, dell’anziano pastore Ovidio Marras (qui ben interpretato dall’autentico pastore ottuagenario Giuseppe Ignazio Loi), che respinge con fierezza e dignità le avances dell’industria del mattone con finalità turistiche che concupivano le sue proprietà (https://www.slowfood.it/il-pastore-ferma-il-cemento-a-capo-malfatano/; https://gruppodinterventogiuridicoweb.com/2012/09/07/tuerredda-e-malfatano-teulada-ruspe-in-arrivo-per-demolire-e-per-ristrutturare/).
Dal punto di vista dei sardi che lo scrittore Francesco Masala (Quelli dalle labbra bianche, 1962) definiva ‘vinti, ma non convinti’, si tratta di una pellicola che, fatta salva la buona fede dell’autore, in fin dei conti non fa altro che ritrarre ciò che appare come un residuato di un’epoca passata, pre-moderna, il pastore come entità antropologica, che si oppone al presunto ‘progresso’, qui rappresentato dalla cementificazione selvaggia delle coste, già patita a suo tempo nel nord dell’isola, con la cosiddetta Costa Smeralda. Una faccia della medaglia è questa, e infatti tutto il paese gli si oppone perché impedisce il benessere e la prosperità della comunità locale, munificamente offerta dall’imprenditore milanese di turno, altra figura cristallizzata nell’ambito del luogo comune. Il regista ha affermato che “non è solo la storia di un uomo che ha avuto il coraggio di dire di no. È anche la storia, ispirata ad una vicenda reale, di una Comunità del nostro Paese stretta tra la necessità del lavoro e il rispetto del territorio, dove capita da sempre di essere messi uno contro l’altro, dove il conflitto porta spaccature, dolore e sofferenza” (https://www.comingsoon.it/film/la-vita-va-cosi/66503/scheda/). La mia impressione è che Riccardo Milani apprezzi sinceramente la Sardegna e i suoi valori, ma il problema è che, come quasi tutti gli italiani, probabilmente ne conosce soltanto gli aspetti superficiali (i pastori, il paesaggio, etc.). E il riferimento al santo patrono laico Gigi Riva, usato come elemento decorativo, pare confermare questa ipotesi. La responsabilità ovviamente non è tutta né di Milani né degli altri italiani nelle sue condizioni. Almeno da quando la Sardegna ha perduto la sua indipendenza (https://www.manifestosardo.org/sa-batalla-de-seddori-niente-da-celebrare-ma-da-ricordare-e-studiare/) per diventare una regione prima spagnola e poi italiana, è iniziata la condizione di minorità dei sardi, popolo sempre eterogestito, nonostante il nome altisonante di quello che è oggi un ente di potere locale come la Regione Autonoma della Sardegna (proprio in questi giorni la Presidente Todde sta cercando di ottenere dal governo i finanziamenti già accordati, che questo, come già altri governi, cerca il più possibile di non erogare). Non è questa la sede per addentrarsi nel ginepraio delle prese di posizione e delle contrapposizioni tra indipendentisti, separatisti, italianisti e quant’altro. Ma non si può capire veramente cosa c’è dietro l’episodio narrato nel film se non si tiene presente il quadro storico e culturale nel quale si inserisce. E così come sono tanti i sardi che non lo conoscono è facile rendersi conto di quanto pochi possano essere i non sardi che lo conoscono. Anche in questo caso la responsabilità dell’ignoranza di tanti sardi sulla propria storia e la propria lingua non è loro (ma in gran parte dei loro rappresentanti politici), perché nelle scuole sarde non è mai stato previsto dai programmi scolastici (e tanto meno in questi anni, con le destre centraliste, oscurantiste e autoritarie al potere) lo studio della storia e della lingua della Sardegna. Perché si cercasse di fare qualcosa, ma con scarso successo, si è dovuta attendere una risoluzione del Parlamento europeo negli anni Ottanta, che obbligava gli Stati membri a legiferare in materia (per approfondire: https://www.dizie.eu/dizionario/lingue-minoritarie-nellunione-europea/). Ecco dunque che sentire qualche frase in sardo campidanese pronunciata (peraltro molto bene) da un’attrice tra le migliori nel panorama cinematografico italiano contemporaneo quale Virginia Raffaele (nel film la figlia del pastore), o la parola furriadroxu (sempre pronunciata correttamente) da una star come Diego Abatantuono (nel film l’imprenditore milanese ‘illuminato’) non è soltanto una bella soddisfazione, ma ha un valore notevole in questo contesto, e occorre darne merito in primo luogo al regista e al coautore della sceneggiatura Michele Astori. Possiamo notare en passant l’enorme salto di qualità da questo punto di vista tra il lavoro di Milani e il grottesco esito del film di Luigi Zampa Una questione d’onore (1966). In quel film il protagonista Ugo Tognazzi parlava soltanto una caricatura, grottesca per l’appunto, dell’italiano parlato dai sardi secondo la visione stereotipa degli italiani (niente sardo, per carità, che schifo!). Purtroppo però non è sufficiente avere descritto il ‘buon selvaggio’ con accurato realismo linguistico, perché si resta comunque all’interno dello stereotipo. Quindi il problema è che solo l’autorappresentazione può fare piazza pulita di banalità e luoghi comuni dai quali gli sguardi dall’esterno non sembrano essere in grado di prescindere. Questo in linea teorica, perché se il cinema è un’industria, e lo è, ci vogliono i soldi per fare i film e i finanziamenti arrivano in funzione di scelte economiche, che devono essere remunerative a cominciare dal botteghino. E infatti la scelta degli interpreti ha prodotto un buon successo del film in tutta Italia, sostenuto dalle buone prove di tutto il cast, e in particolare con il contributo al realismo degli attori sardi, tra i quali in primis Geppi Cucciari e Jacopo Cullin. Una curiosità: per motivi imperscrutabili il nome ‘Efisio Mulas’ pare piacere moltissimo fuori dalla Sardegna. Infatti è divenuto il nominativo sardo par excellence, venendo utilizzato non soltanto come nome del protagonista sardo nei due film citati ma anche di un personaggio della trasmissione radiofonica Hollywood Party (https://www.raiplaysound.it/programmi/hollywoodparty).
Resistendo alla tentazione di firmarmi anch’io ‘Efisio Mulas’, vorrei concludere con una nota non positiva sulla scelta delle musiche, purtroppo non soddisfacenti. Non me ne voglia l’autore che è stato scelto per i titoli di coda, ma avrei trovato molto più adeguata la scelta di altri musicisti sardi, come i Train To Roots (https://www.youtube.com/watch?v=aqSsswSMkNg) o Dr. Drer & Crc Posse (https://www.youtube.com/watch?v=6kqeiH1BvwI). Ma del resto, aicci anda sa vida…