Astronomia-Fs 6: a spasso con Lem nell’universo

Solaris: l’indagine sulla vita extraterrestre attraverso la lente della fantascienza

E se la ricerca di vita aliena ci aiutasse a capire noi stessi?

Astronomia da fantascienza, a cura di Camilla Pianta (*)

COUNTDOWN VERSO APRILE 2026, IL CENTENARIO DELLA FANTASCIENZA – siamo a meno 5

 

La scoperta di Solaris risaliva a circa cento anni prima della mia nascita. Il pianeta girava attorno a due soli, uno rosso e uno blu. Per i successivi quarant’anni e passa nessuna nave spaziale gli si era avvicinata. A quei tempi la teoria di Gamow-Shapley sul fatto che sui pianeti satelliti di due corpi solari non potesse esserci vita era considerata una certezza assoluta: le orbite di quei pianeti subivano continue modificazioni per effetto del gioco gravitazionale in atto durante il reciproco girarsi intorno dei due soli. […] In capo a una quindicina di anni ci si era tuttavia resi conto che la sua orbita non rivelava affatto le variazioni previste, quasi fosse altrettanto stabile di quella del nostro sistema solare.

Pubblicato nel 1961, oggi Solaris viene considerato uno dei più importanti romanzi di fantascienza di tutti i tempi e forse il più significativo romanzo di questo genere scritto lo scorso secolo da un autore dell’Europa continentale, il polacco Stanisław Lem (1921-2005). L’astronauta Chris Kelvin viene mandato in missione sulla stazione spaziale che studia il pianeta Solaris, nella costellazione dell’Acquario. Non è un fisico, un ingegnere o un astronomo, come ci si potrebbe aspettare: è uno psicologo. Infatti, l’impresa di indagare quel mondo misterioso sembra mettere a dura prova gli esploratori terrestri non solo dal punto di vista scientifico, ma soprattutto da quello umano. Solaris si presenta quasi completamente ricoperto da un oceano gelatinoso in continuo movimento, dotato di caratteristiche talmente inspiegabili da suggerire che si tratti di un informe essere senziente in grado di condizionare l’ambiente circostante. Alcuni ritengono che il suo influsso determini il moto del pianeta su un’orbita stabile attorno ai suoi due soli, sebbene per le leggi della gravitazione quella traiettoria non dovrebbe essere permessa. Sempre all’oceano sono attribuiti altri fenomeni impossibili che incidono sulla psiche delle persone a bordo della stazione, come il materializzarsi di figure appartenenti al loro passato, riproduzioni reali di persone defunte o dimenticate. Kelvin, inviato per capire che cosa stia succedendo, si troverà impreparato di fronte a ciò che scoprirà: l’incontro con Solaris cambierà radicalmente il suo modo di concepire non solo la vita, ma anche sé stesso.

Quando Lem ha immaginato Solaris, non poteva prevedere che appena una trentina d’anni dopo, a partire dagli anni ’90 del XX secolo, la ricerca astronomica avrebbe finalmente appurato che i mondi alieni vagheggiati dalla fantascienza esistono davvero. Vengono chiamati esopianeti, termine tecnico con cui si indicano i pianeti al di fuori del Sistema solare. Nonostante nessuno tra gli oltre 6.000 esopianeti finora individuati ospiti un’entità enigmatica come l’oceano di Solaris, le proprietà fisiche osservate si rivelano così inattese e variegate da costringerci a rivedere sensibilmente le idee che avevamo sui processi di formazione ed evoluzione planetaria. Come per Kelvin, anche nella realtà i mondi alieni ci hanno colti di sorpresa…

A offrire una prospettiva scientifica sui mondi alieni prefigurati dalla fantasia di Lem è Giuseppe Galletta, docente di Astronomia e Astrobiologia all’Università degli Studi di Padova, la cui ricerca si concentra sullo studio degli esopianeti e delle condizioni che possono renderli abitabili. L’astrobiologia, disciplina che unisce astronomia, geologia, chimica, biologia e non solo, si occupa proprio di queste questioni: come nascono i pianeti, quali elementi chimici li compongono, in che modo possano accogliere forme di vita.

A sinistra, la copertina della prima traduzione italiana di Solaris (Editrice Nord, 1973). Fonte: https://www.equilibrilibreria.it/product/solaris-lem-stanislaw-editrice-nord-1973/
Al centro, ritratto dell’autore Stanisłav Lem. Fonte: https://www1.wdr.de/radio/wdr5/sendungen/zeitzeichen/zeitzeichen-stanislaw-lem-100.html
A destra, la copertina della più recente traduzione italiana di Solaris (Sellerio, 2013). Fonte: https://www.doppiozero.com/grandezza-di-stanislaw-lem

 

Svariate sono le tecniche che permettono di stabilire l’esistenza di un esopianeta, di ricavarne i parametri fisici fondamentali – come massa, raggio, densità, composizione atmosferica e periodo orbitale, – e di valutarne la potenziale abitabilità. Tra queste, ne ricordiamo in particolare quattro: il metodo della velocità radiale, quello dei transiti, l’imaging diretto e il microlensing gravitazionale”, spiega Galletta. Il metodo della velocità radiale consiste nel misurare le piccolissime variazioni nella velocità con cui una stella si muove lungo la linea di vista dell’osservatore a causa della forza di attrazione gravitazionale esercitata dal pianeta che le orbita attorno. Tale moto oscillatorio indotto genera uno spostamento per effetto Doppler delle righe spettrali della luce emessa dalla stella in direzione dell’osservatore: quando essa si avvicina, le righe si spostano verso il blu (a lunghezze d’onda minori), mentre quando si allontana le righe si spostano verso il rosso (a lunghezze d’onda maggiori). Poiché l’ampiezza di questo effetto dipende dall’inclinazione dell’orbita relativamente alla linea di vista, si riesce ad estrapolare la massa minima del pianeta. Invece, il metodo dei transiti registra la diminuzione della luminosità della stella quando il pianeta si sovrappone al suo disco visibile, oscurandolo parzialmente. La misura della profondità e della durata del transito consente di stimare il raggio del pianeta: se è possibile associare questa informazione al valore di massa derivante dal metodo delle velocità radiali, si ottiene la densità media, un parametro cruciale per distinguere tra pianeti gassosi e rocciosi.

L’imaging diretto costituisce un approccio più complesso, che mira a separare la luce del pianeta da quella estremamente più intensa della stella vicina. Una volta isolata, la radiazione emessa o riflessa dal pianeta può essere osservata direttamente e analizzata tramite spettroscopia ad alta risoluzione per ricavare la composizione chimica atmosferica, l’albedo e la temperatura superficiale di questo. Infine, il microlensing gravitazionale, ovvero il fenomeno previsto dalla relatività generale di Albert Einstein secondo cui la luce di una stella lontana viene deviata e amplificata dalla presenza di un corpo massiccio lungo la linea di vista, è utile a localizzare pianeti di piccola massa che altrimenti sfuggirebbero ai metodi della velocità radiale o dei transiti. Allorché un pianeta passa davanti a una stella di fondo, la luce di quest’ultima subisce un aumento temporaneo detto magnificazione, la cui forma è funzione proprio della massa planetaria.

La combinazione di queste tecniche di rivelazione porta a classificare gli esopianeti in base alla loro composizione interna, che può essere ipotizzata esclusivamente a partire dai dati raccolti. I pianeti rocciosi, analoghi alla Terra, includono un nucleo denso e una crosta solida, mentre i giganti gassosi, simili a Giove e Saturno, possiedono un inviluppo contenente prevalentemente idrogeno ed elio, oltre che eventuali nuclei rocciosi o metallici di dimensioni ridotte. Tra questi due estremi si collocano le super Terre, pianeti più massicci della Terra, ma più piccoli di Nettuno, con una gravità superficiale abbastanza forte da trattenere un’atmosfera significativa e mantenere potenzialmente l’acqua liquida in abbondanza, e i mini Nettuno, con atmosfere dense e con abbondanti sostanze volatili.

A sinistra, Giuseppe Galletta. Fonte: per gentile concessione dell’autore.
A destra, schema riassuntivo dei principali metodi per l’individuazione di esopianeti. Da in alto a sinistra, in senso orario: transito fotometrico; variazione dei tempi di transito; imaging diretto; astrometria; microlensing; velocità radiali. Credit: ESA. Fonte: https://www.esa.int/ESA_Multimedia/Images/2019/12/Exoplanet_detection_methods

 

Tale classificazione non è però fine a sé stessa: al contrario, essa è utile a calcolare la probabilità che un esopianeta possa risultare abitabile, ossia in grado di ospitare forme di vita complesse, almeno di tipo cellulare, comparabili a quelle terrestri. “I fattori che determinano l’abitabilità di un esopianeta sono i seguenti: distanza dalla stella ospite, stabilità orbitale e dinamica del sistema planetario, spessore dell’atmosfera, presenza di acqua liquida, attività geologica e riciclo geochimico che mantenga disponibili gli elementi chimici indispensabili per la vita, esistenza e durata di un campo magnetico protettivo dalla radiazione stellare, una finestra temporale adatta allo sviluppo e alla sopravvivenza di microrganismi”, chiarisce Galletta. La distanza di un pianeta dalla sua stella regola il flusso energetico ricevuto dal pianeta e, quindi, la sua temperatura superficiale e lo stato fisico dell’acqua eventualmente presente. Una distanza eccessivamente piccola provoca l’esposizione del pianeta alla radiazione stellare ionizzante e la successiva perdita dei gas volatili atmosferici di questo. Viceversa, una distanza troppo elevata ne comporta il congelamento, facendo sì che l’acqua si trasformi in ghiaccio. L’intervallo di distanze che teoricamente permettono a un esopianeta di ospitare sulla sua superficie acqua allo stato liquido in modo stabile individua la cosiddetta zona abitabile circumstellare.

La posizione della zona abitabile dipende sia dalla luminosità e dalla fase evolutiva della stella, sia dall’atmosfera del pianeta, che tramite l’albedo e l’effetto serra può espanderla o restringerla. Per esempio, una stella di sequenza principale come il Sole irradia energia in modo quasi costante per miliardi di anni, stabilizzando la zona abitabile dei suoi pianeti. Per contro, una stella gigante rossa, più grande e luminosa, sposta la zona abitabile verso distanze maggiori, rendendo inospitali pianeti prima temperati. Infine, una stella nana rossa, la cui luminosità è molto bassa, circoscrive la zona abitabile ad aree vicine, dove i pianeti possono subire il fenomeno di tidal locking, venendo così colpiti dalla radiazione solo in uno dei due emisferi.

Tuttavia, non basta che un pianeta si trovi all’interno della zona abitabile circumstellare: la sua orbita deve anche rimanere inalterata nel tempo per salvaguardare l’equilibrio climatico. Ampie variazioni di eccentricità dovute a perturbazioni gravitazionali da parte di pianeti vicini o stelle compagne possono generare gradienti termici tali da far evaporare o congelare temporaneamente l’acqua; un’inclinazione non fissa dell’asse di rotazione planetario può scatenare bruschi cambi stagionali; le risonanze orbitali, indotte dall’interazione tra un pianeta e le sue lune o altri pianeti limitrofi, possono mutare la distribuzione dei sostanze volatili in atmosfera. Ne consegue che la probabilità di sviluppare un ambiente idoneo alla comparsa della vita biologica è maggiore per sistemi planetari ordinati, vale a dire non soggetti a forti influenze gravitazionali e a catastrofi climatiche frequenti. Inoltre, la presenza di un’atmosfera mediamente densa garantisce valori di pressione e temperatura compatibili con la persistenza dell’acqua allo stato liquido e protegge la superficie dalla radiazione stellare ionizzante. Se un’atmosfera troppo tenue, come quella marziana, facilita la dispersione del calore e l’evaporazione dell’acqua, della quale oggi rimangono sul pianeta rosso soltanto tracce indirette in forma di alvei fluviali o depressioni oceaniche, un’atmosfera ricca di gas serra produce temperature proibitive, come su Venere, perennemente circondato da un’impenetrabile coltre di nubi e aerosol. La capacità di un pianeta di trattenere la sua atmosfera è legata alla gravità e alla temperatura superficiale, ma è altresì coadiuvata dall’esistenza di un campo magnetico, generato dalla dinamo planetaria. Il campo magnetico riveste infatti un ruolo centrale nel deviare le particelle cariche del vento stellare attraverso la creazione di uno scudo protettivo attorno al pianeta, la magnetosfera, che contribuisce a preservare condizioni termiche e chimiche necessarie alla sopravvivenza di molecole organiche.

Rappresentazione artistica della zona abitabile circumstellare. Se un pianeta è troppo vicino alla sua stella, sarà troppo caldo e l’acqua, se presente, evaporerà. Se un pianeta è troppo lontano, sarà troppo freddo e l’acqua, se presente, si congelerà. Le stelle hanno dimensioni, masse e temperature molto diverse tra loro. Le stelle più piccole, meno calde e con una massa inferiore a quella solare (nane di tipo M) hanno una zona abitabile più vicina alla stella rispetto al Sole (nana di tipo G); le stelle più grandi, più calde e con una massa superiore a quella solare (nane di tipo A) hanno una zona abitabile più lontana dalla stella. Credit: NASA/Kepler Mission/Dana Berry. Fonte: https://www.nasa.gov/image-article/habitable-zones-of-different-stars/

 

Nello specifico, alcune macromolecole sono fondamentali per la vita come la conosciamo: le proteine, che agiscono come enzimi e strutture portanti, e le basi azotate, i mattoni chimici degli acidi nucleici, che codificano e trasmettono l’informazione biologica. La formazione, l’assemblaggio e il funzionamento di queste catene polimeriche avvengono grazie alla disponibilità di un solvente liquido sulla superficie planetaria. Ad assicurare la continuità di tale meccanismo è l’attività geologica del pianeta che, attraverso il riciclo geochimico di carbonio, azoto, fosforo e altri nutrienti, impedisce l’esaurimento delle risorse chimiche costitutive delle molecole organiche. Fenomeni come la tettonica a zolle, il vulcanismo e lo scambio di calore tra il nucleo e il mantello del pianeta agiscono come regolatori dell’equilibrio climatico mediante cicli di lunga durata, favorendo l’evoluzione biologica su scale temporali di milioni o miliardi di anni. In particolare, il ciclo carbonato-silicato modula la concentrazione atmosferica di anidride carbonica affinché la temperatura superficiale rimanga entro i valori limite per la conservazione dell’acqua liquida. Esso è composto da quattro fasi: erosione (alterazione chimica delle rocce silicate da parte dell’acido carbonico H₂CO₃, che si forma a seguito della dissoluzione dell’anidride carbonica atmosferica in acqua piovana), sedimentazione (trasporto e deposito dei minerali carbonatici, come la calcite, in sedimenti nei bacini oceanici), subduzione (progressiva immersione della crosta oceanica e dei sedimenti carbonatici nel mantello durante il movimento delle placche tettoniche) e rilascio di nuova anidride carbonica nel corso delle eruzioni vulcaniche.

Che cosa si intende allora per ‘vita’, in base a quanto sappiamo oggi dei mondi alieni? Galletta commenta: “Se guardiamo agli esopianeti finora osservati, il concetto di vita va interpretato in modo più flessibile rispetto alla definizione tradizionale fondata sulla biologia terrestre. Si potrebbe descrivere un essere vivente come un sistema capace di mantenere un’organizzazione interna coerente, cioè tale da bloccarne il disfacimento spontaneo dovuto all’entropia, scambiare energia e materia con l’ambiente circostante, reagire a stimoli esterni e, idealmente, evolvere attraverso adattamenti o modificazioni nel tempo. I fattori di abitabilità sono i criteri a cui l’astrobiologia si affida per ipotizzare la vita anche in condizioni molto diverse da quelle terrestri. La ricerca di vita sugli esopianeti si concentra principalmente sulle cosiddette biofirme, tracce di elementi e composti chimici (per esempio ossigeno, metano, ozono, vapore acqueo e clorofilla) rilevabili unicamente tramite spettroscopia ad alta risoluzione e considerate possibili indicatori di attività biologica. Ora, Solaris, con il suo immenso oceano che gli conferisce un’apparenza quasi senziente, rappresenta un caso limite di mondo alieno. In termini astrobiologici, per avere qualcosa di anche solo vagamente simile, si dovrebbe immaginare un pianeta situato nella zona abitabile di una stella stabile, con una componente fluida dominante che può sostenere processi chimici complessi. In effetti, esopianeti con oceani di sostanze esotiche, atmosfere spesse e dinamiche, temperature e pressioni estreme sono già stati scoperti. Ciononostante, non esistono meccanismi chimico-fisici noti in grado di trasformare un intero pianeta in un organismo intelligente al punto da controllare la propria orbita o influenzare la psiche di chi vi si avvicina”.

In Solaris, Lem costruisce un mondo immaginario che inquieta e affascina allo stesso tempo, stimolando il lettore a interrogarsi sul significato di vita e di coscienza in contesti alieni. Il romanzo ci ricorda che l’ignoto non è vincolato alle distanze cosmiche: il vero mistero risiede nella nostra incapacità di comprenderlo pienamente. Ogni esopianeta osservato è un enigma simile a Solaris, una realtà sui generis da indagare senza preconcetti né certezze assolute. Il pianeta di Lem diventa così uno specchio della curiosità e dell’umiltà scientifica, una provocazione letteraria che anticipa le sfide reali dell’astrobiologia. In fondo, la ricerca della vita extraterrestre è insieme esplorazione dell’universo e introspezione dei confini della conoscenza umana, nell’inesauribile speranza di poterli spingere sempre un po’ più in là.

Nus, 3 novembre 2025 – articolo aggiornato al 4 novembre 2025

 

ASTROGLOSSARIO

zona abitabile circumstellare: regione attorno a una stella in cui la temperatura superficiale di un pianeta permette l’esistenza durevole di acqua allo stato liquido.
sostanze volatili: sostanza chimica che, a una determinata temperatura e pressione, tende facilmente a passare allo stato gassoso, evaporando o sublimando, e che può contribuire alla composizione atmosferica di un corpo celeste. Esempi di sostanze volatili sono l’acqua (H₂O), l’anidride carbonica (CO₂), il metano (CH₄), l’ammoniaca (NH₃), l’azoto molecolare (N₂), l’ossigeno molecolare (O₂), l’idrogeno molecolare (H₂) e l’anidride solforosa (SO₂).
tidal locking (blocco mareale): fenomeno gravitazionale che può verificarsi quando un pianeta orbita molto vicino alla sua stella. La forza di gravità della stella esercita un’attrazione differenziale sulle parti del pianeta, rallentandone gradualmente la rotazione fino a farla coincidere con il periodo orbitale (rotazione sincrona). In questo modo, un emisfero del pianeta è sempre rivolto alla stella, come nel caso della Luna e la Terra, ricevendo continuamente radiazione e diventando estremamente caldo, mentre l’emisfero opposto si raffredda fino talvolta a ghiacciarsi.
dinamo: movimento di materiali elettricamente conduttori presenti nel nucleo liquido di un pianeta.

Nota biografica

Giuseppe Galletta è un astrofisico e astrobiologo italiano, docente di Astronomia e Astrobiologia all’Università degli Studi di Padova. Laureato in Astronomia, ha dedicato la sua carriera alla ricerca e alla divulgazione scientifica, pubblicando oltre un centinaio di articoli su riviste internazionali. Ha scoperto negli anni ’70 una nuova categoria di galassie con struttura allungata e l’esistenza di galassie con anelli polari, e negli anni ’80 il fenomeno denominato “controrotazione” nelle galassie a disco. Nel 2004 ha diretto il progetto LISA (Laboratorio Italiano per Simulazioni Ambienti), con l’obiettivo di realizzare un simulatore dell’ambiente marziano per studiare la sopravvivenza di microrganismi sul pianeta rosso. È membro delle principali società internazionali di Astronomia e Astrobiologia e autore di cinque libri di divulgazione scientifica, tra cui Astrobiologia. La ricerca di vita nello spazio (Padova University Press, 2021) e Schizzi di Cosmologia (Padova University Press, 2025).

Riferimenti bibliografici

Stanisław Lem, Solaris, traduzione di Vera Verdiani, a cura di Francesco M. Cataluccio, Sellerio editore, 2013

Internet Speculative Fiction Database: Stanisław Lem, Solaris, tutte le edizioni

Sito personale di Giuseppe Galletta

Giuseppe Galletta, Astrobiologia. La ricerca di vita nello spazio, Padova University Press, 2021. Il libro è disponibile sul sito della casa editrice in forma digitale gratuita, e a pagamento nella versione cartacea.

Exoplanets, sezione del sito della NASA dedicata agli esopianeti

NASA Exoplanet Science Institute

Encyclopaedia of exoplanetary systems, sito europeo online dal mese di febbraio 1995

Open Exoplanet Catalogue, database decentralizzato aperto al contributo di chiunque

Luigi Marinelli, Fantascienza e filologia: Solaris in Italia, 26 marzo 2024

Immagine di copertina: Solaris Variant, Victo ngai, manifesto serigrafato, omaggio al film del regista russo Andréj Arsén’evič Tarkóvskij tratto dal romanzo di Stanisław Lem

Clicca qui per leggere le altre puntate della rubrica Astronomia da fantascienza, a cura di Camilla Pianta (che comunque trovate anche in “bottega”).

(*) Continuiamo a proporre la rubrica mensile “Astronomia da fantascienza” dell’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta (www.oavda.it › news › astronomia-da-fantascienz..) : ci accompagnerà verso il centenario della letteratura di fantascienza di aprile 2026. Era infatti l’ aprile 1926 quando uscì nelle edicole statunitensi il numero 1 di Amazing Stories, la prima rivista di fantascienza a definirsi tale. La rubrica è curata dalll’astrofisica e divulgatrice Camilla Pianta, in collaborazione con la ricercatrice Martina Giagio e con Andrea Bernagozzi (che più di qualche volta avete incontrato in “bottega”). Qui trovi l’intro che spiega il contesto.

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *