La finanza etica in Europa è solida
E ha un impatto positivo reale: lo dimostrano i dati
di Valentina Neri (*).
L’ottavo Rapporto sulla finanza etica in Europa confronta le banche etiche e quelle tradizionali in termini di solidità, redditività e impatto
La politica e la finanza vivono una fase di ripiegamento su sé stesse. Le istituzioni europee, che a lungo si sono presentate come pioniere nel campo della sostenibilità, hanno riorientato le forze verso la competitività e il riarmo. Banche e asset manager hanno assunto impegni roboanti (e puramente volontari) per il Pianeta, salvo poi tradurli solo sporadicamente in azioni concrete. E, al mutare dei consensi, ritrattare. In un contesto simile, c’è chi può pensare che la finanza etica sia marginale. Un esperimento meritorio, ma pur sempre un esperimento. Non è così. Lo dimostra l’ottava edizione del Rapporto sulla finanza etica in Europa, intitolata “Common Capital”. Uno studio che testimonia che le banche etiche sono un modello di successo, che coniuga solidità finanziaria, redditività e impatto sociale. Lo hanno presentato il 1° dicembre 2025 a Bruxelles Fondazione Finanza Etica, Fundación Finanzas Éticas e Febea (Federazione europea delle banche etiche e alternative).
Il confronto tra banche etiche e grandi banche tradizionali
Come gli scorsi anni, il Rapporto sulla finanza etica in Europa si apre con un’analisi comparativa tra banche etiche e banche significative (cioè quelle più grandi, sottoposte alla vigilanza diretta delle Banca centrale europea). Valuta 24 delle prime e 107 delle seconde sulla base del modello Camel, un acronimo che sta per adeguatezza del capitale, qualità degli attivi, management, profitti (earnings) e liquidità.
Ne emerge che nel 2023 le banche etiche europee hanno gestito complessivamente 79 miliardi di euro di attivi. A distinguerle dalle altre è una forte spinta verso l’erogazione di prestiti a famiglie, organizzazioni e imprese. La loro quota di credito sugli attivi è pari al 67,91%, superiore alle grandi banche europee (60,9%) e in linea con le banche retail. In alcuni casi, fino al 93% dei prestiti è destinato a microimprese, spesso tenute ai margini dal circuito bancario tradizionale.
Formalmente la concessione di prestiti è un’attività classificata come a rischio più alto rispetto, ad esempio, all’acquisto di titoli di Stato. Ma i dati dimostrano che la qualità del credito rimane elevata. Per le banche etiche il tasso di crediti deteriorati ammonta all’1,61%, contro l’1,89% delle grandi banche. Inoltre, la redditività degli attivi (cioè l’utile netto diviso per il totale degli asset) è più alta: 0,75% contro 0,64%.
Il sostegno delle banche etiche all’economia sociale
Più del 70% dei crediti delle banche etiche è indirizzato all’economia sociale, contro il 19% delle grandi banche. Nell’Unione europea questo comparto ha un peso specifico notevole. Conta 3,8 milioni di associazioni, 240mila cooperative e poco meno di 143mila fondazioni, per un totale che supera i 4,3 milioni di organizzazioni. Nei 19 Stati per cui è stato possibile ricostruire i dati, l’economia sociale supera i 912,9 miliardi di euro di fatturato nel 2021 (poco meno rispetto all’automotive) e dà lavoro a 11,5 milioni di persone. Un numero in crescita, al contrario di tanti settori industriali (tra cui, di nuovo, l’automotive).
Politicamente, le istituzioni europee hanno fatto uno sforzo nella direzione dell’economia sociale, con il Piano d’azione della Commissione nel 2021 e la Raccomandazione del Consiglio nel 2023. Da allora, gli Stati si sono mossi in ordine sparso. L’Italia è arrivata solo di recente, con la finanziaria 2026, a mettere nero su bianco un Piano nazionale dell’economia sociale con le indicazioni per far crescere il settore. Per dare il via al colossale piano di riarmo europeo, i tempi sono stati ben più rapidi. Ma nel frattempo l’economia sociale ha silenziosamente continuato a coprire i bisogni lasciati scoperti da Stato e mercato.
«L’economia sociale in Europa contribuisce sia alla crescita economica sia al progresso sociale, con minori livelli di disoccupazione, riduzione della povertà e miglioramento della qualità della vita, soprattutto per i gruppi più vulnerabili (imprese che lavorano con persone con disabilità, inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, integrazione dei migranti, promozione dell’occupazione femminile). Senza clamore, si è dimostrata un fattore di sviluppo economico, inclusione sociale e resilienza territoriale. Di conseguenza, anche un approccio orientato alla competitività non può ignorare l’importanza fondamentale della coesione sociale e degli attori che la difendono e la rafforzano», puntualizza Federica Ielasi, vicepresidente di Banca Etica.
L’impatto sociale e ambientale della finanza etica in Europa
Finanziare microimprese, famiglie, cooperative, associazioni significa avere un impatto positivo in termini ambientali, sociali ed economici (Esg). Un impatto che il Rapporto sulla finanza etica in Europa riesce a misurare, e comparare con quello delle banche significative, appoggiandosi alla metodologia Besgi (Banks’ environmental social governance and indirect impacts), sviluppata dai ricercatori dell’università di Firenze.
Sul piano ambientale, le banche etiche consumano meno della metà dell’energia per dipendente, utilizzano quasi il 90% di energia rinnovabile (contro il 65,4% delle banche significative) e registrano emissioni dirette quindici volte inferiori. Dal punto di vista sociale, si distinguono per un turnover leggermente inferiore, una maggiore presenza femminile nella forza lavoro e la valutazione Esg dei fornitori nel 100% dei casi. Nella governance le differenze sono più contenute, anche perché le normative impongono parametri comuni piuttosto stringenti. Le banche etiche si distinguono comunque per una maggiore rappresentanza femminile nei Cda e per la propensione ad anticipare gli obblighi normativi sulla rendicontazione dei rischi Esg.
Ma il divario più marcato sta negli impatti indiretti, cioè quelli generati dalle attività che le banche finanziano. Il 72% dei prestiti erogati dalle banche etiche si indirizza a economia circolare, gestione dei rifiuti, agricoltura biologica, rigenerazione urbana, terzo settore, welfare, social housing, microcredito e altri progetti che incidono positivamente sull’ambiente e sulla società. Per le banche significative, tale percentuale si ferma al 19%.
«La finanza non è neutra. Può essere usata per mobilitare risorse verso obiettivi di pace, sostenibilità e coesione, oppure per finanziare guerra, disuguaglianze e degrado ambientale», si legge nell’introduzione a cura di Teresa Masciopinto, presidente di Fondazione Finanza Etica. «I dati mostrano che la prima strada non è un’utopia: banche etiche ed economia sociale la percorrono già, producendo stabilità finanziaria, occupazione di qualità e impatti ambientali e sociali positivi».