Global Peace Index 2025: lo spettro della guerra totale …

… è sempre più vicino.

L’edizione 2025 del Global Peace Index dell’Institute for Economics & Peace (scaricabile qui) mostra un peggioramento complessivo della pace mondiale.

di Rita Cantalino (*)

Lo scorso anno scrivevamo di vivere in un tempo di guerra. E che non a caso, i principali posti di potere erano occupati da uomini forti. Il 2025 ci ha fornito la smentita di cui non avevamo bisogno.
A inizio marzo la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha presentato il piano Rearm Europe: l’intenzione, cioè, di aumentare significativamente i finanziamenti al settore militare affinché l’Europa potesse rispondere alle «minacce» cui è esposta «con la decisione, la rapidità e l’ambizione necessarie».
Da allora è stato un susseguirsi di dichiarazioni sull’importanza della crescita militare del Vecchio Continente, sul pericolo rappresentato da Vladimir Putin e dalle mire espansionistiche della Russia. Come in una brutta riedizione dei peggiori momenti del secolo passato, lo spettro della guerra ha ritrovato cittadinanza nella nostra quotidianità.
Il fantasma della distruzione appare dietro l’angolo.
Guerra mondiale per le proporzioni che potrebbero raggiungere i contrapposti schieramenti. Guerra totale per l’investimento che i nostri decisori politici sembrano intenzionati a destinarvi. Guerra globale perché, nel frattempo, conflitti grandi e piccoli continuano a crescere in ogni angolo del Pianeta.

I numeri del Global Peace Index 2025. Mai così male dalla Seconda guerra mondiale

Ci sono 59 conflitti statali attivi in tutto il mondo. Tre in più dell’anno scorso e di conseguenza, ancora una volta, il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale. Mentre crescono le tensioni geopolitiche e aumentano i conflitti, infatti sempre più Paesi aumentano il loro livello di militarizzazione, molte alleanze storiche si stanno rompendo e cresce l’incertezza economica globale. Nel corso del 2024 sono stati 17 i Paesi che hanno registrato più di mille morti.
L’edizione 2025 del Global Peace Index (GPI) dell’Institute for Economics & Peace (IEP) mostra un peggioramento complessivo della pace mondiale. L’indice classifica 163 Stati e territori indipendenti, il 99,7% della popolazione mondiale, e misura il loro livello di pace in base a livello di sicurezza delle società, entità di conflitti interni e internazionali e grado di militarizzazione.
Secondo l’aggiornamento dei dati di quest’anno, molti dei fattori principali che precedono i grandi conflitti sono più alti di quanto siano mai stati dalla Seconda guerra mondiale. E mai, negli ultimi 50 anni, la risoluzione positiva dei conflitti è stata a livelli così bassi. Negli anni Settanta il 49% delle guerre finiva con una vittoria di uno dei due contendenti: nel 2010 solo il 9%. Cinquant’anni fa il 23% dei conflitti si concludeva con un accordo di pace. Nel 2010 appena il 4%. A rendere più difficile la risoluzione dei conflitti, anche il fatto che sono sempre più internazionalizzati. 78 Paesi in questo momento sono impegnati in una guerra fuori dai propri confini. In generale, il calo della militarizzazione che durava da vent’anni si è arrestato: negli ultimi due anni è stato registrato un peggioramento di 106 Paesi nella classifica.

Chi fa la pace, chi fa la guerra

Il peggioramento dei livelli di pace registrato quest’anno è il tredicesimo degli ultimi 17 anni. Se 74 Paesi hanno migliorato le proprie performance, ben 87 invece le hanno peggiorate. L’Islanda si conferma la nazione più pacifica del mondo, raggiunta al vertice da Irlanda, Austria, Nuova Zelanda e Svizzera. Otto dei dieci Paesi più pacifici del mondo sono in Europa occidentale, anche se in generale il ruolo della regione è molto cambiato negli ultimi quattro anni. La regione meno pacifica del mondo resta invece quella di Medio Oriente e Nord Africa. In fondo alla classifica, per la prima volta nella storia, la Russia, seguita da Ucraina, Sudan, Repubblica Democratica del Congo e Yemen.L’unica regione che ha registrato un miglioramento (sette Paesi su undici) della pacificità interna rispetto all’anno scorso è l’America del Sud. Perù e Argentina sono gli Stati con i maggiori miglioramenti, legati ai cambi di governo rispettivamente del 2022 e 2023.

Gli indicatori nel dettaglio

Dei 23 indicatori misurati dal Global Peace Index nel 2025, otto sono migliorati, 13 peggiorati e due non hanno registrato variazione. Militarizzazione e conflitti, in particolare, sono molto peggiorati. Sale invece il livello di sicurezza e protezione. Gli ambiti in cui si è registrata la regressione più evidente sono conflitti esterni combattuti, morti per conflitti interni e spese militari in percentuale sul Pil.Significativo il miglioramento degli indicatori di percezione di criminalità e del tasso di omicidi (soprattutto in America centrale e settentrionale, regione con il tasso di omicidi più alto del mondo), in calo con una tendenza di lungo corso. Migliorato anche l’indicatore delle manifestazioni violente, anche se in 12 degli ultimi 17 anni è costantemente peggiorato.

I soldi della guerra e il Rearm Europe

Nel 2024 la violenza ha avuto un impatto sull’economia globale di 19,97mila miliardi di dollari: l’11,6% del Pil. Diviso per ogni abitante del Pianeta, fa circa 2,446 dollari a persona. Il 74% dei quali impiegato per spese militari (9mila miliardi di dollari nell’ultimo anno) e sicurezza interna.Se, scrivono gli autori del GPI, all’Europa serve una spesa militare adeguata alle attuali minacce, il vero problema del Vecchio Continente non sono i soldi. Il problema, spiegano, sono efficienza, integrazione e coesione degli sforzi militari. Gli Stati Ue della Nato sono infatti già adesso molto superiori per spesa militare alla Russia, ma la loro capacità combinata lo è di molto meno. Decidere di aumentare semplicemente la spesa militare non è quello che serve. Oltre a questo, molti Paesi europei stanno vivendo una forte polarizzazione, l’aumento della spesa militare indebolisce quella in settori chiave della coesione sociale come istruzione, sanità, sviluppo delle imprese.

Cosa sta cambiando a livello internazionale

Gli ultimi anni hanno registrato alcuni importanti cambiamenti a livello internazionale. La frammentazione geopolitica è molto aumentata. L’indice delle relazioni tra Stati confinanti è infatti peggiorato in 59 Paesi a partire dal 2008. Migliora solo in 19. In economia, commercio, diplomazia e cooperazione militare, a partire dalla crisi finanziaria del 2008, gli indicatori sono tutti scesi. Molte nazioni acquisiscono sempre più potere economico e questo espande la loro influenza internazionale. La quota del commercio globale sul Pil del mondo negli ultimi dieci anni si è attestata a circa il 60%, ma nel 2023 le pratiche commerciali restrittive sono quasi triplicate rispetto al 2019. Circa il 42% delle entrate pubbliche dei Paesi in via di sviluppo è destinato al debito. Il principale creditore è la Cina.Se la spesa per il peacebuilding e il mantenimento della pace di dieci anni fa era lo 0,83% del Pil, nel 2024 arrivava solo allo 0,52%. Al contrario, a partire dal 2022 ogni Stato dotato di un arsenale nucleare ha mantenuto o aumentato i livelli di quest’ultimo.

«La frammentazione del potere globale»

Le tensioni tra le grandi potenze stanno alimentando una corsa agli armamenti caratterizzata da tecnologie avanzate – dai droni dotati di intelligenza artificiale ai sistemi di controspazio. Ben 78 i Paesi impegnati in guerre al di fuori dei propri confini: i conflitti in cui truppe straniere combattono all’interno di un altro Stato hanno registrato un +175%, coinvolgendo 78 Paesi. 34 quelli che hanno un’influenza sostanziale in un altro Stato: negli anni Settanta erano sei.

Stati Uniti e Cina sono ormai quasi al limite della propria influenza: il mondo sta entrando in quella che gli autori del Global Peace Index hanno definito «frammentazione del potere globale». Con il debito della Cina al 300% del Pil e altri indicatori economici di una bolla degli asset, le condizioni economiche del Paese sono simili a quelle del Giappone degli anni Ottanta. Ne beneficeranno le economie medie in ascesa, che raccoglieranno sempre più potere dalla crisi in cui versano le potenze occidentali.

La volontà politica di costruire una Pace positiva

Come avviene un’escalation? Quali sono gli elementi che portano i conflitti violenti a intensificarsi? L’indice ne elenca nove. Tra questi ci sono il sostegno militare esterno, la logistica, l’esclusione etnica e la strumentalizzazione del conflitto. Tutti sono stati decisivi nelle escalation storiche e, analizzandoli adesso, mostrano il potenziale di peggioramento rapido dei conflitti in Sud Sudan, Etiopia/Eritrea, Repubblica Democratica del Congo e Siria.

Lo stato di guerra evocata o effettiva in cui stiamo vivendo, scrivono gli autori, può essere disinnescato soltanto con la Pace positiva. Con azioni e atteggiamenti, cioè, da parte delle istituzioni, di creazione e supporto delle società pacifiche. Questo vuol dire far crescere il Pil, abbassare i tassi di interesse, resilienza agli shock e in generale maggior benessere sociale. Fino al 2019 i livelli di pace positiva sono migliorati per dieci anni di seguito. Oggi, invece, sono in declino, anche nelle aree in cui era data per scontata, come l’Europa. Per invertire la tendenza servono investimenti adeguati ma, innanzitutto, volontà politica. Che però, guardandoci intorno, è difficile vedere. Le conseguenze possibili sono sotto gli occhi di tutti.

(*) Tratto da Valori.

 

 

alexik

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