Non esistono israeliani buoni

ne scrivono Gideon Levy, Marco Politi, Paola Caridi e Tomaso Montanari

Non esistono israeliani buoni – Gideon Levy

Israele è guidato da un governo crudele e da un Primo Ministro senza cuore, come non se ne sono mai visti prima. Le vite umane, che si tratti di abitanti di Gaza, ostaggi o soldati, non interessano a questo governo. Sta Massacrando gli abitanti di Gaza e abbandonando ostaggi e soldati con la stessa equanimità.

A opporsi c’è un piccolo movimento extraparlamentare, umano e coraggioso, che dà lo stesso valore a tutte le vite umane.

Tra questa manciata di persone e il governo malvagio si trova il campo di centro. La maggior parte di loro lotta contro la crescente perdita di Umanità e l’inganno dimostrato dal governo. Le persone in questo campo sono scioccate da ogni video, perdendo il sonno per la sorte degli ostaggi pelle e ossa e dei soldati morti. Ma quando sentono i resoconti di un orribile Massacro in un ospedale, sbadigliano, disinteressati.

Sono migliori del governo e dei suoi sostenitori. Sono umani e mostrano solidarietà, ma solo in modo selettivo. Non esiste una moralità a metà. Proprio come la moralità a due pesi e due misure non è moralità, così lo è la moralità a metà. È l’opposto della vera moralità. È così che sono le persone in questo campo. Si preoccupano per la vita di 20 ostaggi, ignorando il fatto che il loro Paese uccide in media 20 innocenti all’ora.

Per loro, l’Umanità si ferma ai confini della nazionalità. Non lasceranno nulla di intentato per aiutare un israeliano, ma distoglieranno lo sguardo con disinteresse per il caso di un palestinese il cui destino è spesso molto peggiore.

Sono infuriati per la freddezza di Benjamin Netanyahu, ma la loro non è meno evidente. Quando si tratta dei palestinesi, mostrano la stessa malvagità e freddezza.

È difficile comprendere questo fenomeno, che ha raggiunto il suo apice durante la guerra in corso. Come si può essere sconvolti alla vista dell’ostaggio affamato Evyatar David e scrollare le spalle o persino gioire per le uccisioni che avvengono nelle file per il cibo? Come si può essere sconvolti dall’omicidio della famiglia Bibas e non mostrare alcun interesse per i 1.000 neonati e i 19.000 bambini uccisi dall’IDF, o per i 40.000 orfani di Gaza?

Come si può perdere il sonno sui tunnel di Hamas e non mostrare alcun interesse per ciò che accade nei centri di detenzione di Sde Teiman o Megiddo, con nostra vergogna? Com’è possibile? Come si può pretendere che la Croce Rossa visiti gli ostaggi sapendo che Israele impedisce tali visite a migliaia di palestinesi rapiti?

È nella natura umana ed è comprensibile preoccuparsi prima di tutto per il proprio popolo. Ma mostrare totale indifferenza verso i membri dell’altra nazione, che vengono Massacrati a decine di migliaia, mentre il loro Paese viene distrutto davanti ai nostri occhi dalle nostre stesse mani, trasforma molte delle brave persone presenti alle manifestazioni di Viale Kaplan e Piazza degli Ostaggi in persone non umane.

Per loro, e alcuni di loro lo dicono apertamente, Israele deve fare tutto il possibile per liberare gli ostaggi, e poi potrà tornare alla guerra, al Genocidio e alla Pulizia Etnica. La cosa principale è che gli ostaggi vengano liberati. Questa non è moralità o umanità. Questo è abietto ultranazionalismo.

Considerare gli esseri umani: bambini, disabili, anziani, donne e altre persone indifese come polvere, come persone le cui uccisioni e carestie sono legittime, con proprietà prive di valore e dignità inesistente, equivale a essere come Netanyahu, Ben-Gvir e Smotrich.

Opponendosi al Male assoluto, bisogna sostenere l’Umanità totale, che è quasi inesistente in Israele. Il rifugio morale di appendere un nastro giallo alla portiera dell’auto e l’apparente espressione di preoccupazione per gli ostaggi non è un rifugio e non costituisce moralità. Persino un estremista ultranazionalista e vuoto come il giornalista Almog Boker, che sa che “non ci sono innocenti a Gaza”, vuole il rilascio degli ostaggi. Questo non lo rende meno ultranazionalista o meno vile, nemmeno per un istante.

La forza morale del movimento di protesta è solo parziale a causa della sua natura selettiva. Se fosse pienamente morale, farebbe della lotta contro il Genocidio, insieme alla campagna per il rilascio degli ostaggi, la sua preoccupazione principale. La sua lotta non ne risulterebbe sminuita; la sua validità morale ne risulterebbe solo rafforzata. Non si può sfuggire ai numeri: 20 ostaggi vivi e oltre 2 milioni di palestinesi la cui vita è un inferno. Il cuore non può fare a meno di essere con entrambi.

(da Haaretz, 31 ago 2025) 

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Due potenti e un genocidio – Paola Caridi, Tomaso Montanari

«Il Sommo Pontefice, Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario». L’articolo 1 della Legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano esprime in forma ufficiale ciò che resta del potere temporale dei papi. È l’ultima traccia di quella doppia natura del papato, autorità religiosa e morale da una parte, signoria mondana dall’altra. Questa doppia natura, ci si è sempre chiesti, è coerente col comandamento del Signore circa l’essere «nel mondo, ma non del mondo», o invece non lega i successori di Pietro alla logica dei principati e dei regni, quelli che il diavolo promette a Gesù nelle tentazioni, ritenendoli suoi? In altre parole, il papa-sovrano che accetta la logica del potere mondano è il san Pietro che ama il Signore, o quello che lo tradisce?

A questa discussione secolare, papa Francesco aveva dato una risposta scardinante: quella della profezia. Un papa non secondo il mondo, ma secondo il Vangelo: capace di spiazzare ogni suo interlocutore perché la profezia e la potestà papale non avevano forse mai coinciso, nella storia bimillenaria della Chiesa. Il suo parlare era sì, sì, no, no: così contravvenendo alla prima regola del potere terreno, quella di una sistematica menzogna. Leone XIV non è, con ogni evidenza, un profeta: con lui il papato torna nell’alveo ordinario dell’esercizio del potere. Fin qui, purtroppo, nulla di strano: ‘strano’ era Francesco.

Ma l’udienza concessa al capo dello Stato di Israele, Isaac Herzog, non è ordinaria nemmeno per la tradizione spregiudicata del potere papale: non ha la prudenza né la saggezza. La bandiera israeliana nel cortile di San Damaso, gli onori militari resi dalla Guardia svizzera, la stretta di mano davanti ai fotografi, lo scambio dei doni, il tenore del comunicato stampa: ognuna di queste cose è uno scandalo (cioè, letteralmente, una pietra d’inciampo: specie per i cristiani). Perché Herzog rappresenta uno stato genocida: e papa Francesco – in sintonia con la scienza giuridica e la coscienza del mondo – chiamava ‘genocidio’ quello in corso a Gaza. E le parole e le azioni personali del presidente sono tra le prove del genocidio. Fu Herzog, tra l’altro, a dire: «è un’intera nazione là fuori che è responsabile. Questa retorica sui civili non consapevoli, non coinvolti, non è assolutamente vera». È a questo che papa Leone ha dato legittimità morale: quella stretta di mano è una assoluzione in mondovisione.

Nella ‘giornata particolare’ in cui Hitler venne a Roma, nel 1938, Pio XI fece sbarrare financo i Musei Vaticani, e si ritirò a Castel Gandolfo. Il sovrano pontefice rendeva evidente il suo sdegno nei confronti di chi si apprestava a compiere il genocidio della Shoah. La scala era tale, che non si poteva tacere: il Vangelo prendeva il sopravvento sulla ragion di Stato, in una scheggia di profezia. E ora?

Alla fine dell’incontro, Herzog ha tra l’altro detto: «L’ispirazione e la leadership del Papa nella lotta contro l’odio e la violenza e nella promozione della pace in tutto il mondo sono apprezzate e fondamentali. Attendo con interesse di approfondire la nostra cooperazione per un futuro migliore all’insegna della giustizia e della compassione». Un abbraccio mortale, sul piano morale. Aver permesso al capo dello stato genocida di Israele di mentire così efferatamente, e di farlo sulla tomba di san Pietro, è una macchia, grave, che rimarrà sulla storia della Chiesa.

E il punto di vista del papa, affidato a un comunicato ufficiale della Sala stampa della Santa Sede, lascia interdetti: «Nel corso dei cordiali colloqui con il Santo Padre e in Segreteria di Stato, è stata affrontata la situazione politica e sociale del Medio Oriente, dove persistono numerosi conflitti, con particolare attenzione alla tragica situazione a Gaza. Si è auspicata una pronta ripresa dei negoziati affinché, con disponibilità e decisioni coraggiose, nonché con il sostegno della comunità internazionale, si possa ottenere la liberazione di tutti gli ostaggi, raggiungere con urgenza un cessate-il-fuoco permanente, facilitare l’ingresso sicuro degli aiuti umanitari nelle zone più colpite e garantire il pieno rispetto del diritto umanitario, come pure le legittime aspirazioni dei due popoli. Si è parlato di come garantire un futuro al popolo palestinese e della pace e stabilità della Regione, ribadendo da parte della Santa Sede la soluzione dei due Stati, come unica via d’uscita dalla guerra in corso. Non è mancato un riferimento a quanto accade in Cisgiordania e all’importante questione della Città di Gerusalemme. Nel prosieguo dei colloqui, si è convenuto sul valore storico dei rapporti tra la Santa Sede e Israele e sono state affrontate anche alcune questioni riguardanti i rapporti tra le Autorità statali e la Chiesa locale, con particolare attenzione all’importanza delle comunità cristiane e al loro impegno in loco e in tutto il Medio Oriente, a favore dello sviluppo umano e sociale, specialmente nei settori dell’istruzione, della promozione della coesione sociale e della stabilità della regione». Cordiali colloqui con il garante di un genocidio in corso? Rispetto del diritto umanitario, e non del diritto internazionale? Aiuti solo nelle zone «più colpite»? Israele che garantisce un futuro al popolo che sta massacrando, nel più terribile colonialismo, e in spregio alle sanzioni dell’Onu? Nessuna presa d’atto che i ‘due stati’ sono ormai impossibili per il furto di territori perpetrato dai coloni israeliani? E, soprattutto, come è possibile chiamare ‘guerra’ un genocidio? Questa non è diplomazia, questo è un tradimento morale di proporzioni enormi.

Gaza è più sola, la Santa Sede più debole e meno credibile. Solo Israele trae vantaggio da questa visita, che rimarrà come una pagina nera: come il Giovanni Paolo II ospite di Pinochet. E anche peggio, perché il genocidio di Gaza è un evento spartiacque nella storia umana, come si vedrà presto.

È mancata la prudenza, è mancata la semplicità («siate prudenti come serpenti, semplici come colombe», comanda il Signore ai suoi). È mancata la parresia ed è mancata la carità. Pochi giorni fa, suor Giovanna della Piccola Famiglia dell’Annunziata, fondata da Giuseppe Dossetti, si era detta profondamente addolorata nel «vedere una Chiesa quasi silente» su Gaza, e aveva chiesto ai religiosi e alle religiose di andare «in piazza San Pietro, con cartelli semplici, diretti, che chiedano al Papa di muoversi: di andare a Gaza; di condannare pubblicamente Israele; di lanciare appelli incessanti perché i Paesi occidentali si mobilitino per fermare il genocidio».

Domandiamoci ancora: il papa-sovrano che accetta la logica del potere mondano è il san Pietro che ama il Signore, o quello che lo tradisce? La risposta è arrivata: con papa Leone XIV, la Chiesa del potere torna ad essere «del mondo». Ed è nella Chiesa di suor Giovanna, la Chiesa dei senza potere, che, «nel mondo», rimane accesa la fiammella del Vangelo.

Singolare, peraltro, la parabola del presidente israeliano.

“Il percorso che lo ha portato dall’essere un pilastro del partito laburista centrista israeliano sino a diventare un apologeta di una guerra brutale che ha ucciso oltre 65.000 palestinesi e ha portato la Striscia a condizioni di fame sempre più gravi, è davvero sorprendente”, dice ad esempio con estrema durezza sul Guardian uno dei giornalisti che meglio conosce la regione, Peter Beaumont, forte di un’esperienza di decenni. La durezza di Beaumont su Isaac Herzog è amplificata anche dal fatto che il presidente israeliano ha in programma di visitare il Regno Unito. Un’altra tappa – oltre quella in Vaticano – inserita in una offensiva diplomatica che a qualcosa, per Tel Aviv, deve pur servire. Un’offensiva inusitata, in pieno genocidio.

A cosa serve il periplo occidentale di Herzog? A far probabilmente masticare e digerire, ai governanti occidentali che non hanno l’abilità politica di fermare Israele, l’ipotesi dell’espulsione dei palestinesi da Gaza.  E nel caso vaticano, a far digerire l’espulsione della comunità cristiana da Gaza, nonostante la presa di posizione comune – e contraria formalmente all’espulsione – del patriarca latino Pierluigi Pizzaballa e del patriarca greco-ortodosso Teofilos. I rapporti tra Vaticano e Israele non mai stati semplici, da sempre, ma ora c’è un genocidio. E la Santa Sede non può continuare ad agire come prima, quando le frizioni e le pressioni avevano come campo d’azione le questioni fiscali e dell’educazione. Ora c’è un genocidio e il tentativo di portare a compimento la Grande Israele. C’è la piccola comunità palestinese di fede cristiana che non vuole andarsene dalla parrocchia di Gaza, e c’è la Collina del Papa. La Collina del Papa, di cui nessuno parla, e che è invece l’ultimo ostacolo al compimento del distacco forzato di Gerusalemme dalla Cisgiordania, dopo l’ultima ruberia: quella attuata dal ministro Bezalel Smotrich con la colonia da costruire in zona E1, staccando cioè Ramallah da Betlemme. La Collina del Papa, donata da re Hussein di Giordania a papa Paolo VI, è l’ultimo lembo rimasto a impedire la conquista definitiva da parte di Israele. Cosa succederà ora? Verrà ceduta?

L’ipotesi dell’espulsione dei palestinesi cristiani da Gaza (crimine a sua volta) che serpeggia con sempre maggior forza dietro le quinte, e che troverebbe in Herzog l’unico esponente israeliano con qualche chance dal punto di vista diplomatico. Benjamin Netanyahu ha un mandato di cattura emesso dal più alto tribunale internazionale che si occupa dei crimini commessi da individui, la Corte Penale Internazionale. Su Herzog non pende un mandato di cattura, almeno per il momento, ed è dunque colui che può più impegnarsi in un’offensiva diplomatica che la prossima settimana lo porterà nel Regno Unito. Questo non significa, però, che Herzog possa chiamarsi fuori dal genocidio che Israele sta compiendo sui palestinesi. È il presidente, la più alta carica dello stato. Appoggia le decisioni del governo, come ha confermato nel suo discorso più recente.

“Non c’è dubbio che in questa campagna militare siano state prese decisioni coraggiose e importanti in materia di sicurezza dalla leadership politica, che detiene l’autorità e le cui decisioni vengono attuate dal livello esecutivo”,  ha detto, pochi giorni fa a Gerusalemme, alla cerimonia per lo Israel Defence Prize. Un colpo al cerchio e un colpo alla botte, a dire il vero. È l’esecutivo che decide la campagna militare. E un presidente sta a guardare?

È in parte il gioco che ha fatto Herzog, figlio dell’aristocrazia sionista che ha fondato lo stato di Israele. Presidente figlio di presidente, una vita tutta dentro il partito laburista, almeno sino alla consunzione di un partito su cui si era retta la storia israeliana. Herzog è questo, cioè quello che si legge in tutte le biografie. È anche, però, colui che è stato eletto a stragrande maggioranza, alla prima votazione, con 87 voti sui 120 membri della Knesset, in un momento di crisi estrema di Israele. Era l’inizio di giugno del  2021, e Netanyahu aveva perso per pochissimo le elezioni. Ed è vulgata comune che Herzog – proprio Herzog, il laburista soft e gentile, è stato eletto, con la forza dei numeri e dell’aritmetica, con il fondamentale contributo dei voti del Likud di Netanyahu.

La politica interna israeliana è complicata. E così Herzog deve a Netanyahu la sua elezione, ed è apparso tutto chiaro nei primi nove mesi del 2023, in cui il sesto governo guidato da Bibi Netanyahu, con il fondamentale appoggio dell’estrema destra, ha tentato il golpe giudiziario.  Herzog non ha fermato Netanyahu, nonostante alcune dichiarazioni contro la ‘riforma’ (il coup) giudiziaria che avrebbe distrutto l’architettura sionista di Israele. E dopo il 7 ottobre, ha sostenuto la linea Netanyahu (se linea c’è stata), andando anche oltre.

Quella famigerata e oscena firma, con un pennarello, delle bombe che sarebbero state sganciate su Gaza dicono due cose di Herzog. L’assoluta imperdonabile distanza tra un gesto (e tutti ricordiamo il sorriso sul suo volto mentre firmava) e l’effetto devastante, criminale delle bombe sui palestinesi a Gaza. E l’adesione totale a ciò che in Israele la maggioranza pensa, non solo dal 7 ottobre. Che i palestinesi siano tutti responsabili di tutto: un corpo unico che è responsabile di non essersi arreso, soprattutto. Di non aver lasciato campo libero alla “affermazione” dello stato sionista sulla terra di Palestina. Solo così si può interpretare l’altro gesto, l’altra frase imperdonabile e oscena. Tanto imperdonabile da essere andata a finire nel dossier che il Sudafrica ha presentato contro Israele alla Corte Internazionale di Giustizia nel dicembre 2023, accusandolo di rischio genocidiario.

È “l’intera nazione palestinese a essere responsabile”, aveva appunto detto Herzog.  Colpa collettiva, punizione collettiva. E neanche la retromarcia che fece Herzog gli toglie la responsabilità di aver sempre appoggiato il governo israeliano, non solo a Gaza, ma anche sulla Cisgiordania. Dicendo, in sostanza, ciò che tutti sapevamo, sulla posizione laburista, la posizione di un partito che, al governo sino al 1977, è stato il primo a dare il via libera alle colonie illegali israeliane in Cisgiordania. Ora, dopo tanti decenni di costruzioni, occupazione, apartheid, distruzione del paesaggio palestinese della Cisgiordania, Herzog dice anche che lo smantellamento delle colonie illegali e il ritiro dei 700mila israeliani che ci vivono non è realistico. Dunque? Realistica l’annessione della Cisgiordania a Israele? Realistico il voto della Knesset contro qualsiasi ipotesi di Stato palestinese?

Questo è il protagonista dell’offensiva diplomatica israeliana, il presidente Isaac Herzog. Colui a cui papa Leone ha stretto la mano e accolto con tutti (tutti) gli onori possibili.

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Bergoglio aveva visto lungo su Israele: ora l’associazionismo ebraico deve prendere posizione – Marco Politi

Papa Bergoglio ha colto da subito la prospettiva orrenda su cui si è incamminata l’attuale politica di Israele

Dunque papa Bergoglio non era un improvvisatore bizzoso, incline alle gaffe, quando toccava il tema delle crisi internazionali. Dio non paga il sabato, ma il lunedì – dice un proverbio. E con il passare del tempo appare chiaro che il pontefice argentino aveva un notevole intuito nelle questioni geopolitiche.

Molto rapidamente papa Francesco ha capito il buco nero in cui stava scivolando l’Israele di Benjamin Netanyahu. E’ il novembre 2023, sei settimane dopo l’attacco barbaro di Hamas ai villaggi israeliani. Il pontefice riceve in Vaticano un gruppo israeliano di parenti di ostaggi di Hamas e un gruppo di parenti di palestinesi imprigionati nelle carceri israeliane.

Dopo la strage del 7 ottobre, che ha fatto 1200 morti israeliani, sono scattati i bombardamenti massicci sulla Striscia di Gaza ordinati dal governo d’Israele. “Questa non è guerra, è terrorismo”, commenta Francesco, ricordando che entrambi i popoli hanno il diritto di vivere in pace. In ambienti ebraici si accusa il pontefice di gelida equidistanza. Non è così, è un’analisi lucida. Più prosegue l’offensiva israeliana e più si manifesta come un indistinto massacro di civili.

Alla vigilia dello scorso Natale il pontefice argentino, quando ancora altri capi di stato lamentano genericamente la tragedia della Striscia, Francesco denuncia la “tanta crudeltà… i bambini mitragliati… i bombardamenti di scuole e ospedali”. Contemporaneamente, in un libro pubblicato per il Giubileo, Francesco lancia un allarme: “A detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio. Bisognerebbe indagare con attenzione per determinare se s’inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionali”. Lo svolgersi degli eventi dopo la sua morte gli darà ragione.

Inutilmente il premier Netanyahu gli fa lo sgarbo di non partecipare ai suoi funerali. Papa Bergoglio ha colto da subito la prospettiva orrenda su cui si è incamminata l’attuale politica di Israele. Ha poco senso dibattere se tecnicamente valga la pena di usare la parola genocidio (lo scrittore Grossman ne è dolorosamente convinto, Liliana Segre preferisce parlare di crimini di guerra e contro l’umanità). Ciò che emerge è un gusto spietato della strage e un sadismo apparso evidente in quegli esponenti di governo israeliani che proclamavano soddisfatti dinanzi al mondo che a Gaza non entrava neanche un sacco di farina, nessun medicinale, nessun carburante, nessuna energia.

Mentre nel frattempo continua in Cisgiordania la violenza omicida contro i “nuovi negri” del XXI secolo; i palestinesi e i beduini assassinati dai coloni israeliani – con l’esercito che sta a guardare – e a cui si bruciano case e armenti e coltivazioni al grido di “andatevene da questa terra”. Nei giorni scorsi l’Avvenire ha ricordato la vicenda di Odeh Hadalin, collaboratore alla realizzazione del film No Other Land, ucciso da un colono israeliano poi rapidamente scarcerato perché non si sarebbe provata la sua “volontà di uccidere”. Un video mostra però chiaramente il colono che punta la pistola al petto di Odeh. Intanto l’assassino è libero e il corpo del palestinese è stato sequestrato dalle autorità israeliane. D’altronde la stragrande maggioranza delle indagini ufficiali su crimini di guerra si è sempre conclusa con un nulla di fatto.

Lo guardo profetico di Francesco è stato inverato dal suo successore Leone XIV, che dopo l’attacco alla parrocchia cattolica di Gaza ha denunciato la “barbarie” della guerra in atto e ha ricordato al governo di Tel Aviv il divieto internazionale di “punizione collettiva, uso indiscriminato della forza e spostamento forzato della popolazione”. Proprio quello che si accinge a fare la leadership israeliana con l’occupazione totale di Gaza City e la cacciata dal luogo di centinaia di migliaia di gazawi, auspicando che alla fine un milione abbandoni la sua terra. “Fermatevi!” è stato il titolo a tutta pagina dell’Osservatore Romano a commento della decisione di Netanyahu.

La Santa Sede conserva memoria di tutto. Registra che il premier israeliano ha dichiarato che Gaza non verrà in futuro amministrata dall’Autorità palestinese ma da non meglio precisate entità arabe. La Santa Sede sa che il governo israeliano ha rotto i patti, concordati a inizio anno con il presidente americano Biden e il Qatar per una fine del conflitto. Sa che l’attuale premier nel corso degli anni ha rotto gli accordi di Oslo per la nascita di uno stato palestinese. Infine la Santa Sede ha preso atto che il parlamento israeliano ha espresso con 71 sì e 13 no la volontà di annettere la Cisgiordania, cancellando dalla faccia della terra i palestinesi.

Dinanzi all’abisso, alla “carneficina” come l’ha definita il ministro degli Esteri Tajani, anche l’associazionismo ebraico è chiamato a prendere posizione. A Pasqua la presidenza dell’Unione comunità ebraiche italiane ha inviato alle Chiese cristiane un intenso messaggio, sottolineando il dovere di “essere sempre capaci di guardare all’altro come persona, con la dignità che merita ogni essere umano”. L’etica della responsabilità impone ora la domanda: l’associazionismo ebraico è pronto a dissociarsi dalla linea di Netanyahu e a chiedere che oggi – non in un fumoso futuro – accanto al focolare ebraico (Israele) nasca un focolare palestinese secondo le parole del presidente Mattarella?

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redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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