Palestina: le università non possono tacere
intervista di Ignazio Sanna a Michele Saba, direttore del Dipartimento di Fisica dell’Università di Cagliari.
Nel periodo storico più buio negli ultimi cento anni, paragonabile a quello che portò alla Seconda Guerra Mondiale, caratterizzato dal moltiplicarsi dei conflitti nel mondo, la società civile tenta in qualche modo di supplire alle gravi omissioni (quando non vere e proprie complicità) dei governi occidentali. Il caso più eclatante, e più coperto mediaticamente, è quello del genocidio in corso in Palestina, che ancora in tanti fingono di non vedere. Encomiabile e generoso quindi l’impegno a iniziativa internazionale della Global Sumud Flotilla, non a caso denigrata dalle destre italiane, assalita dalla Marina Militare israeliana in acque internazionali, in aperta violazione del diritto internazionale, con conseguente rapimento (ovviamente illegale) di cittadini di varie nazionalità (italiani compresi) da parte del governo di Netanyahu. In Italia, oltre a scioperi e manifestazioni che hanno visto una larga partecipazione dei lavoratori e di tanti cittadini inorriditi dai continui eccidi che nessuno sembra voler fermare davvero, si registrano anche prese di posizione ufficiali da parte di alcune istituzioni universitarie. Tra queste segnaliamo la mozione approvata nei giorni scorsi all’unanimità dal Dipartimento di Fisica dell’Università di Cagliari e la successiva Dichiarazione del Senato Accademico dello stesso ateneo (https://magazine.unica.it/wp-content/uploads/2025/10/Senato-Appello-questione-Palestina-documento-liquidato-dal-SA_v3.pdf), ricordando che già in precedenza la Conferenza dei Rettori (CRUI) si era espressa sul ‘conflitto in Medio Oriente’ (https://www.crui.it/archivio-notizie/cessate-il-fuoco.html).
Abbiamo rivolto qualche domanda in merito al Direttore del Dipartimento di Fisica, professor Michele Saba.
- D Quali sono i punti salienti della mozione approvata dal Dipartimento di Fisica dell’Università di Cagliari?
R La dichiarazione del Dipartimento di Fisica prende atto del fatto che autorevoli organismi internazionali hanno stabilito che le operazioni militari in Palestina negano i diritti umani inalienabili sanciti dalla nostra costituzione e dai trattati internazionali. Queste operazioni militari ci appaiono quindi incompatibili con i valori fondanti dell’Università e sentiamo il dovere civico di segnalarlo esplicitamente alle istituzioni accademiche israeliane, che sono pienamente integrate nella nostra comunità scientifica.
Il punto saliente è quindi che ci impegniamo a non intraprendere collaborazioni istituzionali come forma di pressione perché siano interrotte le violazioni dei diritti umani.
- D Ci sono differenze rispetto al documento approvato dal Senato Accademico?
R Nella sostanza e nello spirito, le due dichiarazioni sono molto simili. La dichiarazione approvata dal Senato Accademico prova a rappresentare le sensibilità dell’intera nostra comunità accademica, che consta di oltre 25000 studentesse e studenti, circa 1000 dipendenti tecnico-amministrativi-bibliotecari ed altrettanti dipendenti accademici di ambiti molto diversi tra loro. Quindi declina in maniera meno netta l’interruzione delle collaborazioni, lasciando la porta aperta a situazioni particolari. È un bel segnale ideale, perché enfatizza la libertà di ricerca e l’assunzione di responsabilità dei singoli Dipartimenti e dei singoli docenti nell’attivare le variegate forme di collaborazione possibili, che non si limitano ai progetti internazionali a firma del Magnifico Rettore, ma includono la collaborazione all’interno di società internazionali, le conferenze, le visite accademiche e le collaborazioni informali. Insomma, il Senato Accademico non viola la libertà di ricerca e non impone nessuna procedura di blocco, ma impegna tutti noi ad una assunzione di responsabilità.
L’Ateneo inoltre enfatizza la necessità delle azioni positive a sostegno della comunità accademica Palestinese ed il rafforzamento dei corridoi umanitari, a cui stiamo dando un contributo fattivo predisponendo borse di ricerca ed organizzando l’accoglienza.
- D Quanto è importante e perché che le università si schierino a sostegno della legalità e dei diritti dell’uomo violati da paesi come Israele?
R È importante quanto lo è per ciascun cittadino. Su questi temi etici, le competenze accademiche, specialmente le mie nel campo della fisica, non mi pare giustifichino un ruolo privilegiato di indirizzo dell’opinione pubblica.
Quando il Governo ha assunto la decisione di interrompere le collaborazioni scientifiche con le istituzioni Russe a causa dell’invasione dell’Ucraina, tutti gli Atenei si sono adeguati. In questo caso, ci è sembrato opportuno prendere le distanze dalle violazioni dei diritti umani, anche in virtù del fatto che ci sentiamo parte di una stessa comunità accademica con i nostri colleghi Israeliani.
Una questione che invece riguarda pienamente le attività universitarie è l’utilizzo duale dei risultati della ricerca. Le norme impongono una valutazione attenta da parte degli Atenei che gli utilizzi dei risultati della ricerca non contrastino gli interessi ed i valori fondanti della Repubblica Italiana. Le ricerche in ambito STEM (Science Technology Engineering and Math) in particolare contribuiscono direttamente al progresso tecnologico e le nuove tecnologie sono sempre passibili di essere utilizzate come strumento di supremazia geopolitica, se non direttamente per lo sviluppo di armamenti (si pensi all’utilizzo dei droni, dell’intelligenza artificiale, dei satelliti). Impedire che la propria ricerca contribuisca alla violazione dei diritti umani è quindi un compito che coinvolge gli Atenei.
- D Che spiegazione possiamo dare per la scelta di alcuni governi, tra cui quello italiano, di non interrompere la fornitura di armi a uno Stato che continua a compiere massacri indiscriminati in spregio alle risoluzioni dell’ONU e alle decisioni della Corte Penale Internazionale?
R Le Università non hanno il compito di elaborare la politica estera, che è invece compito del Governo, che a sua volta ne risponde di fronte all’intera popolazione.
La trasversalità dell’adesione all’appello testimonia che non si tratta di valutazioni di politica interna, nè di un attacco diretto all’azione del Governo. D’altronde, ma questa è solo una mia speculazione personale, le valutazioni sono complicate dal fatto che un conto è interrompere le collaborazioni con Russia e Bielorussia, ben più complicato è interromperle con Israele e magari anche con gli Stati Uniti d’America che supportano direttamente le operazioni belliche.
Per quanto riguarda il rapporto con le organizzazioni internazionali osservo, sempre a titolo personale, che nell’ultimo decennio si sono moltiplicati i tentativi di sminuirne pubblicamente il ruolo, boicottare l’esecuzione delle decisioni e perfino chiamarsi fuori dall’organizzazione stessa. Spesso a delegittimare sono proprio rappresentanti dei Paesi che hanno contribuito a creare le istituzioni internazionali dopo la Seconda guerra mondiale. Pare insomma che la lezione della Seconda guerra mondiale non sia più percepita come attuale e siamo nuovamente disposti a correre il rischio di far esplodere le tensioni ed i conflitti internazionali, rinunciando alle istituzioni internazionali che li potrebbero prevenire.
- D In Italia non c’è la guerra alle università dichiarata da Trump e dal suo vice Vance, ma già da diversi anni si assiste a tagli significativi sui finanziamenti agli atenei pubblici da parte dei vari governi succedutisi nel tempo. Vede un nesso tra queste politiche di ridimensionamento delle principali istituzioni culturali e il crescente contrasto a qualunque forma di espressione del dissenso?
R L’erosione della fiducia nelle istituzioni, sia in quelle politiche, sia in quelle accademiche, accomuna molte democrazie moderne attraversate da spinte populiste e nazionaliste. In questo clima, le istituzioni rischiano di trasformarsi in meri strumenti per l’affermazione del potere politico, che le piega ai propri interessi di creazione e mantenimento del consenso e le svuota della loro efficacia. Il nostro ruolo all’Università è di contrastare questa deriva, che di certo non può essere semplicisticamente attribuita ad una sola parte politica, e dimostrare pubblicamente l’importanza della didattica e della ricerca di alto livello nella crescita dell’intera società, praticando al nostro interno la meritocrazia e coltivando l’ambizione all’eccellenza.
Le immagini, scelte dalla redazione, rimandano al sorriso di Hind Rajab. Era una bambina palestinese di 5 anni e sognava di andare all’università. E’ morta sotto il tiro dei soldati israeliani a Gaza, mentre al telefono chiedeva aiuto alla Mezzaluna Rossa. La sua storia è stata ricostruita dalla regista Kaouther Ben Hania in «La voce di Hind Rajab», premiato al festival di Venezia e attualmente in molte sale italiane.