«Pluribus»: la dittatura della gentilezza
di Clelia Farris
Non siamo soli nell’universo. Qualcuno ci invia un segnale da una costellazione lontana anni luce dalla Terra.
Inizia così la serie di fantascienza Pluribus. Come al solito, però, gli alieni ci vogliono invadere e ci riescono perché sono piccoli, molto piccoli. Devono aver studiato la strategia del mago Merlino nel duello contro Maga Magò, perché questi extraterrestri hanno le dimensioni di un virus e si propagano alla velocità di un virus, prendendo possesso degli esseri umani.
Ma qualcuno immune ai virus si trova sempre. Tredici persone, in tutto il mondo, non sono state contagiate. Persone molto distanti fra loro per lingua e cultura. Uno di loro, Sidore Melis, vive addirittura in Sardegna, ha ottantanove anni e faceva il pescatore. Altri vivono in Perù, in India, in Africa. Ma poiché la storia l’ha scritta un americano, seguiamo le vicende dell’unica americana rimasta indenne, Carol, che faceva la scrittrice di best-seller romantici e che ha un carattere irascibile.
Talmente iraconda da maltrattare i poveri alieni che, invece, vogliono solo il suo bene e tentano di prendersi cura di lei. Le portano da mangiare, si preoccupano se non beve abbastanza acqua, esaudiscono ogni suo desiderio, perfino i più assurdi. Quando Carol, ironicamente, chiede loro una granata, gli alieni gliela forniscono, pronta all’innesco.
Il richiamo a L’invasione degli ultracorpi, il romanzo del 1954 di Jack Finney, è fin troppo palese. Ma la storia attinge anche a L’ospite di Stephenie Meyer, del 2008, e a tutti i racconti e i film che parlano di “possessione aliena”.
La particolarità degli extraterrestri di Pluribus consiste in una solida gentilezza nei confronti di quegli esseri umani che sono rimasti esclusi dalla splendida esperienza di essere come loro. E come sono loro? Sono empatici. Conoscono le esperienze e hanno le cognizioni di qualunque altro essere umano, tanto che una ragazzina può pilotare un jet e un bambino può lavorare in un ospedale. Si nutrono solo di vegetali, perché gli è impossibile uccidere una creatura vivente. Da che hanno preso possesso della Terra, gli omicidi, le aggressioni, le violenze sono scomparse. Sono un unico organismo, suddiviso nei vari corpi umani, dunque far del male a uno equivale a far del male a tutti.
Tutto bene, quindi?
Eh no. Carol non si fa ammansire da questi argomenti. Dov’è il libero arbitrio? Dov’è la libertà umana di sbagliare? Dov’è la scelta consapevole? Migliaia di anni per raggiungere una coscienza individuale gettati nel cesso.
Carol non smette di ritenerli alieni invasori, ma scopre ben presto le difficoltà di affrontare chi pratica la non violenza. La collettività extraterrestre è talmente sensibile che, se lei inveisce contro uno di loro, questi ha un collasso, e tutti, in tutto il mondo, hanno un collasso, vecchi, giovani e bambini. Come ogni pessimista che si rispetti, Carol è ostaggio del proprio senso di colpa; non sopporta di far del male a tanta gente innocente.
Gli alieni somigliano molto a una mamma dispotica e possessiva, che si fa venire un malore ogni volta che il figlio o la figlia non obbediscono alla sua volontà. Una strategia più forte di qualunque aggressione fisica. Soggioga senza darlo a vedere.
Qui la storia si rivela più sottile del totalitarismo raccontato, per esempio, da Orwell in 1984. Si avvicina invece alla dittatura della gentilezza de Il Mondo Nuovo di Huxley, “l’arido libro geniale” secondo la definizione di Primo Levi, che anticipa la finta razionalità con cui ci viene presentata la vita odierna. Esiste un solo tipo di economia possibile, esiste un solo tipo di società possibile, esiste un solo modo di interagire con l’ambiente. Non ci sono alternative, come disse una certa signora inglese, negli anni Ottanta.
E non solo dobbiamo essere proni a questo sistema, ma dobbiamo esserlo col sorriso. Nel Mondo Nuovo ognuno è felice di essere ciò che è, e non desidera essere qualcos’altro. Una lieta concordia, ottenuta anche grazie all’uso di droghe statali, è alla base dell’armonia sociale, così come oggi la cordialità pare essere diventata un obbligo. In passato faceva parte della normale educazione fra estranei, ma ora è necessario essere friendly, altrimenti si viene esclusi dal consesso civile. A questo proposito Pluribus fa sua la visione sociale di «Caduta libera», una delle puntate meglio riuscite di Black Mirror.
Gli extraterrestri di Pluribus sono sempre gentili con Carol, la derelitta Carol che ha avuto la sventura di essere separata da loro; sono capaci di collaborare con un’armonia da api nell’alveare; sono sempre lieti di aiutarla. I sentimenti negativi sono stati espulsi da questo “nuovo mondo”, non perché relegati nel bosco dell’inconscio, ma perché la mentalità aliena non li conosce. Forse questi alieni sono angeli venuti a salvarci. Alcune delle altre persone immuni dal contagio la pensano così. Perfino Carol si fa prendere dal dubbio.
Un mondo senza guerre, senza omicidi, senza aggressioni. Immagino anche che non esistano più le fabbriche che inquinano, la speculazione finanziaria, lo sfruttamento degli operai. Non può più esserci il desiderio del singolo o di un piccolo gruppo di arricchirsi, perché ognuno è tutti.
Eppure resta la sensazione che qualcosa sia sbagliato. Nessuno ha più un’idea differente da quella degli altri. In un certo senso l’altro, il diverso da me, non esiste più. Qualunque tipo di conflitto, anche solo di opinione, è annullato dalla concordanza universale dell’organismo alieno. L’omologazione totale ha portato una disumana felicità.
Non so come si evolverà la serie. Il rischio Lost è dietro l’angolo, ovvero, parti bene, avvinci il pubblico, e poi a metà strada ti perdi e metti insieme in fretta e furia un finale abborracciato, perché gli ascolti stanno diminuendo e il pubblico è stanco. Tuttavia al momento Pluribus mette in piazza ciò che siamo, ciò che rischiamo di diventare e una domanda essenziale: che cosa vogliamo diventare?
In quanto sarda, sarei curiosa di conoscere l’opinione di Sidore Melis, ma temo che la sceneggiatura non preveda l’arrivo di Carol in Sardegna.


«Come al solito, però, gli alieni ci vogliono invadere». Ehm, no. Intanto, non c’è proprio nessun alieno o extraterrestre che invade la terra. Quello che arriva dallo spazio non è neanche un vero e proprio virus. «È una sorta di collante» dicono nella serie; una sorta di upgrade della specie umana per farla diventare una mente collettiva.
L’idea stessa di “invasione” come è evidente è del tutto fuori luogo. Tutto quello che fanno “loro” è improntato all’idea assoluta di non nuocere. Al punto che non solo non sono più carnivori, ma non “uccidono” nemmeno le piante, con rischio di morire di fame.
Il rischio “Lost” non è dietro l’angolo perché questa è una serie per un canale streaming, non è girata di settimana in settimana e quando arriva sullo schermo è già tutta prodotta per intero. Poi un finale si può sempre sbagliare, per carità, ma Vince Gilligan non è JJ Abrams.