Referendum e invasioni di campo

di Franco Astengo

La migliore spinta per la campagna elettorale del “NO” alla “deforma” (copyright del compianto Felice Besostri) è arrivata dalla replica della signora presidente del Consiglio verso la sentenza della Corte dei Conti riguardante il ponte sullo stretto di Messina.

Replica che è stata impostata sul concetto di “invasione di campo” da parte della magistratura (contabile in questo caso) rispetto l’attività del governo considerato il solo soggetto depositario del potere del popolo e di conseguenza sovraordinato legittimamente in una visione, ci sia permesso di scriverlo, di chiara propensione autocratica.

Al momento della scelta referendaria, verso la quale va indicato subito un secco “NO”, ci troveremo di fronte non tanto e non solo il tema della separazione delle carriere dei magistrati e quello della composizione del CSM (con il grande pericolo del sorteggio, indice di vero e proprio disprezzo per il dibattito politico e la sua più alta forma di esplicitazione rappresentata dal voto libero e personale).

In gioco ci sarà la forma concreto dello stato di diritto: un tema per certi versi ancora superiore di importanza rispetto alla difesa della Costituzione repubblicana.

Il principio della divisione del potere legislativo, esecutivo e giudiziario, oltreché il bilanciamento tra essi, costituiscono elementi cruciali dello stato di diritto. Tali principi sono sanciti dalla maggior parte delle costituzioni moderne. Mentre i dettati costituzionali si limitano ad enunciare tali principi, sono le norme di attuazione che forniscono la disciplina che regola sostanzialmente i rapporti tra i diversi poteri.

Recenti sviluppi indicano un avvicinamento tra i poteri legislativo ed esecutivo, ed una sorta di “isolamento” del giudiziario rispetto ai due precedenti. Il ruolo dei parlamenti è sempre più ridotto, mentre i governi finiscono sempre di più per identificarsi col legislatore diventando così i soggetti sui quali si accentra la crisi delle democrazie liberali.

I parlamenti da legislatori divengono così meri luoghi di dibattito e scambio di idee tra i vari gruppi. Detto ciò, il governo, già detentore dell’esecutivo, diviene attore principale nel processo legislativo. Le iniziative legislative dei parlamenti sono sempre meno ricorrenti, e comunque senza l’appoggio del governo, un progetto di legge solo raramente riuscirà ad entrare in vigore. Questa tendenza è preoccupante e potrà condurre ad una “onnipotenza” dell’esecutivo, ed ad una marginalizzazione del legislativo. Trattasi di una tendenza difficilmente arrestabile, e che a tratti appare addirittura irreversibile.

Il processo di incorporazione del potere legislativo all’interno dell’esecutivo potrebbe trovare il giusto contrappeso in un giudiziario forte ed indipendente. Solo così il singolo cittadino potrebbe vedere tutelati efficacemente i suoi diritti di fronte ad un potere esecutivo sempre più massiccio. Tale tutela è apportata dai tribunali civili e penali, competenti a giudicare sui singoli casi, dai tribunali amministrativi, competenti ad effettuare un controllo di legalità sugli atti della pubblica amministrazione, ed infine dalle corti costituzionali, che valutano la costituzionalità delle leggi adottate dai parlamenti.

La difesa di questa suddivisione dei poteri e di terzietà nell’amministrazione della giustizia rispetto all’esecutivo vanno considerati i temi di fondo sui quali impostare la vicenda referendaria che pure conterrà dentro di sè un complesso di problematiche da non trascurare compresa quella più squisitamente legata alla dinamica politico-elettorale per la quale è prevista una lunga rincorsa che approderà alle elezioni legislative generali previste per l’autunno del 2027, se non interverranno nel frattempo elementi di possibile accelerazione.

LA VIGNETTA – scelta dalla “bottega” – è di Benigno Moi.

Redazione
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