Francia: due destre al ballottaggio

riflessioni di Gianluca Cicinelli e Franco Astengo. A seguire la recensione di db a “Perchè sono diventata anarchica” dell’ex deputata francese Isabelle Attard

Dalla Francia una speranza per gli ultimi

di Gianluca Cicinelli

Io non so se il programma di Jean-Luc Mélenchon sia effettivamente realizzabile, e non per i soldi che richiede ma per le sue conseguenze politiche a catena, so soltanto che è un programma realmente alternativo alla mediocrità politica e sociale dominante, un programma che ha riacceso una speranza nel popolo anti liberista. E’ giusto che oggi in Francia si tirino addosso le pietre a sinistra per quel mezzo milione di voti circa che ha impedito a Melenchon di andare al ballottaggio, ma qui, a sud della Francia, sarebbe più indicato che – anzichè sul mezzo milione di voti mancante – riflettessimo su quei 7 milioni 714 mila 949 di voti presenti, raccolti rivendicando la fuoriuscita dalla, parole sue, “allucinazione neo liberale”.

Nonostante il partito comunista francese e quello socialista si presentassero con delle loro liste, il blocco sociale che Melenchon ha riunito di lavoratori salariati in bilico, precari cognitivi e no, disoccupati, quelli che noi in Italia chiamiamo partite Iva e sono liberi professionisti, più liberi purtroppo che occupati nella loro professione, agricoltori e parte dei piccoli imprenditori, tutti con in comune l’espulsione o la messa ai margini dal sistema economico negli ultimi venti anni, tutto questo blocco di sfruttati è figlio diretto delle istanze che nel secolo scorso rappresentavano appunto socialisti e comunisti e non soltanto in Francia. Questo è stato il merito politico di Melanchon: riportare al centro della scena politica come una forza unita gli sfruttati, gli ultimi. Impresa che fino a poche settimane fa sembrava ormai affidata esclusivamente a papa Francesco.

Certo, è probabile che sul covid o sull’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ci siano posizioni molto diverse tra gli elettori di Melenchon, ma è stato proprio questo il vero elemento vincente della sua coalizione, andare alla radice strutturale delle divisioni sociali puntando l’indice contro le politiche economiche di governo della destra liberale di Macron e le proposte protezionistiche e xenofobe della destra illiberale di Le Pen e cugini. Non solo. Mentre si sviluppava in tutta Europa un populismo sfascista di destra contro tutto e tutti, lo Stato, i partiti, i sindacati, la Costituzione stessa, anzichè chiudersi in difesa di un passato che non esiste più Melenchon fin dalle scorse presidenziali ha accettato e rilanciato la sfida per la convocazione di un’Assemblea Costituente, proposta giudicata analoga a un colpo di stato dalla sinistra storica. Nella sostanza, a una società in movimento Melenchon ha detto di volersi muovere e non di restare a guardare la dissoluzione delle conquiste sociali rimpiangendo i bei tempi che furono.

Il salario minimo a 1400 euro netti al mese, la pensione a 60 anni, l’ampliamento della sanità pubblica, porre fine all’agricoltura intensiva, porre fine agli abusi sugli animali, il diritto a disporre del proprio corpo, il diritto a morire con dignità, abbassare e bloccare i prezzi sui prodotti di prima necessità, ridurre il potere assoluto del Presidente della Repubblica, arrivare al 100% di energia rinnovabile. Questi alcuni punti del programma di Melenchon, come si vede richieste di assoluto buon senso, esiterei persino nel definirle socialdemocratiche, toccano la vita quotidiana materiale e complessiva delle persone e della loro storia. Oddio, magari la proposta di limitare da 1 a 20 il divario tra lo stipendio più basso e quello più alto nella stessa azienda, indica una lettura della vita non liberista e, a me, piace molto. Per quanto riguarda la copertura economica delle proposte, sono decenni che veniamo presi in giro da presunte mancanze di soldi che si rivelano tali soltanto verso i cittadini ma non mancano mai quando si tratta di finanziare banche, industria della morte, spese militari, per cui si tratta di indirizzare verso i cittadini le spese che oggi sono rivolte a beneficio del “sistema”.

Sembra fantascienza rispetto al livello del dibattito politico in Italia, eppure in gioco non c’è il sol dell’avvenire ma soltanto la possibilità per milioni di esclusi di rivedere il sole domani a pancia piena dopo aver dormito sotto un tetto sicuro. Abbiamo trovato la guida quindi, la fuoriuscita della sinistra europea dall’incubo del sinistro blairismo? Per rispondere a questa domanda dobbiamo capire che le proposte di Melenchon sono in chiave nazionale francese. Sul piatto delle controversie troviamo Europa e Immigrazione. Pur criticando la politica anti-migranti del governo Macron e denunciando in particolare la legge in materia di asilo, Mélenchon ha ripetuto più volte la sua ostilità alla libertà di movimento, affermando che la borghesia utilizza gli immigrati per fare pressione sui salari e i benefici sociali dei francesi, il che farebbe sembrare il padronato a favore dell’immigrazione e tutti gli sfruttati di Francia come componenti di due eserciti diversi.

Il punto più importante per estrarre o meno elementi del programma di Melenchon, estendibili al di fuori della Francia, riguarda la posizione della Francia negli assetti europei. Gli elementi di populismo di sinistra presenti nel suo programma se da una parte recuperano un elettorato abbandonato dai tradizionali partiti di sinistra dall’altra ripropongono una chiave nazionalista, oggi la chiamiamo sovranista, che di sinistra non è. Accanto alla denuncia sull’attuale gestione dell’Unione Europea da parte di banchieri e tecnocrati, c’è la pretesa di costruire un asse che più che rovesciare la linea politica della Ue riscriva i rapporti di forza a favore della Francia a fronte di un alleato tedesco indebolito dall’uscita di scena della Merkel e dalle conseguenze della crisi energetica dovuta alle sanzioni verso la Russia. Sul fronte dei rapporti internazionali a sinistra non va poi dimenticato che Melenchon chiese al Partito della Sinistra Europea, tra i cui banchi sedeva a Bruxelles, l’espulsione di Syriza dopo che il premier greco Tsipras aveva accettato le condizioni imposte al suo Paese dalla Troika. E se da una parte la capitolazione della Grecia alle richieste della Bce ha provocato una frattura reale nei rapporti della sinistra europea, la richiesta non fu accolta e Melenchon ruppe anche con Die Linke e Podemos.

Certo è che sembra di assistere a una discussione su temi alti e complessivi, che fa apparire ancora più miserevole lo stato di quanto si pone a sinistra del Pd in Italia.

(*) articolo tratto da https://diogeneonline.info/dalla-francia-una-speranza-per-gli-ultimi/

QUALCHE NUMERO DALLA FRANCIA di Franco Astengo

Scrivo a spoglio quasi completato per il primo turno delle presidenziali francesi (al 97% delle schede scrutinate): è possibile tentare qualche prima valutazione posta sul piano generale, riservandosi una analisi più approfondita posta sul terreno dell’articolazione territoriale.

Molto opportunamente il sito del Ministero dell’Interno francese riporta anche le percentuali sul totale degli aventi diritto: in Italia questo tipo di analisi non si svolge quasi mai e si finisce con lo stravolgere il senso delle percentuali effettive di voto assegnandole soltanto sulla base dei voti validi (sorgono così equivoci come quello clamoroso delle Europee 2014 con il PD attestato a un fasullo 40% ottenuto semplicemente per una massiccia diserzione dalle urne).

Nella Francia 2022 l’astensione è ancora cresciuta e questo elemento deforma il valore delle percentuali ottenute dai diversi candidati.

Andando per ordine, su questo punto: nel 2017 ci si era attestati sul 77,77% dei votanti con l’1,78% di schede bianche e lo 0,78% di schede nulle. Nel 2022 il totale dei votanti è sceso al 74,86% (meno 2,91% : circa 1.500.000 in più di elettrici ed elettori che non si sono recati al seggio).

Nel computo dei voti relativi ai diversi candidati si rileva anche una forte volatilità elettorale (non ancora, però, ai livelli assunti dal fenomeno nelle più recenti elezioni italiane) con la caduta dei due grandi partiti che avevano segnato il bipolarismo francese: il partito socialista e quello gollista (ed eredi) e la grande differenza tra centri urbani e Francia profonda.

Considerato che i due candidati che arriveranno al ballottaggio hanno incrementato il loro plafond passando (al 97% dei voti scrutinati) Macron da 8.656.346 voti a 9.560.579 e Le Pen da 7.678.491 a 8.109.802 diventa fondamentale per capire cosa è successo valutare il crollo di gollisti e socialisti facendo presente prima di tutto un elemento.

Si tratta della divisione a sinistra: la presenza di 5 candidature (compresa quella dei Verdi, che nel frattempo in Francia hanno assunto una dimensione maggiormente “politica” dai tempi ruralisti di Bovè) ha impedito all’ex-socialista ora radical-populista Mélenchon di arrivare al ballottaggio.

La candidatura dell’ex-fondatore di Radio Tangeri è cresciuta in numeri assoluti da 7.059.951 a 7.605.495.

Intorno, a sinistra, registriamo: il pauroso arretramento della candidatura socialista, in questo caso Anne Hidalgo che rispetto a quella di cinque anni fa di Benoit Hamon si ferma a 604.203 voti contro 2.291.288; il comunista Roussel (non presente nel 2017) ottiene 799.352 voti; i Verdi con Jadot 1.587.541 e le due candidature trotzkiste complessivamente 461.720 voti.

Un’ipotetica candidatura da Fronte Popolare (compresi gli ecologisti) avrebbe ottenuto nel 2017 9.978.128 voti saliti nel 2022 a 10.454.108 a dimostrazione che, dal crollo dei socialisti, non si è avuto uno spostamento a destra ma ,considerato il quadro complessivo, semplicemente un maggiore frazionamento.

L’altro punto di caduta che andrà esaminato con attenzione è quello dei gollisti.

La candidatura ufficiale dei “Repubblicani” nel 2017, presentata da Francois Fillon aveva ottenuto 7.212.995 suffragi: nel 2022 Valérie Pécresse, presidente dell’Ile de France, è scesa a 1.658.377 voti con un calo di 5.554.618 suffragi.

Appare evidente che gran parte di questi voti abbiano rappresentato nel 2022 la base del consenso acquisito da Eric Zemmour, ultradestra, che ha raccolto 2.442.673 voti; un’altra parte dei perduti voti gollisti è da ricercarsi (oltre che nell’astensione) nell’incremento ottenuto dalla candidatura Le Pen.

Nella sostanza non c’è complessivamente uno spostamento a destra ma uno spostamento della destra verso l’estrema destra che Macron sta cercando di recuperare corteggiando ( come fa da tempo) l’ala più vicina all’ex-presidente Sarkozy: così la sinistra divisa si limita, pur disponendo di un notevole numero di voti, ad assistere abbarbicata al successo di Mélenchon che verificheremo quanto potrà essere trasmesso e reso efficace nelle elezioni legislative.

In sostanza si può affermare che per la prima volta la candidatura Le Pen di estrema destra non ha fatto il pieno al primo turno e dispone (al contrario dello scontro di 5 anni fa) di margini di crescita: oltre ai 2.442.673 voti di Zemmour sono da considerare anche il 1.095.703 voti di Lassalle (erede di Bayerou) e i 718.240 voti di Dupont – Aignan oltre all’incerta possibile divisione dei voti gollisti.

Macron ha portato avanti una politica di destra sottovalutando l’ampiezza del bacino della sinistra: Mélenchon ha dichiarato “non un voto per la Le Pen” ma non ha invitato a votare Macron.

Esiste un margine di incertezza da non trascurare, considerando anche l’articolazione sociale e culturale dell’elettorato di France Insoumise che risulta molto diversa da quella per così dire “classica” di PS, PCF e LO.

Sul voto per Mèlenchon sicuramente hanno insistito frange dei tanti “NO” che agitano l’estremismo europeo: dall’emigrazione, all’emergenza sanitaria, alla guerra con richiami che, almeno in Italia, hanno assunto aspetti di dannunzianesimo di ritorno come nel caso del M5S che pure tentarono approcci con il movimento dei “gilet gialli”.

Pesa l’incapacità della sinistra francese di valutare le proprie forze nelle diverse componenti e, di conseguenza, l’impossibilità di costruire una qualche dimensione unitaria.

Sarà l’affluenza al secondo turno a decidere il ballottaggio e soprattutto la possibile partecipazione di elettrici ed elettori della sinistra, perché la volatalità elettorale tra il primo e il secondo turno non è così scontata come si verificò invece nel 2002, quando Chirac raccolti 5.665.855 voti al primo turno volò al secondo a 25,537,956 facendo il pieno dell’antifascismo francese e surclassando Le Pen sr. Passato da 4.804.713 a 5.525.032 ( su Chirac si assestarono gli oltre 4 milioni di voti socialisti di Jospin, i quasi 2 milioni del centrista Bayerou, mentre va ricordato che in quell’occasione le due candidature trotzkiste di Lotte Ouvriere e della LCR finirono davanti a quella del PCF).

11 aprile

Il potere è nell’urna: ma il potere di chi?

Daniele Barbieri riflette su «Perchè sono diventata anarchica» dell’ex deputata francese Isabelle Attard (*)

«Non riesco a trattenere le lacrime». Inizia così, sotto la data 24 aprile 2017, «Perchè sono diventata anarchica» – pubblicato in Francia nel 2019 e tradotto da Eleuthera nel dicembre 2021 (168 pagine per 15 euri, traduzione di Vincenzo Papa) – di Isabelle Attard, archeozoologa, direttrice di musei ed ex parlamentare fra il 2012 e il 2017 con il gruppo ecologista.

Che pianto è? Non di tipo liberatorio né ipocrita (a uso telecamere, tipo Fornero per non far nomi). Non quello rituale e magico (che studiò Ernesto De Martino) o il coccodrillesco… E’ un misto di impotenza e disperazione.

«Piango perchè lei (Macron) è arrivato in testa al primo turno dell’elezione […] Cosa racconterete adesso, signor Macron, ai precari, a chi ha perso il lavoro, agli studenti senza risorse, ai vecchi che aspettano la morte in case di riposo ormai decrepite, al personale infermieristico e agli insegnanti con l’esaurimento nervoso? […] Se piango è perchè so che lei non si batterà per loro, non li proteggerà. […] E di certo non imiterà gli islandesi che hanno riscritto la loro Costituzione dopo aver sanzionato i banchieri truffaldini».

Collera e delusione si sono accumulate («non mi ero mai sentita così impotente di fronte alla miseria delle persone») ma asciuga subito le lacrime Isabelle Attard quel 24 aprile: è stata eletta per lottare e lo farà. «Siamo milioni… la tribù di coloro che intendono costruire una società giusta, cooperativa, accogliente ed ecologista». Scusate se faccio “spoiler” ma dal titolo avrete intuito che non andrà a finire bene: si batterà Isabelle Attard ma perderà.

Qualunque sia la meta quello che importa è sempre il cammino con le sue tappe e riflessioni. Lo sguardo di Isabelle Attard è rivolto al futuro. Ma prima deve elaborare le sue sconfitte di donna, ecologista e attivista di sinistra dentro il Parlamento francese. Lo fa benissimo e man mano emerge – in chi sta leggendo – un’idea… o una conferma: la partita era truccata, non poteva vincere.

Il libro è davvero ricco, non solo di politica e storia. Racconta il viaggio di Attard a scoprire che forse è sempre stata anarchica però non lo sapeva. Non l’anarchia dei “bombaroli” ma quella di Errico Malatesta e degli Iww. Non idee di un passato glorioso ma pratiche vive: il confederalismo democratico in Rojava, lo zapatismo dal basso in Chiapas ovviamente; ma anche realtà più vicine come la ZAD (Zona temporaneamente autonoma) contro l’aeroporto francese di Notre-Dame-des-Landes e le fabbriche autogestite dai lavoratori in Europa e America latina o le mille forme del Mutuo Appoggio. Meditando sulle pagine di Voltairine de Cleyre, Tancrède Ramonet e Murray Bookchin ma anche le dettagliate utopie di Daniel Quinn.

Siccome questo non è un giallo posso svelare le ultime pagine. Anche perchè come andrà a finire … riguarda chiunque di noi negli ultimi anni quando ha sentito o pronunciato la parola «voto» automaticamente l’ha corretta in «vuoto».

Nelle conclusioni – tre pagine – Isabelle Attard racconta: «i miei due anni di decostruzione e poi ricostruzione sono appena terminati». La sua scelta sarà verso un ecologismo anarchico, «intriso di umanesimo e rispetto», che «dovrà essere femminista o non sarà». Bisogna smetterla di lamentarsi e organizzarsi: «tocca a noi inventare l’anarchismo del XXI secolo».

Poche righe (del recensore) a mo’ di PS, cioè Post Scriptum ma anche Personale Scavo.

Tra poco la Francia torna alle urne con “le sinistre” (uso il plurale e le virgolette) più frammentate che mai e con mille inviti al non voto. Sul sito «Boycott des présidentielles» un manifesto firmato da 120 sindacalisti, militanti e intellettuali spiegano che l’astensionismo non è passività ma un gesto attivo. Dunque ha ragione Isabelle Attard? Ed è un discorso francese o di ogni democrazia “post mercato”? Se chi legge ha dubbi sulle spalle sappia che sono anche i miei. Dal tavolo mi guarda una vignetta di Mauro Biani che conservo ormai da 7 anni. In terra un pezzente (è modernamente vestito ma poveramente) e in piedi un classico nobile – parrucca e finto neo persino – gli dice: «Ti darò il suffragio universale, tanto prima o poi me lo ridarai per sfinimento».

(*) questa recensione è uscita su www.micromega.net

Anche questa vignetta – di Giuliano Spagnul – resta al centro dei miei dubbi: c’era una volta il “suffragio universale” che faceva paura ai ricchi… Ma oggi? Se pure vincesse un Mélenchon potrebbe governare o lo bloccherebbero subito? L’esperienza greca è lì, drammaticamente vicina. [db]

Redazione
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Un commento

  • Gian Marco Martignoni

    Come e ancor di più del 2017 il mancato ballottaggio di Melenchon lascia l’amaro in bocca, poichè la dispersione a sinistra è la dimostrazione che Macron avrebbe potuto trovare un altro sfidante, decisamente antagonista e rappresentativo di vari settori della società. Certamente, come rileva Franco Astengo ,lo spostamento a destro è rilevante, ma il quadro politico francese, a differenza di quello italiano, non è affatto amorfo o molto piatto. Per essere chiari ,in Francia sia il Pd che i 5Stelle alla Di Maio è probabile che sceglierebbero Macro rispetto a Melenchon.Il che è tutto dire, poichè scegliere la Hidalgo significherebbe condannarsi all’irrilevanza politica.Cicinelli, giustamente, segnala la differenza tra Melenchon e la France Insoumise con la ridicola frammentazione italiana.Un parallelo corretto, che però, per quello che conosco della Francia, a partire dalla Cgt, è il prodotto anche dell’assenza di una serie di soggettività sociali, che invece in quel paese hanno una loro dinamica sociale e conflittuale.

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