10, 100, 1000 Mandela

di Francesco Masala (*)

Marwan Barghouti, che secondo Uri Avnery è il nuovo Mandela

(leggi qui), scrive una lettera a Nelson Mandela per ricordarlo e onorarlo:

Nel corso dei miei anni di lotta, ho avuto occasione a più riprese di pensare a te, caro Nelson Mandela. E soprattutto dopo il mio arresto nel 2002. Io penso ad un uomo che ha passato 27 anni in una cella di prigione, solamente per dimostrare che la libertà abitava in lui prima di diventare una realtà di cui avrebbe potuto gioire il suo popolo. Penso alla tua capacità di sfidare l’oppressione e l’apartheid, ma anche di sfidare l’odio e di preferire la giustizia alla vendetta.

Quante volte hai dubitato del risultato di quella lotta? Quante volte ti sei domandato se la giustizia avrebbe prevalso? Quante volte ti sei chiesto se il tuo nemico avrebbe mai potuto diventare un tuo partner? Alla fine, la tua volontà si è dimostrata incrollabile, facendo diventare il tuo nome uno dei più luminosi nomi della libertà.

Tu sei molto di più che una fonte di ispirazione. Tu dovevi sapere, il giorno della tua liberazione dal carcere, che eri in procinto non solo di scrivere la storia, ma di contribuire al trionfo della luce sull’oscurantismo, pur restando umile.

Ed hai portato la promessa ben oltre le frontiere del tuo paese, questa promessa, che l’oppressione e l’ingiustizia saranno sconfitte. Così hai aperto la strada alla libertà e alla pace. Dalla mia cella, io ricordo la tua ricerca quotidiana e allora qualsiasi sacrificio mi diventa sopportabile alla sola idea che il popolo palestinese potrà riacquistare la sua libertà, la sua indipendenza e la sua terra, e che questa terra potrà infine gioire della pace.

Tu sei diventato un’icona e hai fatto sì che la tua causa fosse un faro e si imponesse sulla scena internazionale. Universalismo contro isolamento. Sei diventato un simbolo al quale tutti coloro che credono nei valori universali alla base della tua lotta hanno potuto collegarsi, mobilitarsi ed agire. L’unità ha forza di legge per un popolo oppresso. La tua minuscola cella, le ore di lavoro forzato, la solitudine e le tenebre non hanno potuto impedirti di vedere l’orizzonte, né di condividere la tua visione. Il tuo paese è diventato un faro e noi, Palestinesi, spieghiamo le vele per raggiungere la sua riva.

Tu hai detto: “noi sappiamo troppo bene che la nostra libertà non è completa senza quella dei Palestinesi”. E dalla mia cella io ti dico, la nostra libertà ci appare accessibile perché voi avete raggiunto la vostra. L’apartheid non ha prevalso in Sudafrica, e l’apartheid non può prevalere in Palestina. Noi abbiamo avuto il grande onore di accogliere in Palestina, qualche mese fa, il tuo amico e compagno di lotta Ahmed Kathrada, che dalla sua cella, dove ha preso forma una parte importante della storia universale, aveva lanciato la campagna internazionale in favore della libertà dei prigionieri palestinesi; mostrando con ciò che i legami fra le nostre lotte sono eterni.

La tua capacità di essere un simbolo di unificazione e un condottiero a partire dalla tua cella di prigioniero, tenendo nelle mani il futuro del tuo popolo mentre eri derubato del tuo stesso futuro, sono segni di un grande leader, eccezionale, e di una figura davvero storica.

Io saluto il combattente per la pace, il negoziatore di pace e il costruttore di pace che tu sei, mentre sei nello stesso tempo il leader militante e l’ispiratore di una resistenza pacifica, il combattente senza tregua e l’uomo di Stato.

Tu hai consacrato la vita a far risplendere l’idea che la libertà e la dignità, la giustizia e la riconciliazione, la pace e la coesistenza possono prevalere. Adesso sono tanti quelli che nei loro discorsi onorano la tua lotta. In Palestina noi promettiamo a noi stessi di proseguire questa ricerca dei nostri valori comuni e di onorare la tua lotta non solo a parole, ma consacrando le nostre vite allo stesso scopo. La libertà, caro Madiba, prevarrà certo, un giorno, e tu hai meravigliosamente contribuito a fare di questa fede una certezza. Riposa in pace e che Dio benedica la tua anima invincibile. (da qui)

in un’interessante intervista (qui) Marwan Barghouti dice:

“…Dovessi un giorno essere ucciso, e Israele rassicurare il mondo con l’ultimo suo successo contro il terrorismo – apra le virgolette. Perché ho sofferto per anni in carcere, sono stato torturato e come tutti voi, ho un’unica vita a disposizione: e invece non ho potuto crescere i miei figli, dividere il mio tempo con la donna che amo, e solo topi e scarafaggi sono stati compagni e testimoni di mesi interminabili in scatole di un metro e mezzo per due, mesi in cui non avevo una finestra, solo un ventilatore e la luce sempre accesa, e a volte neppure quello, a volte solo l’aria attraverso lo spioncino della porta le infinite volte in cui il mio universo è stato largo quanto un cortile, e solo per meno di un’ora al pomeriggio, ammanettato mani e piedi, in isolamento senza una radio, una televisione un libro, e per toilette un foro nel pavimento. Eppure non ho mai odiato nessuno. E ancora adesso, dopo che hanno tentato di assassinarmi con un missile, e dimenticato qui con cinque ergastoli, e altri quarant’anni, dovessi per caso resuscitare, ancora adesso, uomo derubato dell’unica vita che aveva ancora adesso, dopo Piombo Fuso, ancora sono certo che avremo un giorno coesistenza tra due stati uguali, e indipendenti e sovrani. Ho sostenuto instancabile il processo di pace, quando davvero pensavo che Israele intendesse ritirarsi dal mio paese.

Mi è stato tolto tutto: ma non è possibile togliermi il diritto e la dignità di smentirvi: non voglio distruggere Israele. Non voglio distruggere nessuno. Voglio solo vivere libero…”

Chi tiene imprigionato Marwan Barghouti (qui si parla di una campagna per la sua liberazione) è il governo di Israele, complice e venditore di armi al Sudafrica dell’apartheid, nonostante l’embargo dell’ONU del 1977.

Israele ha imparato benissimo come si fa l’apartheid, in Sudafrica erano dei dilettanti, al confronto, come raccontano i componenti di una delegazione sudafricana, inorriditi della durezza del sistema di repressione definita da loro peggiore dell’apartheid sudafricana, in un articolo di Gideon Levy del 10 luglio 2008 (qui)

Non stupisce che i governanti di Israele siano rimasti a casa, il Sudafrica è troppo lontano e il viaggio troppo costoso. E poi, come potevano rendere omaggio a uno come Nelson Mandela, che diceva che “L’ONU ha preso una posizione forte contro l’apartheid, e nel corso degli anni, è stato costruito un consenso internazionale, che ha contribuito a porre fine a questo sistema iniquo. Ma sappiamo fin troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi” . D’altronde anche il governo degli Stati Uniti d’America (solo nel 2008) ha deciso che Mandela non era (più) un terrorista, chissà se il governo di Israele lo sa.

PS: grazie a Fawzi per l’ispirazione di questo scritto.

aggiungo una bellissima vignetta di Patrick Chappatte:mandela

(da qui)

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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