Cose che succedono

 

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povero Jamychael, assassinato un giorno dopo l’altro2

 Ancora una volta, c’è un afroamericano al centro delle cronache giudiziarie statunitensi. Si tratta questa volta di Jamychael Mitchell, 24 anni. Detenuto da 4 mesi e malato di schizofrenia, ha rifiutato cibo e medicine fino a che non è morto di fame. Era in cella per aver rubato una lattina di bibita e due snack, per un valore totale di 5 dollari.

La morte è avvenuta il 19 agosto scorso, ma il Guardian ne dà notizia solo oggi. E’ stata aperta una inchiesta, ma verrà chiusa nel giro di qualche giorno senza risultati. E anche questo episodio tira in ballo le responsabilità della Polizia: perchè nessuno è intervenuto? I detenuti mangiano in una sala comune, le medicine vengono date singolarmente e il paziente deve ingoiarle davanti al medico. Quindi vedevano che non stava mangiando e non stava prendendo le medicine. Perchè non ne è stato disposto il ricovero in infermeria? Inoltre il non mangiare crea una debolezza sempre più evidente: come mai nessuno se ne è accorto? I poliziotti andavano in giro con una benda sugli occhi? Oppure, come sempre, il problema è il fortissimo razzismo che pervade la Polizia statunitense?

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…E’ stata disposta l’autopsia, ma le autorità ritengono per ora che sia deceduto per cause naturali. I familiari pensano invece che sia morto di fame, dopo aver rifiutato cibo e medicine. La zia, l’infermiera Roxanne Adams, ha raccontato che il ragazzo era ridotto pelle e ossa al momento del decesso. Mitchell era stato arrestato a Portsmouth il 22 aprile, lo stesso giorno in cui un altro ragazzo afroamericano, William Chapman, è stato ucciso dalla polizia davanti ad un supermercato Walmart della stessa città.
Mitchell soffriva di schizofrenia e viveva con la madre Sonia. “Non aveva mai fatto male a nessuno, fumava in continuazione e faceva ridere la gente”, ha raccontato la zia. Il ragazzo, che aveva precedenti per altri piccoli furti, è stato arrestato per aver rubato una bevanda gassata e due snack. Date le sue condizioni mentali, il giudice aveva ordinato il suo ricovero in un vicino istituto psichiatrico. Ma l’istituto non ha mai trovato un posto libero per lui e il ragazzo è morto in cella il 19 agosto. Ad aggravare il suo stato anche il fatto, denunciato dalla zia, che non prendeva più i farmaci prescritti per la sue condizioni mentali.

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Torino: donna migrante blocca la strada dopo il trasferimento al Cie del marito

 

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Mentre in questi giorni le lotte dei migranti ai confini dell’Europa e le reazioni dei governi europei occupano le cronache dei media, da Torino arriva notizia di una piccola storia di resistenza e opposizione alle forme di oppressione che compongono il cosiddetto sistema dell'”accoglienza” di cui si fa un gran parlare in queste ore.
Dal tardo pomeriggio, infatti, una donna egiziana, assieme ai suoi quattro figli, sta bloccando una delle grosse arterie torinesi, corso Massimo d’Azeglio, dopo che il marito, trovato senza documenti in regola, è stato trasferito al Cie di corso Brunelleschi. La donna si è seduta in mezzo alla carreggiata assieme ai figli e si rifiuta di allontanarsi o spostarsi, nonostante l’arrivo sul posto delle forze dell’ordine, chiedendo il rilascio immediato dell’uomo.
Ma la vicenda che ha portato al fermo del marito e al suo trasferimento al Cie è in questo caso anche emblematica delle quotidiane difficoltà e privazioni dei più basilari diritti e tutele che discendono dall’essere nella condizione di migrante. La donna egiziana, stando a quanto riportato dalle cronache locali, si era infatti rivolta ieri a una stazione dei carabinieri per denunciare un tentativo di stupro nei confronti della figlia maggiore. Di qui i controlli dei militari che hanno portato all’identificazione del marito.
Insomma, alla difficoltà di dover denunciare un fatto di violenza in questo caso si aggiunge anche la paura di ritorsioni e privazioni della libertà nei confronti della propria famiglia, come nel caso dell’uomo ora trasferito nell’incubo del sistema dei Cie. Una vicenda che fa rabbia e che svela i risvolti di un sistema che attribuisce più valore a un pezzo di carta che alla tutela della dignità e della vita umana, che ricaccia nel silenzio soprusi e violenza col ricatto della libertà. Non è d’altronde difficile immaginare che situazioni di questo tipo si creino quotidianamente, non solo in casi come questi ma anche nell’accesso a servizi essenziali come per esempio quelli di assistenza medica.
In attesa di aggiornamenti sulla situazione, esprimiamo piena solidarietà per il coraggioso gesto della donna e per la sua determinazione, che hanno avuto la forza di svelare un pezzo di questo sistema e dei suoi soprusi.

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Sorpresa democratica, Bernie Sanders c’è – Luca Celada

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La scorsa set­ti­mana al Los Ange­les Sports Arena era il tutto esau­rito e qual­che migliaio di per­sone hanno dovuto accon­ten­tarsi degli schermi siste­mati fuori dal palaz­zetto dello sport. Signi­fica che c’erano più di 25 mila per­sone al comi­zio di Ber­nie San­ders, un numero impres­sio­nante anche per lui che in que­sto pro­dromo di pri­ma­rie pre­si­den­ziali si sta con­ver­tendo nella sor­presa della sta­gione poli­tica Usa.

Quasi nes­suno avrebbe pro­no­sti­cato ad aprile, quando il 73enne sena­tore “socia­li­sta” del Ver­mont aveva annun­ciato l’intenzione di sfi­dare Hil­lary Clin­ton per la nomi­na­tion demo­cra­tica, che in pochi mesi la sua cam­pa­gna si sarebbe con­cre­tiz­zata in una effet­tiva can­di­da­tura. Eppure die­tro allo slo­gan Feel the burn quella di San­ders è una delle poche cam­pa­gne capace di accen­dere una vera pas­sione. E gli ultimi son­daggi in New Hamp­shire dove fra sei mesi si terrà la prima delle pri­ma­rie, lo danno addi­rit­tura in van­tag­gio sulla “pre­de­sti­nata” ex first lady per 44 a 37.

Allo Sports Arena la folla era com­po­sta in gran pre­va­lenza da gio­vani, stu­denti uni­ver­si­tari e liceali, ragazzi arri­vati per pas­sa­pa­rola sui social e libe­rals in preda al pre­sen­ti­mento post-Obama. Una folla che in effetti ricor­dava parec­chio quelle dei primi comizi del pre­si­dente, quasi sette anni fa, com­presi alcuni degli spea­ker sul palco – come Sarah Sil­ver­man, comica dis­sa­crante con grande seguito mil­len­nial che ha ina­nel­lato bat­tute sulla equi­voca pro­nun­cia del cognome dei mece­nati rea­zio­nari fra­telli Koch. Poi ambien­ta­li­sti, orga­niz­za­tori di base, sin­da­ca­li­sti sus­se­gui­tisi per affer­mare che «Ber­nie» è l’unico can­di­dato della gente fra la schiera di poli­tici spon­so­riz­zati da inte­ressi forti.

Quando è toc­cato al can­di­dato, San­ders ha elen­cato per circa un ora i punti che defi­ni­scono il suo pro­gramma: egua­glianza eco­no­mica, rete sociale, ambiente, edu­ca­zione. Il pub­blico lo ha accolto con un mare ondeg­giante di tele­fo­nini accesi e applausi a ripe­ti­zione, più come una rock­star che come un canuto signore set­tua­ge­na­rio. (Un tizio in pla­tea aveva una maglietta con scritto «aiu­taci tu Obi Wan», rife­ri­mento alla figura di Alec Gui­ness in Guerre Stel­lari, bene­vola e paterna, che San­ders vaga­mente evoca).

Idea­li­smo giovanile

Figlio di ebrei new­yor­chesi (il padre, polacco, soprav­vis­suto alla Shoah), San­ders ha stu­diato al Broo­klyn Col­lege e poi alla Uni­ver­sity of Chi­cago dove nel ‘63 era iscritto alla lega dei gio­vani socia­li­sti. Sono gli anni del movi­mento per i diritti civili, le free­dom rides nel sud segre­gato a cui San­ders par­te­cipa, come alla mar­cia su Washing­ton di Mar­tin Luther King. Il suo impe­gno poli­tico coin­cide con la con­tro­cul­tura dei six­ties, è mem­bro dello stu­dent non­vio­lent coor­di­na­ting com­mit­tee, la for­ma­zione stu­den­te­sca anti­raz­zi­sta che sarà incu­ba­trice di espe­rienze come le Black pan­thers e i Wea­ther under­ground. Negli anni suc­ces­sivi la lotta è quella con­tro la guerra nel Viet­nam, ma nel frat­tempo San­ders, dopo un espe­rienza in kib­butz, si è tra­sfe­rito in Ver­mont e con­cre­tizza l’idealismo gio­va­nile nelle prime cari­che poli­ti­che, prima da sin­daco di Bur­ling­ton e in seguito al con­gresso.
Non era chiaro quanto potesse fare testo il suo suc­cesso di rifor­ma­tore roo­se­vel­tiano, dichia­ra­ta­mente social­de­mo­cra­tico, una volta var­cati i con­fini della sua verde uto­pia “scan­di­nava”. Ma il suo mes­sag­gio anti libe­ri­sta, anti oli­gar­chico, con­tro gli inte­ressi di ban­che e milio­nari a favore dei lavo­ra­tori ha in qual­che modo for­mu­lato con suc­cesso le istanze del fianco sini­stro oba­miano in sot­tin­tesa pole­mica con Hil­lary, can­di­data di “sistema”, falco filoi­srae­liano, con pro­fondi legami all’establishment con Wall Street e una decen­nale car­riera di insi­der poli­tica con tutti i com­pro­messi che può com­por­tare. Una figura insomma che stenta ad esal­tare una nutrita schiera di demo­cra­tici che chia­ra­mente rim­pian­gono l’entusiasmo obamiano.

Una coa­li­zione trasversale

La chiave del suc­cesso dell’attuale pre­si­dente è stata la coa­li­zione tra­sver­sale fra base tra­di­zio­nale, sin­da­cati, par­tito, gio­vani, donne e mino­ranze. Per riu­scire a pre­va­lere sulla mac­china dei finan­zia­menti repub­bli­cani, il can­di­dato demo­cratico dovrà riu­scire a dupli­care quella ricetta. Com­preso San­ders, per cui è giunto il momento di allar­gare il pro­prio appeal oltre allo zoc­colo pro­gres­si­sta. Al suo comi­zio di Seat­tle, che è coin­ciso con la set­ti­mana di pro­te­ste a Fer­gu­son, mili­tanti di Black Lives Mat­ter si sono impa­dro­niti del palco di San­ders per riven­di­care giu­sti­zia raz­ziale. Una scena remi­ni­scente delle ten­sioni fra mili­tanti neri e stu­denti della sua gioventù.

San­ders ha repli­cato nomi­nando a nuova por­ta­voce nazio­nale l’afroamericana Symone San­ders, ma è chiaro che dovrà tes­sere rap­porti più saldi con un elet­to­rato con cui ha – almeno geo­gra­fi­ca­mente – per ora poco in comune. Neri e ispa­nici saranno cru­cali ad ogni spe­ranza di suc­cesso finale. Clin­ton ha pro­fondi legami sto­rici con entrambi i seg­menti, ma San­ders è tito­lare di un entu­sia­smo che Hil­lary stenta a generare.

Disa­gio progressista

Fermo restando che alle ele­zioni manca più di un anno e che i gio­chi sono dun­que lungi dall’essere con­clusi, o anche solo ben defi­niti, è inne­ga­bile che San­ders abbia intanto ria­perto una gara che sem­brava con­clusa in par­tenza con un’investitura pre­ven­tiva di Hil­lary Clinton.

La sua cam­p­agna arti­cola il disa­gio che Hil­lary ogget­ti­va­mente genera fra molti pro­gres­si­sti. Il suo suc­cesso, pur pre­coce, ha inco­rag­giato altri pre­ten­denti come Jim Webb e Mar­tin O’ Mal­ley ed è pro­ba­bile che all’effetto Ber­nie siano da attri­buire le voci su ipo­te­ti­che can­di­da­ture di Joe Biden e addi­rit­tura di Al Gore.

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L’esercito più morale del mondo dimostra la sua forza (morale?) contro i bambini con un braccio ingessato

Golia dichiara: “Quei soldati sono miei amici, troppo facile criticare se non ti trovi davanti a un bambino col braccio ingessato”.

 

 

l’efficiente esercito più morale del mondo, con un coraggio mai visto, e con supremo sprezzo del pericolo, arresta Vittorio Fera, volontario dell’ISM (International Solidarity Movement), per una colpa gravissima: “Vittorio stava filmando il violento attacco delle forze israeliane a un ragazzo palestinese, Mohammed Tamimi, che veniva aggredito e soffocato da un soldato”, dicono all’ISM.

 

https://www.youtube.com/watch?v=PvNVz5wAARQ

Noe, esautorato dal comando il capitano Ultimo. Coordinava indagini su mafia, politica e coop – Pino Corrias

Astutamente nascosta nelle pieghe più calde dell’estate una lettera del Comando generale dei carabinieri datata 4 agosto spazza via il colonnello Sergio De Caprio, nome in codice Ultimo, dalla guida operativa dei suoi duecento uomini del Noe, addestrati a perseguire reati ambientali, ma anche straordinari segugi capaci di scovare tangenti, abusi, traffici di denari e di influenza. Uomini che stanno nel cuore delle più clamorose inchieste di questi ultimi anni sull’eterna sciagura italiana, la corruzione.

La lettera che liquida Ultimo è perentoria. La firma il generale Tullio Del Sette, il numero uno dell’Arma. Stabilisce che da metà agosto il colonnello De Caprio non svolgerà più funzioni di polizia giudiziaria, manterrà il grado di vicecomandante del Noe, ma senza compiti operativi. Motivo? Non specificato, normale avvicendamento. Anzi: “Cambiamento strategico nell’organizzazione dei reparti”. Cioè? Frazionare quello che fino ad ora era unificato: il comando delle operazioni.

Scontata la reazione di De Caprio che in data 18 agosto, prende commiato dai suoi reparti con una lettera avvelenata contro i “servi sciocchi” che abusando “delle attribuzioni conferite” prevaricano “e calpestano le persone che avrebbero il dovere di aiutare e sostenere”. Lettera destinata non a chiudere il caso, ma a spalancarlo in pubblico.

Eventualità non nuova nella storia dell’ex capitano Ultimo, quasi mai in sintonia con le alte gerarchie dell’Arma che non lo hanno mai amato. Colpa del suo spirito indipendente, della sua velocità all’iniziativa individuale. Di quella permanente difesa dei suoi uomini e dei suoi metodi di indagine da entrare in collisione con i doveri dell’obbedienza e della disciplina. Già in altre occasioni hanno provato a trasformarlo in un ingranaggio che gira a vuoto. Fin dai tempi remoti dell’arresto di Totò Riina – gennaio 1993 – che gli valse non una medaglia, ma la condanna a morte di Cosa nostra, poi un ordine di servizio che lo estrometteva dai Reparti operativi, poi un processo per “la mancata perquisizione del covo” da cui uscì assolto insieme con il suo comandante di allora, il generale Mario Mori. Per non dire di quando provarono a metterlo al caldo tra i banchi della Scuola ufficiali, a privarlo della scorta – anno 2009 – riassegnatagli dopo la rivolta dei suoi uomini che si erano raddoppiati i turni per proteggerlo.

Ripescato dal ministero dell’Ambiente, messo a capo del Noe, Sergio De Caprio ha trasformato i Nuclei operativi ecologici a sua immagine, macinando indagini, rivelazioni. Oltre a molti e sorprendenti arresti, da quelli di Finmeccanica ai più recenti per gli appalti de L’Aquila.

L’elenco è lungo come un film. Si comincia dai conti di Francesco Belsito, quello degli investimenti della Lega Nord in Tanzania e dei diamanti, il tesoriere del Carroccio che a forza di dissipare milioni di euro come spiccioli, ha liquidato l’intero cerchio magico di Umberto Bossi. Poi Finmeccanica. Con il clamoroso arresto di Giuseppe Orsi, l’amministratore delegato del gruppo e di Bruno Spagnolini di Agusta, indagati per una tangente di 51 milioni di euro pagata a politici indiani per una commessa di 12 elicotteri. E ancora. L’arresto di Luigi Bisignani indagato per i suoi traffici di informazioni segrete e appalti per la P4, coinvolti gli gnomi della finanza e della politica, spioni, e quel capolavoro di Alfonso Papa, deputato Pdl, che aveva un debole per i Rolex rubati.

Poi le ore di confessioni di Ettore Gotti Tedeschi il potente banchiere dello Ior, interrogato sulle operazioni più riservate della banca vaticana dietro le quali i magistrati ipotizzavano il reato di riciclaggio. Le indagini sul tesoro di Massimo Ciancimino seguito fino in Romania; quelle su una banda di narcotrafficanti a Pescara, e persino quelle recentissime su Roberto Maroni, il presidente di Regione Lombardia, accusato di abuso di ufficio per aver fatto assumere due sue collaboratrici grazie a un concorso appositamente truccato. Per finire con le inchieste sulla Cpl Concordia, la ricca cooperativa rossa che incassava appalti in mezza Italia, distribuiva consulenze, teneva in conto spese il sindaco pd di Ischia, Giosi Ferrandino, e per sovrappiù comprava vino e libri da un amico speciale, l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema. Inchieste in cui compaiono anche due sensibilissime intercettazioni, tutte pubblicate in esclusiva dal Fatto lo scorso 10 luglio.

La prima – 11 gennaio 2014 – è quella tra Renzi e il generale della Gdf Adinolfi, nella quali l’allora soltanto leader del Pd svelava l’intenzione di fare le scarpe a Enrico Letta per spodestarlo da Palazzo Chigi. La seconda – 5 febbraio 2014 – è quella relativa a un pranzo tra lo stesso Adinolfi, Nardella (allora vicesindaco di Firenze), Maurizio Casasco (presidente dei medici sportivi) eVincenzo Fortunato (il superburocrate già capo di gabinetto del ministero dell’economia) in cui si faceva riferimento a ricatti attorno al presidente Napolitano per i presunti “altarini” del figlio Giulio. Tutto vanificato ora per il “cambiamento strategico nell’organizzazione dei reparti”. Motivazione d’alta sintassi burocratica che a stento coprirà gli applausi della variopinta folla degli indagati (di destra, di centro, di sinistra) e la loro gratitudine per questa inaspettata via d’uscita che riapre le loro carriere, mentre chiude quella di Sergio De Caprio.

Eventualità non del tutto scontata, visto il malumore che in queste ore serpeggia dentro l’Arma, e vista la reazione (furente e non del tutto silenziosa) dell’interessato che trapela dalla lettera inviata ai suoi uomini, una dichiarazione di guerra, travestita da addio.

Da il Fatto Quotidiano del 21 agosto 2015

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ricordando Oliver Sacks

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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