Arjouni, Arpaia, Carlotto, Montalban e Nesbo

Recensioni giallo-noir di Valerio Calzolaio (*)

Rimini e Berlino. Primavera (poi fine ottobre). L’autoctono brav’uomo 45enne Adelmo da due mesi è divenuto un ladro. Lo hanno licenziato, gira in bici, resta con la 42enne Carla, si arrangia. Sembra truce e patibolare, è forte e appassionato. Una sera nota una finestra aperta al primo piano di una palazzina abitata da gente danarosa, attende, poi entra. Trova Lise Zegers, distesa sul divano al buio, elegante e raffinata, una tedesca sui sessanta, ancora molto bella, soda e liscia grazie a trattamenti vari. Per quarant’anni era stata una croupier sulle navi, aveva vissuto (e guadagnato) molto, una banca l’ha convinta a investire sui derivati, ha perso quasi tutto, è totalmente sola, le sono rimasti 120.000 euro, un anno della sua vita, poi non può che morire. Ha avuto un unico vero amore, “Ferdimambo”, romantico gigolò riminese; si sono persi. Adelmo e Lise si amano un po’, la vita cambierà per entrambi. Un bel racconto lungo, affetto noir, per Massimo Carlotto («Il mondo non mi deve nulla», e/o 2014, pagg. 110 euro 9,50), in terza varia. Segnalo la menzogna da pag. 25 a 28. Si sorride senza sdolcinature. Canzoni e piadine appropriate.

Jo Nesbo
«Il Pipistrello»
Traduzione di Eva Kampmann
Einaudi
416 pagine, 19 euro
Traduzione di Eva Kampmann
Australia. 1996. Una ragazza norvegese viene uccisa a Sidney. L’ispettore della squadra Anticrimine di Oslo Harry Hole va in trasferta, è l’ultimo di altri omicidi, una storia di droga e sesso. All’aeroporto trova l’investigatore locale crespo e nero, l’aborigeno Andrew Kensington. «Il Pipistrello», primo romanzo della splendida serie risale al 1997, vinse il premio di miglior giallo norvegese nel 1998 ed era inedito in Italia. Nel decimo Harry morirà, irrevocabilmente. Il suo fortunato inventore è il 54enne Jo Nesbo, già calciatore semiprofessionista, cantante in una band. Scriveva i testi delle canzoni e volle provare un romanzo lungo ambientato in luoghi esotici. Da allora in poi ci è riuscito benissimo.

Francoforte. Autunno 2011. Kemal Kayankaya ha ormai 53 anni ma perde pochi colpi. Genitori turchi morti, adottato da tedeschi a 4 anni, gira in vecchia bici o in nuova Astra di seconda mano, con barba lunga e un po’ sovrappeso, resta non religioso e ironico, da qualche anno ha smesso di fumare e da dieci sta molto bene con l’ex prostituta Deborah, che ora gestisce una bella enoteca con cucina. Investiga sulla 16enne Marieke, sfuggita alla madre Valerie de Chevannes, malizioso schianto con lo sguardo d’acciaio blu, e scorta alla Buchmesse il famoso scrittore marocchino Malik Raschid. Il fotografo pappone, che se la faceva anche con Valerie, sta per offrire la figlia a un ciccione bianco che viene ucciso. Il groviglio si accentua e i casi si intrecciano. Divertente, interessante e ottimamente scritto il quinto della serie (in 17 anni) del grande scrittore prematuramente scomparso Jacob Arjouni («Fratello Kemal», Marcos y Marcos 2014, pagg. 246 euro 15; originale tedesco 2012, traduzione di Gina Maneri), in prima colta e scanzonata. Ineccepibile il clima della fiera letteraria. Whitney Houston e musica di pianoforte. Gran vino rosso: “Les Foulard Rouges Frida”.

Napoli e Messico. Autunno 1986. Uno scrittore finisce fuori strada e un boss camorrista evade dal carcere. Fatto sta che il primo aveva descritto nell’ultimo romanzo proprio la stessa dinamica dell’incidente d’auto per il protagonista e che non è chiaro chi ha aiutato il secondo. Il 30enne Alberto Malinconico ha sospetti sull’accaduto al suo primo morto, la moglie Micaela Bastidas è peruviana e molto bella, aveva come strano amico il giovane delinquente ripulito Torri, non riesce a trovare il bandolo. Poi viene spedito a collaborare con l’Interpol nei Caraibi per cercare l’evaso, non capisce bene perché e perché lui. Si consulta con l’amico giornalista Lorenzo, lascia la complicata storia con Lidia e trascorre giorni in un contesto lontano, nuovo e piacevole, spesso con la francesina Christine, professionalmente tutto sembra inutile. Ecco, è un po’ artefatto e ripetitivo il nuovo romanzo (secondo della serie) del colto sfaccettato bravo 57enne Bruno Arpaia («Prima della battaglia», Guanda 2014, pagg. 186 euro 15), in prima di chi racconta decenni dopo. Troppo “nomen omen”! Segnalo hotel e terrazza Marlowe, a pag. 141. King Crimsom e mezcal.

Manuel Vazquez Montalban
«Né vivo né morto»
traduzione di Hado Lyria
Feltrinelli
124 pagine, 10 euro

Barcellona. 1993. Assoldano Carvalho per ritrovare il “presunto” Roldán, esponente del Psoe e ex capo della Guardia Civil, accusato di corruzione e di altri reati, traffico d’armi compreso, fuggito con i soldi. Quando uscì su «El Pais» del 1994 la novella a puntate (un colpo di scena alla fine di ogni capitolo) del grandissimo Manuel Vazquez Montalban, «Né vivo né morto», Roldán era un personaggio reale, poi condannato nel 1995 a trentun anni di galera, presto libero. Pepe e Biscuter lo cercarono ovunque, finanche a Gerusalemme, contro servizi e faccendieri. Se ne trovano sempre: uno, nessuno e centomila, ne esistono a bizzeffe! Come al solito grandi mangiate, ormai Slow Food.

(*) Le recensioni di Valerio Calzolaio escono in prima battuta sul settimanale «Il salvagente». (db)

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