Carceri: in direzione contraria alla logica

di Marcello Pesarini

Prima i fatti poi le interpretazioni. Solo una breve premessa: per una parte non indifferente dell’amministrazione della Giustizia, si susseguono dichiarazioni, interventi, interviste. Poi, di fronte a necessità che non possono essere ignorate, il DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) pensa siano sufficienti o comunque necessarie comunicazioni che non hanno nulla di complessivo, ma possono ulteriormente infastidire o gettare la zizzania.

Nel giro di una settimana, il 14 e il 21 ottobre 2025, sono state consegnate alle organizzazioni sindacali dei lavoratori penitenziari e ai provveditorati penitenziari nonché alle direzioni degli istituti penitenziari due diverse direttive.

Quella a data 14.10 è dedicata alla prevenzione degli eventi critici, rivolta alle organizzazioni sindacali oltre che alle direzioni.

La comunicazione del 21.10 è invece rivolta a disciplinare gli eventi ludici, di studio, pedagogici negli istituti dove sia presente anche l’Alta Sicurezza.

La prima sembrava aprire una riflessione su uno dei passaggi più dolorosi della sofferenza legata al sovraffollamento: la scarsa attenzione nell’accoglienza dei detenuti trasferiti da altra sede, e la necessità che tutto il corpo lavorante in un istituto si faccia carico della corretta informazione dei diritti e doveri, fino alle comunicazioni con le famiglie, ai permessi.

La circolare trasmessa il 14.10 dice:

L’esperienza dimostra che la sicurezza e il trattamento non sono due binari paralleli, ma due dimensioni inscindibili della vita penitenziaria. Ogni ritardo nella consegna di effetti personali, ogni incertezza nell’organizzazione di colloqui o telefonate, ogni lentezza nella gestione sanitaria o amministrativa diventa terreno fertile per malcontento e conflittualità.

E anche:

Non è ulteriormente tollerabile che il personale di Polizia addetto alla vigilanza e osservazione delle sezioni, già gravato da un impegno straordinario, diventi il prevalente presidio di contenimento di problematiche che traggono origine da ritardi nell’erogazione dei servizi, da mancate comunicazioni, da difetti di coordinamento tra aree funzionali.

In poche parole, nessuno si senta escluso, meno che meno ritenga poco considerate le sue capacità, quando sono pedagogiche o sanitarie, e in attesa dei rinforzi – che dalle decisioni governative di agosto assommano a soli 1000 agenti – facciamo quadrato sia per rispetto nei confronti dei nostri ospiti momentanei (i detenuti in attesa di libertà o di trasferimento) sia di chi negli istituti lavora a vari titoli ed è bene che non subisca il proprio lavoro ma lo valorizzi.

Il terreno sul quale tenta di intervenire, usando parole precise e concetti chiari, la comunicazione del 14 ottobre è quello definito nel rapporto del Garante Nazionale sui decessi e suicidi nel periodo che esaminiamo dal 2021 al 2025, quest’ultimo fino al 31 luglio.

Si è passati da 32 suicidi a 46 nel 2025(31.7), 60 decessi per cause naturali a 69, da 6 a 30 per cause da accertare, 2 accidentali a 1 e 1 omicidio rispetto al nessuno del 2025.

Sono evidenti i tentativi di unificare e responsabilizzare tutti i settori ma la coperta resta troppo corta, con il pericolo di creare ulteriori tensioni invece di semplificarle. Questo non è un processo alle intenzioni quanto un intervento con evidenti limiti di mezzi e scarso intervento della politica.

Quanti sono i calvari di detenuti che vengono trasferiti da un carcere all’altro in seguito a malumori espressi in maniera singola e collettiva per le condizioni di vitto, alloggio, trattamento, promiscuità?

Quanti loro trasferimenti non ricevono spiegazioni, attenzioni, alla partenza o all’arrivo?

Le informazioni sulle quali ci basiamo derivano ad esempio da “Morire di carcere Sportello di supporto psicologico dei parenti di detenuti” e “Associazione Yairaiha Onlus”, in primis, e dicono: quasi nessuno, per non dire nessuno.

Che poi da questi passaggi derivino ulteriori malcontento e conflittualità, non è cosa di cui stupirsi. A seguire la scarsa consultazione delle cartelle mediche, la sottovalutazione che poi diventa creazione di condizioni che portano al suicidio, la malasanità che crea veri e propri circuiti chiusi con gli ospedali. Chi sta male crea problemi se nessuno se ne fa veramente carico come persona, e se in carcere come in ospedale non si dà ascolto alla medicina soggettiva, la fine è prossima.

La medicina soggettiva risente della storia di ogni persona, ed è più pesante se la persona non ha avuto un cammino lineare.

Vorremmo tornare presto su quanto descritto con nomi e persone, nella speranza di poter fornire anche buone notizie.

A seguito della comunicazione del 21 ottobre, che subordina all’approvazione dello stesso DAP la realizzazione di ogni iniziativa negli istituti in cui è presente una sezione di Alta Sicurezza, anche se l’iniziativa non riguarda la stessa Alta Sicurezza, il carcere dei Due Palazzi ha annullato il giorno 30 un’attività programmata da mesi.

Il progetto Kutub Hurra (libri liberi) ha permesso l’acquisto di 50 libri in arabo per ogni istituto, di contenuto laico e la creazione di un gruppo di lettura in arabo importanti per la popolazione reclusa arabofona e non.

Nel 1999 la rivista Ristretti Orizzonti, fulcro di proposte trattamentali, di giustizia riparativa, archivio vivente e pulsante di attività , iniziò a Padova la sua attività e tutt’ora va avanti con la libera collaborazione delle voci più svariate del «Mondo a Quadretti» (definizione diffusa senza copyright).

Al di là dello stupore e dell’indignazione che suscitano queste decisioni proprio in un luogo che è punto di riferimento per tanti di noi attivisti, il punto è il seguente: a fronte dei pochi spunti degli interventi della ministra Marta Cartabia non portati avanti, si è insediato il ministro Carlo Nordio il cui capolavoro sembra ad oggi essere la riforma concernente la separazione delle carriere, un regalo alle destre e ai forzisti.

Ci piacerebbe pensare a degli Stati Generali della Giustizia; ma se con il ministro Orlando venne gettata la spugna, non ci resta che sognare il volo di tante farfalle (ricordate la rivista e il film omonimi?) oppure un’altra marea che dal fiume vada al mare come per Gaza, tessuta dalle madri dei detenuti, sempre più disperate ma proprio per questo capaci di inventiva altrove inesistente.

(*) pubblicato anche su Transform-italia

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