Civitavecchia: un caso nazionale

di Mario Agostinelli (*)

La riconversione da carbone a rinnovabili della centrale di Civitavecchia Torrevaldaliga Nord costituisce un caso esemplare di conflitto tra le politiche energetiche previste a livello accentrato da un PEN ancorato alla reiterazione di un modello centralizzato e sorretto sostanzialmente da fossili ed una coscienza larga e determinata della popolazione di un territorio in tutte le sue espressioni – sindacali sociali associative e politiche – tesa a sperimentare un diverso paradigma energetico: in armonia con la biosfera, duraturo e desiderabile, come si conviene in una fase di drammatica emergenza climatica.

L’esito di una autentica mobilitazione che dura da qualche anno è ancora incerto, data la resistenza di ENEL Italia, le convenienze di ENI e la disattenzione che per lungo tratto ha caratterizzato i rapporti tra le istanze locali ed il Governo. Fino ad ora le dichiarazioni alla stampa della Direzione del megaimpianto a carbone e le esternazioni spesso contradditorie del ministro Cingolani non hanno che fatto crescere la preoccupazione ed una irritata frustrazione dei comitati locali e della cittadinanza, che, nel frattempo, non hanno mai cessato di coltivare un rapporto stretto con tecnici, esperti, ricercatori per ridisegnare l’intero approccio energetico al territorio. Ora i tempi di un confronto definitivo vengono a scadere e il solco tra una pigra disattenzione all’inquinamento di qualche lustro fa e la coscienza vigile di una fase cruciale come quella che segue da vicino l’esito della Cop 26 è stato colmato dall’interesse nazionale assunto dal “caso Civitavecchia” e dal sostegno pubblico e reso manifesto non solo a livello locale ad un progetto credibilissimo, che risponde colpo su colpo alle obiezioni portate dai sostenitori di un turbogas che, oltre tutto, avrebbe abbattuto pesantemente l’occupazione.

LA STORIA PASSATA E LA NASCITA DEL PROGETTO EOLICO E SOLARE

Il 7 Novembre, mentre 503 lobbisti di Big Oil, la cui unica ambizione è quella di rimanere in affari, partecipavano come la più nutrita delegazione ai colloqui di Glasgow, da Civitavecchia Roberta Lombardi, assessora alla Transizione ecologica della Regione Lazio si appellava al presidente Draghi per individuare come opera strategica nazionale il parco eolico offshore di Civitavecchia. “Mantenendo piena coerenza con l’indirizzo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) sugli investimenti ambientali e l’obiettivo globale di azzerare le emissioni inquinanti entro il 2050”.

Come si è arrivati a tanta consapevolezza e al preludio di una svolta evidentemente partecipata?

Ci sono comitati e figure storiche – come Mauro Mei e Ismaele De Crescenzo per “Città Futura” e Maurizio Marchi per “SOLE”, che hanno condotto insieme ad altre personalità rilevanti nella vita cittadina una continua campagna contro l’inquinamento e per l’abbandono del carbone. Ma un autentico salto nel dibattito e nell’iniziativa corale è avvenuto quando si è posta la questione se rigettare “tout court” e con poche speranze l’installazione di un nuovo impianto fossile o avanzare una proposta articolata, basata su fonti rinnovabili e stoccaggio (idrogeno e/o batterie), che riguardasse il territorio e la sua riorganizzazione, la sua sufficienza energetica e, contemporaneamente, la fornitura di potenza alla rete dell’intera regione, razionalizzando consumi e sprechi e investendo anche la mobilità e il lavoro e gli stili di vita. Naturalmente, occorreva costruire una proposta che reggesse il confronto anche sul piano tecnico-scientifico e che convincesse tutte le forze in campo a partecipare dal basso. Una idea di democrazia energetica, in sostanza, che, anche con i numeri di occupazione e le prospettive di politica industriale, indicasse un indirizzo qualificante per il futuro. CGIL E UIL si sono subito schierati e i lavoratori della centrale hanno fatto scioperi per ben due turni, così che il segnale arrivasse chiaro. Trovo lungimirante e decisiva l’entrata in campo da parte del mondo del lavoro, a partire dalla Camera del Lavoro territoriale, di altri sindacati di categoria e della UIL confederale, che non solo hanno interpretato la necessità della svolta ecologica, ma hanno altresì valorizzato anche in termini quantitativi e qualitativi il diritto alla salute e alla buona occupazione. L’intero Consiglio Comunale prima – Sindaco in testa – e poi il Consiglio Regionale con la sua Presidenza hanno preso posizione, in sintonia con le manifestazioni di Fridays for Future, di No ai Fossili, delle associazioni ambientaliste, dei comitati locali, fino alla CNA e a Federcooperative.

Intanto il ministro per la transizione ecologica del Governo Draghi ripeteva che era obbligatorio tenere il gas ancora per un periodo “ragionevole”, magari in attesa della fantasiosa “fusione universale disponibile il 2030”. Il messaggio era chiaro: tanta fretta per una radicale trasformazione del sistema e per l’opzione della neutralità climatica ottenuta con una accelerazione nel ricorso alle rinnovabili era eccessiva, tantopiù laddove la mobilitazione teneva e diventava dimostrabile adesso. Pessima risposta ai cittadini, ai partiti che cominciavano a coltivare la rappresentanza, agli studenti, ai messaggi della Laudato Sì interpretati dallo stesso Vescovo, ai movimenti che a livello territoriale cercavano di sfuggire dalla morsa del sistema energetico centralizzato, sia fossile che nucleare.

Per le prospettive di politica industriale nazionale, la fase in corso a Civitavecchia mi ricorda quella sprecata nel settore della mobilità nei primi anni 2000. Allora la crisi Alfa Romeo aveva fatto terra bruciata intorno ad un sindacato che unitariamente chiedeva la riconversione radicale verso motori non più a combustibile fossile, ma alimentati a idrogeno e orientati ad un “Piano di Mobilità Sostenibile” per la Lombardia. Tutto allora si consumò in un patto tra governi regionali, nazionali e interessi immobiliari. L’intero settore in transizione scomparve per sempre dalla manifattura lombarda, lasciando sul campo solo un manipolo di indotto per l’industria tedesca.

Oggi, per certi versi, l’occasione si ripete con qualche elemento di consapevolezza e di responsabilità in più. Parliamo dell’occasione di aprire frontiere prima inimmaginabili alla sostituzione del carbone e del metano fossili con fonti rinnovabili che, oltre all’emergenza climatica, diano risposte alle questioni occupazionali e al “senso” del lavoro, riducendone l’eccesso di capacità trasformativa in considerazione del limite e dei guasti arrecati alla natura.

IL PROGETTO

Un gruppo di ricercatori e tecnici che da tempo sostiene la riduzione di gas climalteranti e la tutela della salute nell’area di Civitavecchia ha messo a punto un progetto di massima che prevede la produzione di elettricità esclusivamente da fonti rinnovabili, stabilizzate nella loro intermittenza da stoccaggi e conversione in idrogeno verde, disponibile a sua volta come vettore energetico per varie destinazioni territoriali. Nello specifico, la potenza proverrebbe sia in minor parte da fotovoltaico installato su ampie aree dell’impianto da dismettere (in particolare i depositi di carbone) sia sulle pensiline del porto che verrebbe in buona parte elettrificato, ma, soprattutto, in misura adatta alla richiesta (razionalizzata rispetto all’offerta a gas) da eolico off-shore. Il “fulcro” è rappresentato da un parco eolico di pale galleggianti per una potenza di 270 MW collocato a 20-30 chilometri dalla costa (quindi senza impatto visivo diretto), collegate a riva con cavi sottomarini e integrato, come per la parte fotovoltaica, da sistemi di idrolisi e batterie per meglio stabilizzare e rendere successivamente disponibile l’eccesso di corrente elettrica prodotta in particolari condizioni di vento e sole. Si tratta, almeno in una prima fase, di 27 turbine “floating” da 10 MW ciascuna con un’altezza di circa 250 metri posizionate a circa 20-30 km dalla costa in uno spazio marittimo di circa 25 kmq. La producibilità attesa è di 935 GWh annui con un “capacity factor” del 39,5%. Un buon 20% degli investimenti del parco potrebbe essere a carico del Pnrr, Questo primo nucleo impiegherebbe per tutte le fasi di sviluppo e l’indotto fino a 540 addetti complessivi. Si ritiene che il ricorso all’eolico galleggiante nel Mediterraneo possa essere ampliato fino a 1 GW nel Tirreno per complessivi mille posti di lavoro facendo del porto l’hub per l’assemblaggio e promuovendo una manifattura di qualità.

L’obiezione avanzata da ENEL sulla necessità di installare un turbogas da ben 1840 MW è stata contestata in tutte le sue implicazioni, compresa la funzione eventuale di back-up di rete. L’esame, dati di Terna alla mano, dell’eccesso di potenza disponibile sul territorio nazionale ha dimostrato come l’idroelettrico programmabile per pompaggi, fondamentale per compensare le discontinuità di sole e vento, fosse largamente sottoutilizzato, proprio in virtù della compensazione più conveniente fornita dal meccanismo delle aste del “capacity market”.

 

UN DIVERSO PARADIGMA ENERGETICO

I tempi di approvazione e realizzazione del progetto rinnovabili diventano a questo punto decisivi. Il discorso va inserito nell’obiettivo di realizzare almeno 28 GW di rinnovabili entro il 2025. Naturalmente, quello di Civitavecchia è un passaggio da inserire nel piano più generale e da implementare nelle fasi successive con una coerenza che richiamerà in campo le forze sociali e politiche che si sono finora attivate. Occorre trasformare il modello centralizzato e piramidale a modello “misto”, con una forte prevalenza della generazione distribuita ed una reale democrazia energetica. Enumero alcune delle condizioni da avvalorare:

Rendere in prospettiva “Bene Comune” la proprietà e la gestione della produzione e distribuzione di energia, contrastando ogni processo di privatizzazione formale e sostanziale;

Approvare una moratoria sui nuovi progetti estrattivi riguardanti combustibili fossili;

Procedere all’eliminazione dei sussidi pubblici alle fonti fossili (14,7 miliardi di euro annui solo per l’Italia, 5300 miliardi a livello globale);

Sostenere interventi di indipendenza energetica per tutti gli abitanti, attraverso risorse pubbliche sottratte al patto di stabilità e Piani Straordinari da sostenere con Fondi gestiti, ad esempio, dalla Cassa Depositi e Prestiti e derivati dalla riduzione di tutte le spese militari;

Adottare e implementare una road map adeguata per assicurare la completa

decarbonizzazione del modello energetico al 2040;

Promuovere un modello di produzione distribuito dell’energia, attraverso l’adeguamento e la completa digitalizzazione delle reti di distribuzione dell’energia e politiche di incentivazione ai cittadini.

(*) presidente Associazione Laudato Sì; l’intervento è uscito anche su «Quale energia»

 

Redazione
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Un commento

  • Valeria fieramonte

    Come sempre la visione di Mario Agostinelli è particolarmente intelligente, e i punti programmatici di assoluto interesse…

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