Contro la pena di morte

«Pensami ogni tanto / ma non col capo chinato. / Tieni il mio amore nel tuo cuore / senti la mia mancanza / ma lasciami andare». Sono gli ultimi desideri – espressi in versi – di Ray Allen, ucciso il 17 gennaio 2006. Una vicenda che destò scalpore per molti motivi. Allen era il più vecchio detenuto condannato a morte negli Stati Uniti ma “Ya-nu a-di-si” (questo il suo vero nome) era uno dei tanti nativi americani che affollano, dopo processi sommari e spesso viziati, le carceri statunitensi. Quel gennaio di quasi 4 anni fa, il sistema sanitario degli Usa per eliminare quel vecchio ha funzionato al meglio: «lo hanno curato e guarito … per poterlo uccidere» ricorda Marco Cinque, che a lui era legato come a un fratello adottivo, nell’antologia «Poeti da morire». Il libro è uscito nel 2007 da Giulio Perrone editore affiancando lo spettacolo omonimo che continua a girare (in Sardegna più volte) anche oggi.

La lotta contro la pena di morte, dopo il parziale successo della moratoria e l’impegno dell’Italia, è di nuovo in uno stallo. Si sperava molto nell’effetto Obama ma gli Stati Uniti continuano nella stessa strada.  Per esempio l’8 dicembre lo Stato dell’Ohio ha ucciso Kenneth Biros. Un ago (infilato al nono tentativo) e un farmaco (thiopentol) invece dei consueti tre farmaci e dei due aghi tradizionali. Se i boia di Stato non fossero riusciti  a trovare una vena “buona” per eliminare subito Biros avevano pronto un piano B con due iniezioni intramuscolari.

L’iniezione letale è un metodo relativamente “giovane”: venne utilizzato per la prima volta il 7 dicembre 1982 in Texas. Fu considerato un «miglioramento umanitario» – come in precedenza la ghigliottina e la sedia elettrica – del patibolo. La prima cavia dell’iniezione letale fu il nero Charles Brooks. Fu anche il primo afro-americano a essere “giustiziato” dopo una lunga interruzione (dal 1964) in quello Stato. Dal 1982 gli Stati Uniti hanno utilizzato quel metodo per uccidere un migliaio di persone. «Dopo anni di vene collassate, aghi infilati nel collo, interventi chirurgici all’inguine per mettere a nudo una vena in cui inserire un catetere, gli Usa hanno cambiato il macchinario»: lo racconta  – sul sito www.osservatoriosullalegalita.org – l’instancabile avvocato Claudio Giusti. Che ha appena lanciato un appello agli abolizionisti italiani per mobilitarsi contro le prossime esecuzioni, a partire da quella – ancora in Ohio – di Vernon Smith che è fissata per il 7 gennaio prossimo.

Vale ricordare che Cinque porta nelle scuole anche una proposta di poesia e musica il cui esito è una variante, riscritta insieme ai ragazzi, di «Poeti da morire» da rappresentare a scuola o in teatro. «Dopo lo spettacolo a volte gli insegnanti guardano i ragazzi come non li avessero mai vista prima. E forse è così». La speranza e il futuro a volte si nascondono dietro i banchi. «Che si chiami guerra, terrorismo o pena di morte, l’uccisione pianificata dell’uomo sull’uomo si basa sul principio vendicativo dell’occhio per occhio – insiste Marco Cinque – e se non riusciremo ad estirpare sin da ora e sin da noi stessi questo ferale principio, saremo prossimi a un’umana cecità, al buio della ragione, al trionfo della bestia».

Parole di un poeta, non troppo dissimili però da quelle di un altro italiano, tanto tempo fa: «Assurdo che le leggi, espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettano uno e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio». Era la civiltà giuridica auspicata da Cesare Beccaria. Una lotta che deve essere ancora vinta per intera.

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