Diaulos

di Natalino Piras

Nico Orunesu, La notte (part), Olio su juta 1983, cm 100×120.

Si dice che Trochedda, Segnos Giaveri, iniziasse le sue prediche, tutte famose perché le faceva in sardo, con un richiamo fuori dai canoni dell’omiletica: “Eminas meas e omines de tottu sor diaulos[i]“.

Ci deve essere dell’invenzione nel tramandare questo senso dell’evangelizzazione del curato anche lui di campagna, quale poteva essere allora considerata Gorofai rispetto a Bitti. L’invenzione delle prediche è pure questa fondata, si fa per dire, sulla fissa di Trochedda per le donne.

Però Segnos Giaveri, teologo a suo modo, sapeva di quanto fosse popolato il mondo del diabolico e del demoniaco.

E di come questo, alla bisogna, potesse essere richiamato per esorcizzarlo.

Nel tragicomico e nel burlesco il romanzo popolare attinente alla sfera delle superstizioni e delle credenze, ne cataloga molti de diaulos. Tutti i cinque libri di Monsignor Calvisi che stiamo rieditando insieme a Diego Casu per Delfino ne sono popolati: Tentabis, Luzeddu, Correddu, Su Balente, Su Putincu, Satanassu, Berzebubbu, Menelicche, Paris suos, Istenne Lanas eccetera.

È un argomento che continua a risultare d’interesse. Il diavolo non si allontana mai dalle vicende degli uomini. Tra Carnevale e Quaresima, il tempo che stiamo attraversando, possono essere sistematizzati ancora oggi molti diavoli. Tutti temibili, pronti, nel villaggio globale a mettersi a servizio, a nascondersi soprattutto, a insidiare e attaccare per imporre la presenza del male.

Questi diavoli vanno ben oltre, come durata, come progetto, del Carnevale e della Quaresima tradizionali.

Nel 1977, la Olschki di Firenze pubblicò una ricerca di Giuliana Ruju sul “demoniaco nella zona di Lula”. Si tratta di un’ interessante ricognizione per conto dell’Istituto dantesco europeo. Sono 12 gli esseri demoniaci catalogati dalla Ruju.

1) Korvarju, nome simbolo per un inferno privato di fuoco. Anche là abitano i diavoli. Korvarju è letteralmente luogo di corvi, luogo di freddo da camposanto, di vento “impetuoso contro il quale tutti corrono al riparo delle proprie case in preda ad un’angoscia indicibile, mentre gli anziani gridano: Miskinéddu, korvàrju es colanne! Kissàe a kie atta toccare kusta vorta”.

2) Trullìo. “Ai piedi del monte Albo esiste un fossa profonda oltre centoventi metri, chiamata sa tumba de Nurài”, la tomba di Nurài. Trullìo, una specie di mostro, è sempre lì nei pressi, “in attesa di scaraventarci dentro qualcuno”. Sa tumba non dista molto da “su gùtturu de omines agréstes, la strettoia degli uomini selvatici, una gola impervia nascosta da fitti macchioni e quasi inaccessibile, dove scompaiono per sempre gli animali rubati e, talvolta, anche uomini”.

3) Mascatzu è “considerato dai pastori uno spirito malvagio sempre pronto a spaventare le greggi col suo apparire”. Recita un proverbio: “Er fughìu che berveche asséata, è fuggito come una pecora che sente odore di sego”.

4) Sekkentenne, “una specie di demonio che assomigliava ad una scimmia nera, con la coda e gli occhi rossi”. Faceva la guardia alle botti piene di vino in cantine e magazzini. Mai manchet Sekkentenne.

5) Su Portalaiu, il guardiano del varco. “A Lula non c’era una farmacia” e così bisognava andare a Bitti, quando si presentava un’urgenza”. Quattordici chilometri da fare a piedi. “D’inverno bisognava guadare il torrente di San Giovanni, d’estate bisognava stare attenti alle bisce, ai cani randagi e ai buoi impazziti per le mosche”. Su Portalaiu l’avevano inventato per vincere le insistenze dei bambini che volevano anche loro andare a Bitti insieme ai grandi. “Ti portiamo se riesci a baciare Su Portalaiu”: così si cercava di dissuadere. Ci voleva coraggio a basare Su Portalaiu. “Era descritto come un uomo molto brutto, sporco, vestito di cenci e con una grande bisaccia sulle spalle”. Molti fantasmi di quel tempo dell’infanzia li dipingevano così, appunto con la bertula in spalla per metterci dentro bambini e bambine discoli e disobbedienti. Su Portalaiu stava lì, nella linea di confine, ad aspettare.

6) Lebbéddu. Meglio non avere a che fare con Lebbéddu. Era il diavolo e tra le altre cose “amava trasformare in civetta Zicchinedda”, una donna baroniese di cui si era impossessato. “Il canto di Zicchinedda è ancora oggi interpretato come sinistro presagio di morte, su cantu de sa tonca”, il canto dell’assiolo.

7) Correddu, “diavolo cornuto” che usa “fare scherzi un po’ pesanti a chi non ha la coscienza del tutto tranquilla”. Quando assume sembianze femminili è Maria Corredda:“si pettina i lunghi cappelli, riuscendo a nascondere le sue corna piccole e aguzze, e se ne va in giro per il paese alla ricerca di qualche vittima da tormentare”. Maria Correda somiglia a

Maria Pettenedda, “conosciuta in tutta la zona della Barbagia”. Tra gli altri luoghi compare “presso il bosco di Santa Maria del mare, una chiesa diroccata di Orosei, dentro una specie di galleria”. È “una vecchia nana, scarmigliata e brutta, che cerca di attirare dentro il pozzo tutte le persone che vi si affacciano”, grandi e bambini. Durante la novena del Rimedio, travestita con il suo costume “de casta”, nobiliare, si mescola alla folla dei pellegrini e “cerca il posto più adatto per sotterrarvi delle bottiglie avvelenate”.

9) Maria Mangroffa, classica strega malvagia che “porta al collo, al posto della sciarpa, tante vipere e vive ad Orosei nella vecchia chiesetta di campagna di Santa Lucia”. Tutto fa tranne che del bene. Trasforma i biscotti in piperas, vipere, più propriamente in colovras, le bisce che “attirate dal tepore del sole, escono numerose spaventando donne e bambini”.

10) Su cane a battor okros, il cane a quattro occhi. Lo spavento muta in terrore davanti a questo demone. Terrore per i ladri, per gli abigei, per quanti “furbi come volpi, riuscivano a far man bassa di asini, maiali e specialmente pecore”. Il sogno più bello di molti pastori lulesi era quello di possedere un cane a battor okros da mettere a guardia dell’ovile.

11) S’Iskurtone, animale dalla “strana forma rotonda della grandezza di un piatto di portata, con la testa simile a quella del camaleonte. Appare raramente e soltanto alle persone che sicuramente devono morire”. Altrove S’Iskurtone o Iscultone o Iscultzone, ha lo sguardo pietrificante. Meglio non incontrarlo, non averci a che fare.

12) Su voe corror d’atzagliu, bue corna d’acciaio, erkitu, sempre il diavolo. Contro questo essere tremendo combatte nella notte su voe de s’orgolesu, un toro ribelle sceso dal Supramonte, un’anima buona. Ingaggia duello contro il diavolo sino all’alba, sino a quando non scompare la tentazione. Sempre la stessa. Ancora oggi, per combattere sa tentassone, l’attrazione all’abisso, è pur sempre valida la formula di imposizione delle ceneri sulla fronte, il primo mercoledì di Quaresima: “Memento homo quia pulvis es et in pulvem reverteris”, ricordati uomo che sei polvere e polvere tornerai. Lo chiamano ancora su mamentomo.

Il mondo della tradizione, Luzeddu lo ha riversato in digitale, trasformato, adattato per tessere le sue trame d’inganno.

Nella riforma del “Padre Nostro” voluta da Papa Francesco l’induzione al male, a Tentabis, trova parole giuste: E non abbandonarci alla tentazione.

 

Natalino Piras, dalla sua pagina fb, 19 gennaio 2025 

https://www.facebook.com/natalino.piras

Immagini: Nico Orunesu

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