Dieci, cento, mille Fernando Pessoa – 3

Seguono per Pessoa giorni esaltanti. Con gli amici Almada Negreiros, Alfredo Pedro Guisado e Mario de Sà Carneiro progetta la rivista Orpheu che deve essere portavoce delle varie tendenze letterarie del Modernismo portoghese, scrive più del solito, frequenta la redazione del giornale. E in ditta è adesso puntualissimo. Un giorno, passeggiando con un amico

si trova faccia a faccia con Maria. La donna gli lancia uno sguardo di fuoco, lui gira gli occhi dall’altra parte. L’amico se n’accorge, ma un’alzata di spalle di Pessoa gli tronca ogni domanda.
Qualche giorno dopo all’ingresso degli uffici della ditta Mayer Pessoa incontra una bella ragazza, che sta sta per essere assunta come traduttrice. Si presenta e Ophélia – così si chiama la ragazza- sentendo il suo nome mostra un acceso interesse per “un poeta così straordinario”. Pessoa compiaciuto raggiunge il suo tavolo, completa la corrispondenza e quando sta per andarsene incontra di nuovo Ophélia. Qualche complimento e un arrivederci della ragazza molto caloroso e pieno di promesse.

Passando dal solito caffé, Pessoa accenna agli amici di alcune liriche scritte da un poeta bucolico, Alberto Caeiro, che ha avuto occasione di leggere. Non ne condivide per nulla lo stile, il classicismo è per lui da buttare nella pattumiera, eppure è rimasto ugualmente colpito. Gli amici lo guardano sorpresi: un poeta ultramoderno, avanguardista e creatore di nuovi “ismi” ha forse delle nostalgie da liceo? Pessoa li rassicura, quindi li saluta. Spiega la sua fretta con un impegno urgente, gli amici ammiccando pensano a un impegno amoroso, ma Pessoa dice che deve incontrare dei personaggi dei quali si sentirà parlare presto. E conclude: “Lasciatemi andare, debbo ancora cambiarmi”.

A casa, mentre indossa lo smoking, Pessoa parla ad alta voce: “Ma sì, classico o no, Caeiro merita dei discepoli”. E con un sorriso ambiguo, quasi cattivo: “Magari futuristi, che non condividano nulla del suo stile. Sì, qualcuno dovrebbe essere proprio così”.
Passa nello studio, accende la lampada da tavolo e incomincia a sfogliare un pacco di schede. Mormora: “I discepoli…Chissà che fatica mettere a fuoco le loro attitudini, il loro passato, le loro parentele, le loro relazioni, i loro progetti…! Progetti che dovrei avere io per loro”.
Il monologo è interrotto da un vocio crescente: sono tanti uomini dagli incerti contorni che si spingono l’un l’altro, che premono per avvicinarsi a Pessoa. Anche loro visi sono resi indistinti dall’ombra. La luce bassa di un lume non li raggiunge.
Pessoa ha un moto di contrarietà: “Signori!”- rimprovera, invitandoli a rispettare la fila. Quindi, rivolto al primo: ”Venga avanti lei”. L’uomo si avvicina, mentre Pessoa sembra dare un’ulteriore occhiata alla prima scheda. Poi: “Dunque nato ad Oporto, 27 anni, laurea in medicina…Meno male, Caeiro con la sua tisi potrebbe avere bisogno di lei… Ha studiato dai gesuiti, educazione religiosa…”.
– Sì, Maestro, ma …
– E non mi chiami Maestro. Il suo Maestro è Caeiro. Ma cosa voleva dire con quel ma?
– Che la religiosità appartiene al passato. Adesso m’affascina il paganesimo, l’epicureismo di Orazio, leggo spesso le sue Satire. E poi ci sono i classici greci.
Pessoa ha un’espressione di disgusto:
– Segua pure, se crede, le orme di Caeiro. E vada subito via.
– E allora perchè mi ha creato?
– Non lo so, ma vada , non voglio neppure vederla in viso.
– Eppure sarà lei a scrivere le mie poesie, a darmi notorietà.
– Ma sarà lei, Ricardo Reis il responsabile, anche quando, – è già previsto -, emigrerà in Brasile. Le liriche avranno la sua paternità e già so che non mi piaceranno. Quindi vada via: E subito!
La sagoma di Ricardo Reis si allontana, mentre Pessoa passa all’esame di un’altra scheda. Legge e annuisce: “Venga avanti l’ingegnere navale Alvaro de Campos”. E commenta: “Niente inclinazioni classiche, ma tecnica, matematica, razionalità”.
L’ingegnere si avvicina. E Pessoa:
– Laureato …laureato a Glasgow, Scozia. Whisky…
– Che io non posso permettermi , dal momento che mi sta creando disoccupato.
– Come ingegnere, disoccupato solo come ingegnere navale, caro amico. Ma si faccia vedere bene.
Dalla penombra incomincia a prendere forma un’immagine evanescente, e alla fine emerge una figura alta, capelli neri e lisci divisi da un lato, il monocolo. Pessoa lo guarda in faccia, poi gli raccomanda di curare il suo abbigliamento, assicurandogli che si rivedranno presto e spesso. Quindi si rivolge alla moltitudine informe: “Adesso sono stanco. Ma restate pure. Ho bisogno di voi, di qualche traduttore, di alcuni filosofi, di un narratore, un pedagogo, un teosofo, vari poeti. Ma, se non sbaglio – e così dicendo sfoglia le schede – devo avere pensato a qualche enigmista …”.
– Infatti, signore – risponde un uomo mettendosi in piena luce.
– Bene, signor Grosse. Avremo occasione di conoscerci meglio.

( fine flask back )

Si torna nello studio di Monteiro, coi due giovani borsisti brasiliani che ascoltano affascinati, increduli, turbati.
– Ma è andata proprio così la “creazione”? E come si spiega: sogno, continuo sdoppiamento della personalità, schizofrenia? – chiedono.
Monteiro sfoglia le sue carte. “Ecco cosa scriveva Pessoa: “Ho creato in me varie personalità. Creo costantemente personalità. Ogni sogno, appena lo comincio a sognare, è incarnato in un’altra persona che inizia a sognarlo. Per creare mi sono distrutto”. E notate, amici, che lui considerava il sogno un fatto volgare, sì, volgare, perché – diceva – sognano tutti”.
– E lui sognava per tanti…
– O tanti per lui, se è lecito ipotizzare che la moltitudine dei Pessoa potesse servire anche a combattere l’immensa solitudine del Pessoa.
– Non me la sento di escluderlo. Sta di fatto che le sue creature erano vive e non dipendenti dal loro creatore tant’è che de Campos non esita a criticare Pessoa in una lettera del 4 giugno 1915 al direttore del “Diario de Noticias”. Personaggi che hanno contato tanto nella nostra cultura. Tutti in Portogallo e fuori le ritenevano vere e con loro Pessoa aveva un rapporto dialettico, forse provava persino gelosia per i loro successi.
– Ma erano i suoi successi.
– Sì e no. Sì, perchè era lui ad avere creato quei personaggi, direi quelle personalità. No, perché nel momento in cui componeva un’ode poniamo di De Campos, egli non era più Pessoa, ma De Campos. Cioè diventava un altro. Ora era un poeta, ora un filosofo, ora un autore di racconti gialli, ora un enigmista, ora un esperto di pratiche esoteriche…Direi che Pessoa ha avuto le vite degli innumeri personaggi da egli stesso create, e se si potessero sommare si arriverebbe a qualche migliaio di anni. Egli ha vissuto questa molteplicità e con essa non solo emozioni, credi, esperienze culturali spesso non condivise e addirittura avversate, ma persino le inclinazioni sessuali delle sue creature.
– Si riferisce a de Campos?
( flash back )
—–
Orazio Barrese

(segue)

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