Embargo militare verso Israele

Solidarietà alla Palestina: 98 premi Nobel, artisti e intellettuali chiedono un immediato embargo militare ad Israele (*)

APPELLO. Da Peres Esquivel a Brian Eno, da Rigoberta Menchù a Mike Leigh e Roger Waters: «Facciamo appello alle Nazioni Unite e ai governi di tutto il mondo ad adottare misure immediate per attuare un embargo militare totale e giuridicamente vincolante verso Israele, simile a quello imposto al Sud Africa durante l’apartheid».

«All’instaurarsi di un rapporto di oppressione, la violenza ha già avuto inizio. Mai nella storia la violenza è partita dagli oppressi. … Non ci sarebbero gli oppressi se non ci fosse stata prima una violenza per stabilire la loro sottomissione». Paulo Freire   

Israele ha ancora una volta scatenato tutta la forza del suo esercito contro la popolazione palestinese imprigionata, in particolare nella Striscia di Gaza assediata, in un disumano e illegale atto di aggressione militare. L’assalto in corso di Israele su Gaza ha finora ucciso decine di civili palestinesi, ne ha ferito centinaia e ha devastato le infrastrutture civili, compreso quelle del settore sanitario che sta affrontando gravi carenze.

La capacità di Israele di lanciare impunemente attacchi così devastanti deriva in gran parte dalla vasta cooperazione militare e compravendita internazionale di armi che Israele intrattiene con governi complici di tutto il mondo.

Nel periodo 2008–2019, gli Stati Uniti forniranno a Israele aiuti militari per un totale di 30 miliardi di dollari, mentre le esportazioni militari israeliane verso il mondo hanno raggiunto la somma di miliardi di dollari all’anno. Negli ultimi anni, i Paesi europei hanno esportato in Israele miliardi di euro in armi e l’Unione europea ha concesso alle imprese militari e alle università israeliane fondi per la ricerca militare del valore di centinaia di milioni di euro.

Le economie emergenti come India, Brasile e Cile stanno rapidamente aumentando il commercio e la cooperazione militari con Israele, nonostante il loro sostegno dichiarato per i diritti palestinesi.
Con l’importazione da e l’esportazione verso Israele di armi, insieme al sostegno allo sviluppo di tecnologie militari israeliane, i governi del mondo stanno effettivamente inviando un chiaro messaggio di approvazione per l’aggressione militare di Israele, compresi i suoi crimini di guerra e possibili crimini contro l’umanità.

Israele è uno dei principali produttori ed esportatori mondiali di droni militarizzati. La tecnologia militare di Israele, sviluppata per mantenere decenni di oppressione, è commercializzata quale «collaudata sul campo» ed esportata in tutto il mondo.

La compravendita di armi e i progetti congiunti di ricerca militare con Israele incoraggiano l’impunità israeliana nel commettere gravi violazioni del diritto internazionale e facilitano il radicamento del sistema israeliano di occupazione, colonizzazione e negazione sistematica dei diritti dei palestinesi.

Facciamo appello alle Nazioni Unite e ai governi di tutto il mondo ad adottare misure immediate per attuare un embargo militare totale e giuridicamente vincolante verso Israele, simile a quello imposto al Sud Africa durante l’apartheid.

I governi che esprimono solidarietà con il popolo palestinese a Gaza, il quale subisce il peso del militarismo, delle atrocità e dell’impunità israeliani, devono cominciare con l’interrompere tutti i rapporti militari con Israele. I palestinesi hanno bisogno oggi di solidarietà efficace, non di carità.

Le firme:

  1. Adolfo Peres Esquivel, Nobel Peace

  2. Ahdaf Soueif,

  3. Ahmed Abbas,

  4. Aki Olavi Kaurismäki,

  5. Alexi Sayle,

  6. Alice Walker,

  7. Alison Phipps,

  8. Andrew Ross,

  9. Andrew Smith,

  10. Desmond Tutu, Nobel Peace

  11. Ascanio Celestini,

  12. Betty Williams, Nobel Peace

  13. Boots Riley,

  14. Brian Eno,

  15. Brigid Keenan,

  16. Caryl Churchill,

  17. China Mieville,

  18. Chris Hedges,

  19. Christiane Hessel,

  20. Cynthia McKinney,

  21. David Graeber,

  22. David Palumbo-Liu,

  23. Eleni Varikas,

  24. Eliza Robertson,

  25. Elwira Grossman,

  26. Etienne Balibar,

  27. Federico Mayor Zaragoza,

  28. Felim Egan,

  29. Frei Betto,

  30. Gerard Toulouse,

  31. Ghada Karmi,

  32. Gillian Slovo,

  33. Githa Hariharan,

  34. Giulio Marcon,

  35. Hilary Rose,

  36. Ian Shaw,

  37. Ilan Pappe,

  38. Ismail Coovadia,

  39. Ivar Ekeland,

  40. James Kelman,

  41. Janne Teller,

  42. Jeremy Corbyn,

  43. Joanna Rajkowska,

  44. Joao Felicio,

  45. Jody Williams, Nobel Peace

  46. John Berger,

  47. John Dugard,

  48. John McDonnell,

  49. John Pilger,

  50. Judith Butler,

  51. Juliane House,

  52. Karma Nabulsi,

  53. Keith Hammond,

  54. Ken Loach,

  55. Kool A.D. (Victor Vazquez),

  56. Liz Lochhead,

  57. Liz Spalding,

  58. Luisa Morgantini,

  59. Mairead Maguire, Nobel Peace

  60. Marcia Lynx Qualey,

  61. Michael Lowy,

  62. Michael Mansfield,

  63. Michael Ondaatje,

  64. Mike Leigh,

  65. Mira Nair,

  66. Monika Strzepka,

  67. Naomi Wallace,

  68. Nathan Hamilton,

  69. Noam Chomsky,

  70. Nur Masalha,

  71. Nurit Peled,

  72. Paola Bacchetta,

  73. Phyllis Bennis,

  74. Prabhat Patnaik,

  75. Przemislaw Wielgosz,

  76. Rachel Holmes,

  77. Raja Shehadeh,

  78. Rashid Khalidi,

  79. Rebecca Kay,

  80. Richard Falk,

  81. Rigoberta Menchú, Nobel Peace

  82. Robin D.G. Kelley,

  83. Roger Waters,

  84. Robin Yassin-Kassab,

  85. Roman Kurkiewicz,

  86. Ronnie Kasrils,

  87. Rose Fenton,

  88. Sabrina Mahfouz,

  89. Selma Dabbagh,

  90. Geoffrey Bindman,

  91. Slavoj Zizek,

  92. Sonia Dayan-Herzbrun,

  93. Steven Rose,

  94. Tom Leonard,

  95. Tunde Adebimpe,

  96. Victoria Brittain,

  97. Willie van Peer,

  98. Zwelinzima Vavi

(*) pubblicato oggi sul quotidiano “il manifesto”.

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

3 commenti

  • MI SEGNALANO ANCHE QUESTO
    di Piergiorgio Odifreddi
    (qualche giorno fa su “Repubblica.it”)

    Gli ingenui si erano illusi che le vuote parole e i vuoti gesti, scambiati in Vaticano qualche settimana fa dai rappresentanti israeliani e palestinesi su invito del pubblicitario Francesco, sarebbero serviti a qualcosa. Com’era evidente alle persone di buon senso, per risolvere i problemi della dannata Terra Santa invece ci voleva ben altro, che recitare giaculatorie in tre lingue e piantare alberelli nel giardino del Papa.
    Ben diversa cosa erano gli incontri di Camp David, che più volte nei decenni passati hanno pur portato a qualche misero risultato. E la diversità stava nel fatto che i presidenti statunitensi, da Carter a Clinton, facevano seguire alle pubbliche azioni pubblicitarie pour épater les bourgeois, cioè a uso e consumo dei media e del pubblico, private pressioni concrete, cioè economiche e politiche, sulle parti in reciproca causa.
    Naturalmente, né Carter e Clinton allora, né Obama ora, hanno avuto il coraggio, la capacità e (forse) la possibilità di compiere l’unica azione non dimostrativa ed efficace che potrebbe imporre la pace in Medio Oriente: obbligare Israele a seguire gli stessi standard di civiltà e di diritto che le Nazioni Unite impongono alle altre nazioni, quando esse superano i confini della legalità e della decenza.
    E invece, finora, nessuno sembra far nulla di concreto per fermare l’imposizione della legge del taglione. Che nel dettato biblico richiedeva il saggio tit for tat, “pan per focaccia”, della moderna teoria dei giochi: cioè la ritorsione paritaria dell’occhio per occhio, e del dente per dente. Ma che nell’interpretazione odierna dello stato di Israele significa, almeno per ora, cioè nel momento in cui scriviamo, vendicare il rapimento e l’uccisione di tre israeliani con l’uccisione non di tre (1 a 1), o di trenta (10 a 1), ma di centoventi (40 a 1) palestinesi, il ferimento di altri settecento, il bombardamento dei bambini e dei civili nelle città, e la probabile occupazione militare della striscia di Gaza.
    Naturalmente, dal governo di destra dura e pura espresso dalla coalizione tra il Likud di Netanyau e il Beytenu di Lieberman non ci si poteva aspettare niente di diverso: anzi, si può facilmente immaginare che l’incidente dei tre israeliani rapiti sia stato accolto e colto come un pretesto per scatenare quello che Edward Said chiamava un “pogrom antipalestinese”, ricordando il triste contrappasso della storia che ha portato i palestinesi a diventare le “vittime delle vittime”.
    Dal laburista Peres e dal democratico Obama, nei loro rispettivi ruoli di presidenti israeliano e statunitense, invece ci si sarebbe potuti aspettare di più: molto, molto di più. Il resto del mondo, e forse anche il Papa, sembra distratto dai campionati del mondo di calcio. E nel frattempo, la Palestina brucia per l’ennesima, ma certo non per l’ultima, volta.
    Ps. (17 luglio) Dopo una settimana di bombardamenti i morti palestinesi sono saliti a 220, l’80% dei quali civili, e i feriti a migliaia. L’esercito israeliano ha iniziato l’invasione della striscia di Gaza. Non si registrano misure di alcun genere nei confronti di Israele da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, o di altri stati democratici del pianeta.
    Pps. (20 luglio) I bombardamenti nella sola Sajaya oggi hanno fatto 100 morti, tra cui decine di bambini e donne. Il conto totale è salito a 469 palestinesi e 18 israeliani. Dopo tre giorni di invasione gli sfollati e i sentatetto nella striscia di Gaza sono 80.000. Il governo israeliano ha annunciato che l’attacco militare sarà esteso “per garantire agli israeliani di vivere in sicurezza”. Il governo statunitense ha dichiarato che “sostiene” queste misure e queste stragi.

  • Mi sembra interessante questa lettera di Gian Marco Martignoni (pubblicata anche su «Varese News»)

    Egregio direttore, ogni conflitto in corso nel mondo – dall’Ucraina all’Iraq, dalla Siria alla Palestina, dalla Libia all’Afghanistan – si è sviluppato per ragioni economiche e geopolitiche dopodichè la propaganda imperialista americana, mediante le sue agenzie informative, ha diffuso e diffonde di volta in volta la versione degli avvenimenti bellici più consona agli interessi della superpotenza dominante e della cerchia delle nazioni a essa subalternamente alleate.
    Se era difficile immaginare che Hamas avesse ucciso i tre coloni israeliani, ora che il corrispondente della Bbc Jon Donnison ha rivelato quanto dichiaratogli dal portavoce della polizia israeliana Micky Rosenfeld, si tratta di comprendere le ragioni della brutale aggressione, denominata «Barriera protettiva», scatenata da Israele nei confronti dei palestinesi di Gaza.
    Come ha ben chiarito Manlio Dinucci su «il manifesto» del 15 luglio è a partire dall’operazione Piombo Fuso del 2008 che nel mirino israeliano vi è la questione dell’estrazione di 30 miliardi di metri cubi di gas naturale di un giacimento, Gaza Marine, collocato nelle acque territoriali palestinesi.
    La formazione del governo di unità nazionale tra Hamas e Fatah il 2 giugno 2014 ha determinato oggettivamente la possibilità che l’accordo fra Palestina e Russia voluto da Abu Mazen per lo sfruttamento di quel giacimento (unitamente a quello petrolifero nella città di Ramallah in Cisgiordania) veda l’affidamento operativo alla società russa Gazprom.
    Ciò naturalmente contrasta con la logica di appropriazione di quelle risorse da parte di Israele, mentre gli Usa non gradiscono che la Russia riprenda un suo ruolo nel Medio Oriente, dopo che Putin l’anno scorso è riuscito nell’impresa di impedire l’intervento armato in Siria.
    Pertanto l’operazione militare criminale scatenata da Israele ha come obiettivo il controllo e la sovranità sulla striscia di Gaza, mediante lo sradicamento scientifico dei palestinesi da quel territorio con la distruzione degli insediamenti urbani e delle infrastrutture, nonché al prezzo di un elevato numero di vite umane. Soprattutto nel momento in cui l’Egitto del presidente Al Sisi ha compiuto una virata politica decisamente anti-palestinese.
    In questo quadro non solo è legittima la resistenza di Hamas e dei palestinesi, a fronte di un’occupazione militare che perdura da oltre 60 anni, ma occorre ribaltare la «fabbrica del consenso», per usare le parole di Noam Chomsky, praticata dalla neo-lingua imperialista: Hamas non è un’organizzazione terroristica, semmai siamo in presenza di uno Stato terrorista, che è perseguibile non da oggi sul piano internazionale per gli atroci crimini di guerra commessi. Infatti, come recita l’appello internazionale di 98 premi Nobel, artisti e intellettuali «bisogna che le Nazioni Unite e i governi di tutto il mondo adottino misure immediate per ottenere un embargo militare totale e giuridicamente vincolante verso Israele, simile a quello imposto al Sud Africa durante l’apartheid» .
    Eloquentemente l’appello pubblicato da «il manifesto» del 22 luglio ha come fondamentale premessa questa frase del pedagogo brasiliano Paulo Freire: «All’instaurarsi di un rapporto di oppressione, la violenza ha già avuto inizio. Mai nella storia la violenza è partita dagli oppressi. Non ci sarebbero gli oppressi se non ci fosse stata prima una violenza per stabilire la loro sottomissione».

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