Esseri umani cercasi

Un racconto di Giuseppe Callegari

È un giorno di inizio aprile. Sto facendo la mia passeggiata tardo-pomeridiana con il cane quando incontro un ragazzo con la pelle scura, probabilmente un asiatico, che sta spingendo uno scooter. I nostri sguardi si incrociano, ma nessuno dice nulla. Poco più avanti Midì, il mio cane ex randagio, si ferma per annusare e il ragazzo ci raggiunge e mi chiede dove possa trovare un distributore perché è rimasto senza benzina. Gli dico che Rivalta dista circa tre chilometri indicandogli la strada. Ci risalutiamo, faccio pochi metri e gli offro la mia bicicletta, ma prima deve portare a casa la mia lupetta. Quando arriviamo posteggia lo scooter e mentre gli consegno la bici ”partorisco” l’idea di accompagnarlo in macchina.

Si avvia e cerca di salire dietro, dove il sedile è testimone dell’esistenza del mio cane, e si stupisce quando lo “obbligo” a sedersi accanto a me.

Durante il breve tragitto scopro che viene dal Pakistan a cui associo immediatamente Rawalpindi, la ex capitale, e la squadra di hockey su prato. Mi chiede speranzoso se sono stato nel suo Paese, che ha cose bellissime, e io lo deludo un po’ rispondendogli che mi piace la geografia e amo lo sport.

Poi mi guarda e domanda: “Tu sei straniero?”, confermando il mio sospetto di non essere morfologicamente un esemplare di pura razza padana. Alla mia risposta negativa accompagnata da un “perché me lo chiedi?”, dichiara: “Perché tu parli con me”.

In quel momento mi accorgo che sul sedile posteriore si è accomodato Charles Bukoswki, il quale è ancora alla disperata ricerca di tracce di umanità e sentenzia amaramente: “Passai accano a duecento persone e non riuscii a vedere un solo essere umano”.

Redazione
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