«Fino al cuore della rivolta»

Un bilancio del Festival che si è tenuto a Fosdinovo fino al 20 agosto scorso.

di Angelo Maddalena

Per me è stata la seconda volta…fino al cuore della rivolta! Ma il festival a Fosdinovo c’è ogni estate dal 2004. Dura circa dieci giorni ed è campeggio, osteria diffusa nel piazzale e lungo il viottolo laterale, tutti sotto le pergole e al centro di tutto c’è il Museo audiovisivo della resistenza, forse unico in Italia nel suo genere: con i volti dei partigiani che raccontano l’epopea di quegli anni che ci hanno permesso di diventare una Repubblica libera e indipendente da poteri oppressivi e dittatoriali.

Il salone del museo, nei giorni del festival, diventa punto di appoggio e possibile bivacco per i pochi che non hanno la tenda. Il flusso di partecipanti si intensifica a partire dalle ore 17, quando iniziano le conferenze con i relatori sul patio del Museo e gli uditori nel prato di fronte, alcuni seduti all’ombra di un castagno. Nella mattinata un gruppo di collaboratori pulisce e riordina lo spazio dove hanno transitato centinaia di persone o forse anche più di un migliaio, mentre i concerti e gli spettacoli si svolgono sul palco nel retro del Museo, con una platea che contiene alcune centinaia di sedie poste sul pendio erboso, con un effetto anfiteatro.

Alcuni si siedono per terra sotto gli alberi del bosco. Bobo Rondelli è ospite fisso, il 17 agosto di quest’anno si è esibito in uno spettacolo esilarante e con più grinta rispetto all’anno scorso, quando aveva accusato una condizione di salute precaria. Prima di lui Maurizio Maggiani e Alberto Prunetti hanno duettato sul tema “La classe operaia non va in paradiso?”.

All’ora di pranzo alcuni volontari e artisti ospiti per un po’ di giorni condividono il pranzo. C’è un clima di convivialità e di accoglienza raramente rintracciabili in altri festival, ci si sente un po’ come in famiglia, perché una base di collaboratori che stanno in cucina tornano ogni anno e quindi io ho ritrovato Vittorio dell’ANPI di Vercelli e altri che sono lo zoccolo duro operativo. Alessio Giannanti, storico della letteratura, è il perno della macchina organizzativa, aiutato dalla moglie Simona e dalla sorella Anna Lisa che cura la parte della libreria sotto il gazebo davanti il Museo. C’è anche Rachele, di Venezia, ad aiutare Anna Lisa, io sono stato accolto anche quest’anno come libraio errante della Malanotte, la nostra etichetta di autoproduzioni e narrazioni dal basso.

Ragazzi e ragazze giovani dei dintorni e da lontano, un gruppo di trentenni collabora per lo spazio del bar che c’è vicino all’aera concerti, tra cui Asia, Giacomo e altri. C’è un equilibrio non facile da trovare tra militanza e vacanza, visto il periodo agostano in cui si svolge il festival. Quest’anno, a differenza dell’anno scorso, sono stato a fare il bagno in una pozza del fiume sotto Tendola, insieme a Massimo, fedelissimo di Prato, solidale con gli operai del collettivo di fabbrica dell’ex GKN, lo avevo incontrato anche l’anno scorso.

C’è anche Eric Gobetti, storico torinese, autore, tra gli altri, del libro E allora le foibe?. Una delle volontarie più attive e assidue è Emma, trent’anni, sempre pronta ad accogliere e a offrire la sua disponibilità. La penultima sera c’era il Banco del Mutuo Soccorso che ha concluso il concerto sotto qualche goccia di pioggia, e prima ancora si erano esibiti la Casa del vento, sono band da quarant’anni sulla scena.

Il cantante della Casa del vento ha ringraziato gli organizzatori del festival perché danno spazio a loro e ad altri gruppi e non solo a “cavalli vincenti”. In realtà, a chi guarda con un po’ di disincanto, la maggior parte dei gruppi e degli artisti che si esibiscono riflettono, in un certo qual modo, una difficoltà di investire nel ricambio generazionale. Ci sono dei gruppi di giovani che si esibiscono ma tutti o quasi dopo mezzanotte, nel piccolo spazio davanti il Museo, davanti alle poche decine (a volte poco più di una decina) di persone rimaste, di solito di età inferiore ai 40 anni, a volte amici dei musicisti. Una dimensione insolita è quella di alcuni artisti o relatori che rimangono qualche giorno ospiti e a volte, come quest’anno Eric Gobetti, collaboratori in cucina.

L’anno scorso c’era Alessio Lega che, dopo un suo concerto, è rimasto al festival per almeno tre giorni; io ero rimasto qualche giorno dopo aver cantato una mia canzone sul palco di Bobo Rondelli, invitato da lui prima dell’inizio del suo spettacolo. Queste sono possibilità rare in festival come questo che accoglie migliaia di persone, quindi riuscire a mantenere una dimensione di “familiarità” non è così scontato, inoltre è interessante la convivenza quotidiana per qualche giorno tra gli artisti che rimangono qualche giorno e anche lo scambio informale tra questi e i partecipanti al festival.

Quest’anno, infine, per motivi di maltempo, il Festival si è chiuso un giorno prima, il 20 agosto, quindi il concerto dei “99 Posse” previsto in seconda serata del 21 agosto e lo spettacolo dei “Pupi di Zurfaru”, previsto in prima serata, sono stati rinviati al 24 agosto.

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