Fra populismo, decisionismo & rabbie ……

… ovveeo  Giorgio Chelidonio rielabora un’intervista con Nadia Urbinati

«La guerra è persa, la rabbia è rimasta»: con questo titolo,

 

in una recente intervista (1) Nadia Urbinati (docente di Scienze politiche alla Columbia University di New York) (2) delinea un complesso quadro delle interazioni fra crisi delle società occidentali, populismo, decisionismo, globalizzazione e i recenti fatti della periferia romana. Vi si evidenzia come la crescente tensione (non solo nelle periferie) riveli come il «compromesso tra lavoro e capitale» – quello che, dopo la seconda guerra mondiale, ha accompagnato la nascita delle democrazie europee – si stia sbriciolando. In altre parole, minando lo stesso «contratto sociale», da decenni reso precario da «l’individualismo di massa», una vera e propria assurdità evolutiva per i sedicenti figli dell’Homo sapiens. A questo proposito pare utile ricordare come Konrad Lorenz (3) abbia definito la «menzogna collettiva» (praticata dal marketing globalizzato) come incompatibile per la sopravvivenza stessa dell’umanità.
Proseguendo la sua analisi, Nadia Urbinati mette in relazione la globalizzazione con la caduta del Muro di Berlino, dimensione rappresentativa di un mondo segnato da precisi confini che impedivano all’imprenditoria capitalistica di accedere, nel quarto o quinto mondo, alle forze-lavoro a costo zero, come già aveva fatto con il colonialismo nazionalistico. «Entro a quei confini» però «era rinata la democrazia, creando benessere, controllo e l’esercizio del potere democratico», quindi una ricerca attiva di «equilibrio tra le classi». Parafrasando il «libera volpe in libero pollaio» – un detto recentemente citato da Serge Latouche – un mondo senza confini è difficile da governare con il diritto e, ancor più, coltivarvi l’eguaglianza: vi prevale l’idea asociale del dover competere con altri lavoratori (cinesi o del sud est asiatico) privi di diritti sociali e sindacali.
Nella tendenza attuale gli Stati stessi sono succubi, finanziariamente e ideologicamente, delle Banche centrali e dei mercati finanziari, le cui decisioni non sono orientate al benessere dei cittadini dei loro stessi Stati, ma al «profitto per pochi e l’impoverimento per molti. In nome della stabilità monetaria, della diminuzione dei tassi d’interesse». Questo perché mentre, come già detto, chi possiede solo la propria capacità lavorativa non può esercitare un reale controllo democratico in un mondo senza confini «la finanza e le grandi multinazionali senza confini ci vivono benone e non hanno nè Stati nè patrie». Insomma quello che un tempo si definiva capitalismo puramente speculativo e apolide, in cui «come diceva Montesquieu, basta un despota per governare la grande Asia». I nuovi despoti sono «la finanza e le grandi corporation ….le nuove signorie di questo nuovo medioevo», mentre i cittadini possono solo giocare a fare i «consumatori …, piccoli azionisti di questi nuovi poteri». Accettandosi dunque come sudditi, resta solo il «bisogno di dare sfogo alla nostra rabbia», confinata negli spazi in cui ci resta possibile: «il pianerottolo, la vita sotto casa, il quartiere, luoghi in cui il nemico diventa il vicino di casa, l’immigrato, il musulmano, il rom».
Conseguentemente, ai governi, più o meno democraticamente eletti, resta da gestire un populismo debole e ambiguo, speculare al dover sempre accontentare le corporation. Perciò la «contrazione dei diritti» diventa la nuova ideologia, plasmata per «convincerci che quelli non sono diritti ma privilegi e che chi ha diritti è il nemico dei disoccupati». La tendenza diventa quindi «rendere tutti precari», sottoposti «solo a criteri di profitto», ovviamente elitario, succubi anche culturalmente di leadership decisioniste, ciecamente appoggiate da maggioranze di cittadini illusi di «poter scambiare condizioni materiali dignitose,….a spese della libertà politica, della divisione dei poteri» e quindi minando le basi stesse di una democrazia controllata, egualitaria, condivisibile e perciò condivisa.
Passando a tematiche italiane, gli intervistatori chiedono alla professoressa Urbinati del cosiddetto “Partito della Nazione” di ispirazione renziana, che a suo avviso sottintende «la visione di una società senza conflitti, in cui ognuno deve accettare il proprio ruolo e stare al proprio posto», cioè l’ennesima riedizione di «una politica di ordine, in cui chi reclama qualcosa in più è da combattere, perché non accetta lo stato delle cose», equivalente a «un autoritarismo blando, poco aggressivo, seducente» e che «si nutre della mistica della decisione veloce». Siccome «il dispotismo vive di ideologia dell’immediatezza» – la stessa predicata in decenni di intrattenimento teledipendente – in una situazione di crisi globale (che il «New York Times» ha definito come «la terza guerra mondiale combattuta senza armi») accade che «in guerra non si fanno domande, non si pongono questioni. In guerra i diritti sono privilegi. La richiesta di chiarimenti è sabotaggio». Dal micro al macro, esattamente come mi è stato recentemente riferito che, a Roma, a una giovane insegnante è stata rifiutata l’assunzione motivando che, nei colloqui, aveva fatto troppe domande!

Da ultimo viene chiesto a Nadia Urbinati «che differenza c’è, per lei, tra conflitto e rabbia?». Credo valga la pena riportarne la risposta per esteso : «Il conflitto politico è mediato. Devi convincere le persone, dar loro la visione e la speranza di un futuro migliore. La rabbia, invece, è legata al tuo bisogno “qui e ora” e non protesa al futuro. Non aspetti un futuro migliore: solo vuoi che i rom se ne vadano dal tuo quartiere, che i musulmani stiano a casa loro, che i vecchi cedano la pensione ai giovani»,

Non a caso, proprio in queste conclusioni riecheggia il nuovismo renziano affiorato qualche giorno fa in questo blog parlando di «Nigeria, ambiente e petrolio» (4), di cui riporto testualmente la frase conclusiva: a quanto pare, vale anche in Nigeria quanto sostenuto di recente dal nostro premier  a sostegno dell’Eni, «Aspettiamo le indagini e rispettiamo le sentenze, ma non consentiamo a uno scoop di mettere in crisi dei posti di lavoro o a un avviso di garanzia citofonato sui giornali di cambiare la politica aziendale di un Paese» (Matteo Renzi, Camera dei deputati, 15 settembre 2014)».


Links utilizzati:

  1. http://www.linkiesta.it/nadia-urbinati-intervista-rabbia – 16/11/2014
  2. http://it.wikipedia.org/wiki/Nadia_Urbinati
  3. Lorenz K., 1985: “Il declino dell’uomo”, Mondadori.
  4. http://danielebarbieri.wordpress.com/2014/11/16/il-prezzo-del-petrolio4/ e (http://www.carmillaonline.com/2014/11/14/prezzo-petrolio4/#fn22-18720

 

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