Frammenti di inchiesta nella Bolognina meticcia

di Federico Antibo  (*)

Da almeno un paio d’anni a questa parte, nel vortice dell’indignazione mediatica e degli spauracchi da salotto buono, si è fatta spazio, a suon di martellamento, la categoria di un nuovo soggetto sociologico: il «maranza». Per televisioni e giornali, da quelli locali alle reti nazionali, è in atto un vero e proprio assalto, arrembaggio, un’invasione barbarica di queste orde di delinquenti ai danni delle nostre città. […]

Con questo primo stralcio di inchiesta non ci si vuole porre l’obiettivo metodologico di riempire tale sagoma; semmai proprio l’opposto, tentare di allargarne i bordi. […]

L’inchiesta proposta non si arroga in alcun modo il diritto di “parlare per”: nè le è proprio un carattere apologetico o idolatrante, tutt’altro: de-universalizzare la figura del maranza: provando a mettere al centro sogni e contraddizioni di persone concrete, piuttosto che cliche di personaggi romanzati.

A tale scopo, serve innanzitutto specificare il campo di ricerca, particolare e non assoluto, prima di lasciare spazio alle testimonianze raccolte.

Contesto

Aggrappato con solo due ponti ai fitti porticati e ai colori pastello del centro-storico felsineo, si sviluppa alle spalle della Stazione Centrale il quartiere della Bolognina. Un’area operaia nata in seguito al piano regolatore del 1889, appena fuori dalle vecchie mura della cittadella bassomedievale ma abbastanza scissa dagli sfarzi di via Farini per rappresentare un mondo a margine: la linea ferroviaria taglia, infatti, ogni pretesa di continuita territoriale e sociale tra le due zone, imponendo inevitabilmente un davanti e un dietro con cui fare i conti. […]

Esiste un sottosopra, un mondo parallelo alla Stranger Things, diviso ma univoco, che emerge e scompare in uno iato composto di violenza.

Tanta è l’efferatezza della marginalizzazione, altrettanta è la rabbia di chi ha fame di esistere. La – così definita – Battaglia di piazza San Francesco per Ramy, le manifestazioni oceaniche e determinate per la Palestina, le occupazioni di scuola proclamate esplicitamente sull’insopportabilità di quell’istituzione oppressiva e normativa, la forte ondata di lotte per la casa e le mobilitazioni dentro i magazzini della logistica… sono tutti eventi che parlano (anche) della necessità di affermazione, di protagonismo – politico e prepolitico – esplicitata da soggetti con background migratori: in una molteplicità non riducibile a Uno, ciò che li accomuna è la medesima sospensione tra le maglie del razzismo istituzionale.

E’ in questo contesto che negli scorsi mesi ha preso vita un’inchiesta composta da diverse interviste, collettive e individuali, delle quali di seguito sono riportati alcuni frammenti. Fuori dalle squallide inquadrature da safari televisivo, i e le “regaz” delle corti popolari della Bolognina, giovani e giovanissime, ci raccontano di gabbie da spezzare e sogni da conquistare, puntando alle stelle.

Frammento I

E niente, io mi sento figlio di una generazione che era obbligata ad avere vergogna della sua storia, della sua lingua. A scuola ci chiedevano se parlavamo italiano in casa, ci insegnavano che portare avanti le nostre culture e la nostra religione non andava bene, per che qua dovevo integrarmi e prendere nuove tradizioni. Dovevamo avere vergogna di noi.

I nostri genitori hanno sempre cercato di tenere un basso profilo e di stare in silenzio, io vedevo la vergogna negli occhi dei miei genitori che tornavano a casa stanchi dopo tantissime ore di lavoro sottopagate, anche senza contratto, e provavano a dedicarti quel poco di tempo che avevano, con i vestiti ancora sporchi. Non bastava mai il lavoro che facevano. Quindi, a una certa… dopo anni che li vedi così ti chiedi perché, se tutti hanno qualcosa, allora io non posso averla… e te la prendi praticamente, se non te la danno. Quindi per esempio se oggi abbiamo frivolezze, cose di cui tutti possiamo fare a meno, tipo andare in discoteca ogni fine settimana o fare aperitivo con gli amici, è per questo. Ti chiedi perché se tutti possono farlo, tutti vanno a sciare, vanno in montagna, perché noi non possiamo andarci, non possiamo fare niente di tutta questa attività. Che colpe abbiamo?

E quindi inizi a prendere anche tu queste cose, quello che riesci, come abbiamo visto anche nella musica emergente di adesso. Tipo tutti che ascoltiamo Baby Gang, Neima e Simba La Rue: non è semplicemente per celebrare l’individuo in se, anzi… ma perché è la prima volta che qualcuno racconta le nostre realtà per quelle che sono, senza romanticizzarle e senza esagerarle, perché è davvero quello che viviamo, è davvero la merda che viviamo. Volevo dire che dopo tutti gli anni in cui cercavamo di integrarci e di tenere un basso profilo, adesso abbiamo capito che non serve. Dopo anni in cui ci siamo vergognati di portare i vestiti di seconda mano, di non comprare le scarpe di marca eccetera… è per questo che abbiamo bisogno di comprare la tv a 50 pollici e le scarpe di marca, così da sentirci un po’ che anche noi possiamo prenderci quello che vogliamo. […]

Ah devo aggiungere una cosa riguardo gli artisti di seconda genera zione. Sono stati una manna dal cielo, letteralmente, perché prima non eravamo rappresentati. […]

Ma anche prendendo in esempio una barra che diceva Baby Gang nel pezzo Alcott Zara Bershka, diceva: «eravamo tutti poveri ma ben vestiti, eravamo vestiti bene dalla testa ai piedi e a me non stava bene che io non avevo e tu avevi»

Frammento II

Volevo dire che siamo tutti incazzati per la situazione di Ramy. Volevo dire che non c’e odio solo da ragazzi immigrati, magari ragazzi di seconda generazione, ma anche dai quartieri perché non è normale che un ragazzo che gira in scooter, va bene, non c’avrà la patente – ma saranno pur sempre i cazzi suoi – venga ammazzato così. Nulla vale più di una vita. Lo Stato continua sempre a cacciarci, parla di cazzate, fa parlare dei razzisti di merda, perché non capiranno mai che significa essere fermato solo per il tuo colore della pelle, per come ti vesti, per come ti poni, per come sei. E lo vivo io in primis anche perché quando mi fermano, anche a me la prima cosa che chiedono e il permesso di soggiorno: e se non ce l’hai addosso, ti rompono il cazzo, perchè dicono «ah, però dovresti averlo sempre appresso», tu dici «no, io ho paura di perderlo, poi chi e chi me lo ripaga?». Perché il permesso di soggiorno costa anche e devi aspettare molto per richiederlo, perché tanto la Questura ha i suoi tempi e di te se ne sbattono ii cazzo.

Io me lo son vissuto un episodio di razzismo quando lavoravo con una azienda che installava condizionatori: eravamo a casa di ‘sta signora, della signora Maria, e il collega mi dice «dai zingaraccio, muoviti da davanti alla signora Maria». E tu cosa fai? Stai zitto, perché sei in uno stage di scuola-lavoro, tanto non vieni pagato, se ti fai male sono i cazzi tuoi… come i tanti morti, cioè come i tanti studenti morti nel PCTO, lo dimostrano. Ricordiamolo. […]

Lo vediamo quando andiamo a fare la spesa, che non riusciamo a permetterci le cose di marca, e mangiamo con la Caritas. Ci dobbiamo vergognare di quello che mangiamo, ma anche dei vestiti che portiamo, che sono sempre di seconda mano, condivisi tra fratelli, perché la nostra unione ci manda avanti e ci rende sempre piu forti, perché non abbiamo bisogno di voi: ciò che facciamo lo facciamo per noi, con noi e tra di noi, e punteremo sempre più in alto, punteremo alle stelle e ci prenderemo tutto.

Frammento III

La gente vede in noi persone soltanto da schedare, da cacciare, da definire, come dire, cittadini di serie B, ecco, quasi. Quindi non fa altro che fermarci, controllarci e vedere anche se siamo in regola e addirittura scandalizzarsi se siamo in regola o se addirittura possediamo la cittadinanza italiana. La polizia intendo. Quindi alla fine noi siamo orgogliosi di essere figli di immigrati, di avere una provenienza multietnica. Siamo stanchi oltretutto di essere rappresentati da persone, da classi politiche che ci spiegano come noi dovremmo comportarci e di come dovremmo integrarci, anche se onestamente io non sopporto questa parola, come se dovessimo essere lì e accettare i loro dettami all’interno di una società che addirittura ci distanzia. E quindi siamo stanchi di stare in silenzio. Come direbbero i PNL, il duo rap francese di origine algerina, loro volevano «il mondo o niente, il mondo o niente». E quindi noi siamo qui per restare. […]

Post Scriptum

Come gia indicato, la breve – e prima – inchiesta appena terminata non è da intendere in quanto storyboard di un personaggio piatto e caricaturale, ma tenta di mettersi a servizio di una necessità politica: approfondire lo spazio-tempo coloniale delle nostre metropoli in divenire, per sovvertirlo. […]

(*) Liberamente tratto dalla rivista «TeiKo – L’enigma dell’organizzazione»: il testo è stato ridotto a meno della metà e si è chiesta l’autorizzazione a pubblicare questo frammento per invogliare alla lettura integrale su www.euronomade.info/16775-2/.

 

Redazione
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