Gaza. Restiamo umani

recensione di Bruno Lai al libro di Vittorio Arrigoni (manifestolibri, 2009-2011) con la postfazione di Ilan Pappe

 

Quando il 27 dicembre 2008 inizia «l’attacco genocida israeliano contro Gaza» (parole dello storico Ilan Pappe, ebreo israeliano), ovvero l’operazione “Piombo Fuso”, Vittorio Arrigoni è l’unico italiano rimasto nella Striscia. Il suo blog “Guerrilla Radio”, attivo già dal 2004, diventa il più seguito nel nostro paese: «un punto di riferimento decisivo in Italia per coloro che cercavano un’affidabile fonte di verità su quanto accadeva in Palestina» (Maria Elena D’Elia).

Vittorio Arrigoni è un attivista del’ISM, “International Solidarity Movement”, nonché giornalista che collabora con diverse testate, tra cui “il Manifesto”. Israele l’ha inserito in una “black list” di indesiderati: Arrigoni «era stato arrestato, picchiato selvaggiamente e poi forzatamente rimpatriato. Vittorio era un uomo fisicamente forte, abituato da anni alle tecniche di difesa non violenta che caratterizzano tutto l’attivismo ISM». (M. E. D’Elia). Non gli permettono di tornare a Gaza via terra. Allora ci torna via mare, con due temerarie imbarcazioni del “Free Gaza Movement”, che portano volontari internazionali, aiuti alimentari e medicinali alla popolazione gazawi. Spesso la navi da guerra israeliane intercettano gli aiuti umanitari in mare aperto, «in piene acque internazionali», e impediscono l’arrivo degli aiuti a Gaza. Ma qualche volta le imbarcazioni umanitarie riescono ad eludere la sorveglianza ed a portare aiuto ad una popolazione bisognosa.

Quando comincia l’operazione “Piombo Fuso”, Vittorio Arrigoni la racconta quotidianamente, praticamente “in diretta”, negli articoli che scrive per “il Manifesto” ed attraverso il suo seguitissimo blog “Guerrilla Radio”, e con tutti gli altri strumenti che ha a disposizione a Gaza, sotto i bombardamenti.

L’antefatto, però, lo racconta Ilan Pappe nella sua “Postfazione” al libro: «Nel 2004, l’esercito israeliano ha iniziato a costruire una finta città araba nel deserto del Negev. Ha le dimensioni di una vera città, con strade, tutte con i loro nomi, moschee, edifici pubblici e automobili. Costruita con una spesa di 45 milioni di dollari, questa città fantasma è stata utilizzata come un vero e proprio manichino di Gaza nell’inverno del 2006». L’aggressione contro Gaza, presentata come risposta a qualche razzo Qassam lanciato da miliziani di Hamas, è stata meticolosamente preparata. Le “Forze di Difesa Israeliane” (IDF) considerano Gaza un “obiettivo militare”, «una città fittizia dove i soldati possono sperimentare le armi più avanzate». Il potente esercito israeliano, secondo Pappe, vuole rafforzare il proprio prestigio dopo la sconfitta subita nel sud del Libano nel 2006.

Le esercitazioni effettuate nella finta città del Nagev servono a preparare l’assalto a Gaza, «che fu brutalmente aggredita con una potenza che normalmente viene utilizzata da parte di eserciti convenzionali per affrontare brigate di carri armati e divisioni di fanteria in aperti campi di battaglia, e non certo in uno spazio urbano e rurale abitato. Gaza – prosegue Pappe – è anche diventata il campo di sterminio dove provare armi sperimentali, l’uso delle quali è severamente vietato dalla comunità internazionale ed è considerato un crimine di guerra».

«Quando si ha la potenza di fuoco e nessuna inibizione morale a massacrare i civili, si ottiene la situazione cui ora stiamo assistendo a Gaza». Lo storico Ilan Pappe, ebreo israeliano ed autore di libri importanti, come La pulizia etnica della Palestina (Fazi Editore, 2008). o 10 miti su Israele (Tamu, 2022), esplicita un’altra premessa dell’operazione “Piombo Fuso”, più psicologica: la “disumanizzazione” dei palestinesi. La “disumanizzazione” serve a costruire il consenso della società civile, non soltanto israeliana, intorno alle aggressioni militari israeliane. «I palestinesi sono stati talmente disumanizzati dagli ebrei israeliani […], che la loro uccisione appare naturale, come la loro espulsione nel 1948 o il loro imprigionamento nei territori occupati». E questo processo funziona non soltanto con gli ebrei israeliani, ma anche con parte dell’opinione pubblica internazionale: i leader politici occidentali «non sono in grado di vedere la connessione diretta tra la disumanizzazione sionista dei palestinesi e le politiche barbare di Israele a Gaza». Questo processo di “disumanizzazione” dei palestinesi, secondo Ilan Pappe, è strettamente collegato ad «un’ideologia malvagia destinata a coprire le atrocità umane»: il “sionismo”. Pappe ne auspica la condanna da parte della comunità internazionale. «Dobbiamo cercare di spiegare non solo al mondo, ma anche agli stessi israeliani, che il sionismo è un’ideologia che appoggia la pulizia etnica, l’occupazione e ora anche massicci massacri».

Negli articoli raccolti in questo volume, Arrigoni descrive soprattutto la tragedia umana a cui assiste a Gaza, mentre dà una mano a soccorrere i tanti, troppi feriti. Fin dall’inizio di “Piombo Fuso”, l’aggressione è devastante. Il 27 dicembre 2008, primo giorno, il pacifista italiano scrive: «Siamo a 210 morti accertati finora, ma il bilancio è destinato a crescere. Una strage senza precedenti. Hanno spianato il porto e raso al suolo le centrali di polizia». Arrigoni si lamenta del fatto che “l’operazione” venga presentata come “chirurgica” dall’esercito israeliano, come se fosse possibile colpire soltanto «le basi terroristiche di Hamas», e che i media occidentali diano per buona questa versione e la rilancino in modo acritico. Gli ospedali di Gaza sono colmi di morti e feriti civili, non di miliziani di Hamas! «Gaza è il posto al mondo a più alta densità abitativa, per cui se bombardi a diecimila metri di altezza è inevitabile che tu faccia una strage di civili». Già dal primo giorno le bombe colpiscono anche una scuola elementare.

La strage si abbatte su di una popolazione in gran parte di giovani, molti erano poliziotti. «Ho visto molti cadaveri in divisa nei vari ospedali che ho visitato. Molti di quei ragazzi li conoscevo. […] La maggior parte erano giovani, sui diciotto vent’anni, per lo più non schierati né con Fatah né Hamas: semplicemente si erano arruolati in polizia una volta finita l’università, alla ricerca di un posto di lavoro sicuro in una Gaza che sotto il criminale assedio israeliano vede più del 60% della popolazione disoccupata. […] Non ho visto terroristi tra le vittime, ma solo civili e poliziotti. […] Non hanno mai sparato un colpo verso Israele, né mai lo avrebbero fatto, perché non era quella la loro mansione. Si occupavano di dirigere il traffico e della sicurezza interna, tanto più che al porto siamo ben distanti dai confini israeliani».

La strage di civili innocenti prosegue brutale nei giorni successivi. Le operazioni militari, viste da vicino, non sono affatto “chirurgiche”: «In questi giorni sono stato testimone oculare di bombardamenti sopra moschee, scuole, università, ospedali, mercati, e decine di edifici civili». Nei testi di Vittorio Arrigoni traspare anche lo sdegno verso «l’immobilismo e l’omertà dei governi occidentali complici di fatto dei crimini di Israele». Morti e feriti palestinesi, per le strade della Striscia di Gaza, vengono trasportati sulle poche ambulanze e su tanti mezzi di trasporto poveri, di fortuna: «All’ospedale Al Awda di Jabalia ho visto confluire cadaveri e feriti non su ambulanze, ma sopra carretti di legno trainati da animali. Carri armati, caccia, droni, elicotteri apache, il più grande e potente esercito del mondo in feroce attacco contro una popolazione che si muove ancora sui somari come all’epoca di Gesù Cristo». Israele sostiene che la finalità dell’attacco è di colpire Hamas, ma fa strage di civili innocenti, di tanti bambini. «Secondo “Al Mizan”, un centro per i diritti umani, al momento in cui scrivo [30 dicembre 2008] sono 55 i bambini coinvolti nei bombardamenti, 20 gli uccisi e 35 i gravemente feriti. Israele ha trasformato gli ospedali palestinesi in tante fabbriche di angeli, non rendendosi conto dell’odio che fomenta non solo in Palestina, ma in tutto il mondo».

Nonostante l’orrore quotidiano di cui è testimone, e nonostante la sua profonda amicizia per il popolo palestinese, “Vik” rimane lucidamente contrario all’uso della violenza, soprattutto contro i civili. «Come pacifista e non violento aborro qualsiasi attacco di palestinesi contro israeliani, ma qui siamo arcistufi di ascoltare la cantilena secondo la quale questa strage di civili sarebbe la risposta d’Israele ai lanci dei modesti “razzi” palestinesi. Per inciso, dal 2002 a oggi [1° gennaio 2009] i Qassam hanno prodotto 18 morti in Israele, qui sabato [27 dicembre 2008] in una manciata di ore di civili morti negli ospedali ne abbiamo contati più di 250».

Arrigoni sa bene di rischiare la vita, lui come gli altri volontari dell’ISM. «Non ce ne andiamo, perché riteniamo essenziale la nostra presenza come testimoni oculari dei crimini contro l’inerme popolazione civile ora per ora, minuto per minuto. Siamo a 445 morti [3 gennaio 2009], più di 2.300 feriti, decine i dispersi. Settantatré, al momento in cui scrivo, i minori maciullati dalle bombe. Finora Israele conta tre vittime in tutto». Le armi israeliane non si fermano neanche davanti alle ambulanze: vengono ammazzati anche medici e infermieri che soccorrono i feriti. La propaganda israeliana è in netto contrasto con la realtà: «All’innocente gente di Gaza: la nostra guerra non è contro di voi ma contro Hamas: se non la smettono di lanciare razzi voi siete in pericolo». Così recita una registrazione che i gazawi ascoltano se rispondono al telefono. «Le bombe colpiscono quasi esclusivamente obiettivi civili» e nella Striscia non esistono luoghi sicuri: anche le scuole delle Nazioni Unite, dove si erano rifugiate tantissime famiglie, vengono colpite duramente. Vengono usate anche bombe al fosforo bianco e “Cluster bombs”, armi vietate dalle convenzioni internazionali. Ma non sarebbe del tutto esatto parlare di “crimini di guerra”. «Questa, infatti, non è una guerra, perché non ci sono due eserciti che si danno battaglia su un fronte: è un assedio unilaterale condotto da forze armate (aviazione, marina ed esercito) fra le più potenti del mondo, sicuramente le più avanzate in fatto di tecnologia militare, che hanno attaccato una misera striscia di terra di 360 kmq, dove la popolazione si muove ancora sui muli e dove c’è una resistenza male armata la cui unica forza è quella di essere pronta al martirio».

La strage ha proporzioni immani, i soldati israeliani non rispettano ospedali, scuole, moschee, colpiscono perfino le attività delle Nazioni Unite. Il 9 gennaio 2009 Vittorio Arrigoni scrive: «Per bocca di John Ging capo dell’Unrwa (Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi), le Nazioni Unite hanno annunciato la sospensione delle loro attività umanitarie lungo la Striscia. Ho incrociato Ging negli uffici dell’agenzia di stampa Ramattan e l’ho visto sdegnato agitare il suo indice accusatorio contro Israele davanti alle telecamere. L’Onu cessa le sue attività a Gaza dopo che due dei suoi operatori sono stati uccisi ieri, beffa ha voluto durante tre ore della solita tregua che Israele ha annunciato e non ha rispettato. “I civili di Gaza hanno a disposizione 3 ore al giorno per cercare di sopravvivere, i soldati israeliani le restanti 21 ore per cercare di sterminarli” – ho sentito Ging dichiarare a due passi da me».

Vengono colpiti senza pietà anche gli edifici che ospitano i principali media arabi ancora attivi nella Strascia. Chi racconta quel che succede dà fastidio. L’indignazione è evidente, al cospetto dell’indifferenza internazionale, ma anche di fronte all’arroganza criminale di Israele. «All’ospedale Al Shifa ieri sono andato a trovare Tamin, reporter sopravvissuto a un bombardamento aereo. Mi ha spiegato come secondo lui Israele sta adottando le stesse identiche tecniche terroristiche di Al-Qaeda: bombarda un edificio, attende l’arrivo dei giornalisti e dei soccorsi, quindi fa cadere un’altra bomba che fa strage di questi ultimi. A suo avviso è per questo motivo che si sono registrate molte vittime fra i paramedici e i reporters, gli infermieri attorno al suo letto acconsentono».

Perfino i funerali diventano un obiettivo dei bombardamenti israeliani. Ciò nonostante, Vik mantiene ferma la sua posizione: auspica che Israele venga fermato con mezzi pacifici, come accadde al Sudafrica dell’apartheid, ai tempi di Nelson Mandela: «Allora non boicottare quel regime di apartheid fu considerato un po’ come esserne complici, cosa cambia oggi? Come me, la stragrande maggioranza dei palestinesi, non crede che la miglior risposta all’occupazione israeliana e a questo massacro in corso siano gli attentati, i kamikaze e i razzi Sderot. Il boicottaggio è pacifista, non violento, la migliore risposta umanamente accettabile all’imbarbarimento di un conflitto che rende disumano ogni gesto».

«I leaders sudafricani della lotta contro il regime d’apartheid, Mandela, Ronnie Kasrils e Desmond Tutu affermano che l’oppressione israeliana contro i palestinesi è di gran lunga peggiore di quella del Sudafrica, voci senz’altro più autorevoli di Frattini e Fassino. Diversi ebrei israeliani si sono uniti alla campagna di boicottaggio, circa 500 finora, fra i quali Ilan Pappe e Neta Golan, sopravvissuti all’Olocausto che gridano “mai più”». Arrigoni riporta l’appello del docente universitario Haidar Eid, che invita tutti gli italiani a non acquistare i prodotti “made in Israel”. Si possono riconoscere dal codice a barre: sono contraddistinti dalle cifre iniziali “729”. In rete si trovano i siti dei movimenti di boicottaggio con la lista completa dei prodotti da non acquistare per non essere complici dei crimini di Israele.

La feroce aggressione di Israele contro la Striscia di Gaza può essere considerata una forma di legittima difesa, in risposta ai deboli razzi lanciati da miliziani di Hamas? Vittorio Arrigoni non ha dubbi: No! A chi imputa «ad Hamas la responsabilità di questo genocidio in quanto trasgressore della tregua tra Israele e Palestina» Vik risponde così: «vorrei ricordare la posizione delle Nazioni Unite. Il professor Richard Falk, relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha espresso idee chiare in proposito: Israele ha di fatto rotto la tregue in novembre sterminando bellamente 17 palestinesi. Nel mese di novembre si erano registrate zero vittime israeliane, zero vittime come in ottobre, come nel mese precedente e in quello precedente ancora. Lo ha ricordato recentemente anche l’ex presidente Usa premio Nobel Jimmy Carter».

Quali risultati avrebbe portato questo orrendo massacro per Israele? Hamas è stata sconfitta? «A parte un paio di leader assassinati, Hamas non ha risentito di questa offensiva, non ha certo perso consensi, semmai ne ha guadagnati», scrive amaro Arrigoni. Perché, allora, tanta violenza contro civili innocenti? «Quando domando ai palestinesi un parere sul reale obiettivo di questo brutale massacro, molti rispondono che secondo loro è in funzione delle elezioni israeliane del febbraio prossimo (10 febbraio 2009 ndr.). “Fanno propaganda sulla nostra pelle, è sempre stato così alla vigilia di ogni elezione”».

Il bilancio finale dell’aggressione israeliana è tragico: secondo i dati dell’ONG Palestinian center for human rights, le vittime palestinesi sono 1.285, di cui almeno 895 civili, 280 bambini, 111 donne. Sono state distrutte scuole, università, ospedali, depositi di medicinali, due scuole delle Nazioni Unite, assassinati ben quattro dipendenti ONU. Migliaia di famiglie palestinesi hanno perso la casa, mentre i miliziani delle brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato di Hamas, hanno resistito all’avanzata dell’esercito di occupazione israeliano uniti ai guerriglieri marxisti del Fronte Popolare ed ai martiri di al-Aqsa di Fatah. Dalla parte israeliana sono 10 circa i morti dell’esercito di occupazione. «Fortunatamente solo 4 vittime civili israeliane».

Tutti gli articoli di Vik si concludono con lo stesso auspicio, diventato una sorta di “firma”: «Restiamo umani».

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