Il meglio (forse) del blog – 28

andando a ritroso nel tempo (*)

LA SKUOLA E LE SUE CUGINE, MIO FIGLIO, IL CEM

«Appena puoi vattene. Scappa: da Imola, dalla scuola, dall’Italia» ho detto a mio figlio un paio di settimane fa. Ma forse è il caso che vi racconti un poco meglio.

Mio figlio si chiama Jan (un’altra volta vi spiegherò perché). Visto che Jan recupera un anno perso, parlavo con lui di scuola, di $cuola, di skuola e di squola. Gli ho detto: «sono d’accordo – per i due anni in uno – ma vorrei dirti tre cosettine sulla scuola che si scrive con la k e le sue cugine, quella scritta con la q,  l’altra con iniziale a dollaro e magari anche sulla vera scuola– che vi sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa? – che tu ancora non hai incontrato se non alle medie e in un paio di prof capitati, evidentemente per caso, nell’orrido liceo (delle scienze sociali) che hai frequentato, ma forse dovrei dire subìto, negli ultimi anni».

Voi che leggete codesto blog, forse state pensando: «a noi che ce frega delle chiacchiere che db fa con suo figlio?». Ma forse vi sbagliate a preoccuparvi perché io – siore e siori – non vado a dilungarmi su questioni private ma sto per raccontarvi una storia che riguarda genitori, figli, dinosauri, pirati, fuggitivi e resistenti nonché (scusate se dico parolacce) gelmini e tremonti, insomma che può interessare tutte e tutti noi; perciò sbagliate ad andarvene prima della fine, almeno aspettate i pop corn. Naturalmente, fate come vi pare e non spingete. Grazie al pubblico rimasto: come si diceva una volta mi rivolgo a tutti, compagne/i, amici amiche e persino gentili avversari.

Dunque dicevo a Jan: «Ti ricordi che quand’eri piccolo giocavamo alle gabbie?» – cioè io lo imprigionavo con gambe e braccia (uh, povera schiena mia) e lui doveva fuggire -. «Bene» gli ho detto: «prima possibile devi scappare. Recupera l’anno, se vuoi, finisci il liceo ma poi corri, vattene. Rompi la gabbia. Va all’estero, almeno per un po’. A studiare, a lavorare, ad annusare, a innamorarti, a pensare… Via da questa Italia di merda, da questa che chiamano scuola ed è quasi sempre solo un addestramento all’ignoranza e alla viltà. E via pure dai tuoi genitori sì, che sono noiosi, che stanno sempre a dirti com’era bello il ’68 e il ’77… come se fosse colpa tua se il tempo passa, tutto cambia (in Italia quasi sempre in peggio) e solo Andreotti-Nosferatu resta per sempre uguale». Pausa. «Sia chiaro Jan che non mi voglio liberare di te e anzi sarò tristissimo di non vederti. Ma è proprio perché ti voglio bene che dico: vattene dall’Italia, via dalle aule che odi e da quei professori che confessano il loro fallimento e la loro ignoranza quando bisbigliano ai genitori: “strano, i ragazzi migliori del liceo sono quelli che hanno il peggior voto in condotta”. Una frase che da sola li condanna. Una frase che era già vecchia e stupida quando i brontosauri brucavano».

I tuoi racconti scolastici, i tuoi libri che sfoglio, gli incontri che ho avuto con il preside ciellino e con i/le prof (salvo un paio di eccezioni tutte persone che sarebbero bruttine per meschinità in tempi normali ma che risultano ributtanti nell’era della Gelmini) mi hanno ricordato perché anch’io odiavo la scuola e i/le docenti – salvo un paio di meravigliose eccezioni – e in definitiva perché ho fatto il ’68.

Quando avevo l’età di Jan io ho conosciuto tre luoghi-istituzioni dove parcheggiare i giovani, si diceva per farli studiare. Il primo era la $cuola dove quel dollaro indica che solo i ricchi venivano trattati bene con i/le prof a dare il meglio (o più probabilmente: il meno peggio) di loro per insegnare qualcosa ai figli e alle figlie “di papà”. La seconda era la Skuola con la K del Ku KluxKlan: razzista e classista, fascista o fascistoide, autoritaria perché incapace di essere autorevole. Infine c’era la squola, questa democristiana più che fascista: ignorante oltre che tetra. Ero piccolo e poco esperto, presuntuoso e un po’ teppista ma solo leggendo un po’ di giornali e qualche libro, frequentando un cineclub e la strada ne sapevo sempre più di quei quattro caproni (o caprette) in cattedra; e volendo – le rare volte che volevo – li costringevo a darmi un 8 o un 9 in qualunque materia perché io sapevo di cosa si stava parlando e loro di solito no.

Quando ho conosciuto «Lettera a una professoressa» scritto dai ragazzi di Barbiana (cioè dagli allievi di don Milani) era il 1967: proprio come mio figlio stavo recuperando un anno per bocciature, nel mio caso dovute a (gravi) episodi di «indisciplina». Fu un totale feeling con i ragazzi di Barbiana: anche se non ero figlio di contadini, la pensavo come loro su tutto e avevo 100 volte detto, fra me e me, «professoressa sei una puttana, ti vendi a chi paga di più». Quel libro bisognerebbe leggerlo anche oggi: perché con pochi cambiamenti (forse solo aggiungendo a operai e contadini gli immigrati) è purtroppo tutto rimasto uguale. O meglio tornato. Perché dopo il ’68 qualcosa per un po’ cambiò, perché alcune/i di noi ribelli fecero i prof, perché i rapporti di forza (anche culturali) nella società erano cambiati, perché il vento soffiava forte. Ma poi loro – padroni e relativi servi con i servi dei servi cioè i peggiori – si ripresero. O noi mollammo, chissà (ne ragioneremo un’altra volta). E uno dei risultati fu che la scuola ridiventò, salvo eccezioni, un incrocio fra il cesso, una caserma e una barzelletta. Un merito che non mi sento di attribuire alle sole destre e a Casini (detto «ora son qua, ora son là – con chi meglio mi pagherà»): per rendere la scuola più tetra e inutile, di nuovo autoritaria e classista, addirittura incapace di educare (persino il minimo, vorrei dire l’abc) molto si sono sforzate le sedicenti sinistre. E chi lo nega è cieco o bugiardo.

Ma continuo a scrivere che ci sono eccezioni e di questo ho cercato di parlare a Jan e su questo – siore e siori, gentile pubblico qui convenuto che mi onora della sua attenzione pur dopo 100 righe circa – vorrei dire altre 4 (d’accordo: 600) parole.

Quel che mi dispiace rispetto a mio figlio – ma in generale rispetto a tutte/i coloro che sono giovani – è non essere io abbastanza bravo da mostrare che comunque una scuola (senza dollaro, senza q, senza k) può esistere. Anzi esiste. Che si può imparare divertendosi, partendo dalle esperienze, rispettando le persone. Che persino dentro quella roba che oggi s/governa la Gelmini ci sono alcune/i prof che riescono, nonostante tutto, a far capire quanto è bello, urgente, importante – e dunque necessario – studiare.

Dieci giorni fa sono stato al convegno del Cem, il Centro di educazione alla mondialità dei saveriani. Attenzione, plin-plon, luce rossa: ho detto saveriani cioè missionari, non guevaristi, non anarco-trozkisti, non seguaci di Thomas Sankara o dell’indigeno pazzo che ha voluto una Costituzione dove fossero contemplati i diritti della Madre Terra. Missionari. Il tema del convegno (e il percorso che per un anno la rivista «Cem mondialità» va ad affrontare) era tosto: ruotava intorno a coraggio, responsabilità, cittadinanza e con un bell’«Adesso» ad aprire invitava subito a passare «Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale» dove glocale (parola difficile ma necessaria) significa sapersi muovere nel locale ma con un occhio sul globale e/o viceversa. Del convegno magari vi parlerò un’altra volta ma il centinaio di pazze/i che era lì è uscito con la conferma (o la scoperta: per i novizi) che imparare è appunto bello, importante, urgente, necessario e che è tutt’altra roba da Gelmini ma anche dall’idea che il centro-centro-centro-centro-sinistra ha sull’insegnare e sull’apprendere, sui saperi, sula responsabilità, sui diritti.

Adesso qualcuna/o di voi magari sta pensando: «ecco il solito manicheo Barbieri, tutto beeeeeeeeeeeeello al Cem? Nessuna ombra?». Ma sì, difetti e limiti ci sono: io ne vedo alcuni e altre persone ne scoprirebbero di più. Ma c’è vita, entusiasmo, cultura e coraggio cioè 4 parole che se vengono pronunciate in una classe “normale” sono una presa per il culo.

Sabato e domenica scorsi sono stato invece al seminario «Corpo a corpo» organizzato da Monica Lanfranco e da altre femministe. Mi scusi Barbieri, lei ha detto femministe? Quelle con i baffi? Esattamente, quelle baffute. Una giovane presente ha ricevuto il messaggio (ironico o prevenuto?) da un’amica: «dimmi in quante hanno i baffi» e ha risposto «tre», perché in effetti c’erano (in ordine alfabetico) Andrea, Kashif e io, tre maschi infiltrati e ben accetti fra una cinquantina di femministe. Della ricchezza di questo incontro spero di aver presto l’occasione di raccontare ma qui lo cito solo per dire che come al convegno Cem (eppure sono luoghi assai differenti e per certi versi non comunicanti) molto abbiamo imparato … anche divertendoci.

E ancora, ancora, ancora. Se avessi tempo questo week end galopperei ad ascoltare Susan George ma anche Gianni Mattioli, Gianni Tamino e Marcelo Barros a Città di Castello (ne ho accennato sul blog) oppure agli incontri di Novellara e Correggio (idem). Poi a fine mese volerei al training delle Pbi, le Brigate di pace internazionali, un altro modo di imparare…. a vivere – e lottare – nei conflitti ma senza violenza. Voglio dire che anche in questa brutta Italia ce ne sono tanti di luoghi dove si incontra una vera scuola, quel che io penso sia una scuola.

Allora forse l’altro giorno ho sbagliato tutto – come in quella vecchia canzone («O cara moglie») – e avrei dovuto invece dire a mio figlio: «vattene, scappa via, lontano da questa scuola di merda in questa Italia di merda… oppure scova l’altra scuola e lì gioca, ridi, arrabbiati, impara, insegna e preparati a lottare».

(**) Un po’ perché 5600 articoli sono tanti e (nonostante i “santi” tag) si rischia di perdere la memoria dei più vecchi. E un po’ perché nel pieno dell’estate qualche collaborazione si liquefà e occorre cercare post per non star fermi, quando altre/i invece continuano a regalare i loro contributi a codesto blog. Per queste due ragioni ho deciso – d’intesa con la piccola redazione – di recuperare un certo numero di vecchi post… con l’unico criterio di partire dalla coda ma valutando quali possono essere più “attuali”.

Il “meglio” è sempre soggettivo: in questo caso è inteso a ritrovare soprattutto semi, ponti, pensieri perduti… meglio se accompagnati – talvolta capita – dalla bella scrittura, l’inchiesta ben fatta, la riflessione intelligente.

Ci sarà fantascienza (il Marte-dì canonico), ci saranno le «scor-date», ci sarà di tutto un po’: con le firme più varie, stili assai differenti e quel misto di serietà e ironia che – noi speriamo – ci caratterizza in questo blog “collettivo”. (db)

Redazione
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