L’ unico russo buono è un russo morto

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L’Europa dal welfare al warfare – Tommaso Di Francesco

Non solo non usciamo dalla guerra, ma la sua agenda diventa sempre più onnivora e si allarga come del resto avviene sul campo di battaglia. Il voto di ieri dell’Europarlamento che ha approvato la relazione della Commissione europea denominata Asap (Act to Support Ammunition Production) dice che i governi nazionali potranno impegnare a man bassa fondi già destinati dal Pnrr (Il Piano di Ripresa e resilienza) per l’avvio del Next generation Eu e indirizzarli invece direttamente sul riarmo.

Si può dire che questa scellerata decisione era attesa, visto che nessuna delle leadership europee si pone il problema di come fermare il disastro della guerra russo-ucraina e visto che l’unica prospettiva, emersa anche ieri dal vertice internazionale in Moldavia, è l’ingresso dell’Ucraina nella Nato – come se questo non precipitasse ancora di più nella voragine la crisi ucraìna: alla criminale guerra di Putin si risponde con la guerra atlantica. Nessuno avverte che la soluzione non si trova in più armi e più guerra, garanzia di ulteriore morte e distruzione.

Ma il voto di ieri, che tace e insieme allontana anche la prospettiva di un cessate il fuoco e di un negoziato, è particolarmente grave. Perché all’ordine del giorno non c’era nemmeno l’invio di armi sì oppure no – su cui gli interrogativi dopo un anno e tre mesi di guerra sono aumentati: ci si poteva pure dividere all’inizio dell’invasione russa su questo, ma ora che gli arsenali con i tanti invii si sono vuotati è chiaro che questo vuol dire solo accettare la politica di riarmo che i governi stanno imponendo ai vari Paesi; e poi non c’era forse anche dentro il Pd un’area significativa che chiedeva che le armi da inviare dovessero essere solo di difesa, mentre ora la guerra dilaga in Russia? Tant’è: la deterrenza nucleare è finita e non fa a quanto pare più paura la ripetuta minaccia atomica che incombe. No. Ieri l’Europarlamento ha votato sì all’’autorizzazione ad un prelievo forzato, ad una distrazione di fondi che non è prevista nemmeno dai Trattati europei.

Che impediscono di finanziare con soldi comunitari le industrie militari nazionali. Perché l’Europa fin qui ancora – ma fino a quando? – è segnata dai fondamenti della sua costruzione che allontana le ragioni della guerra ricordando la tragedia di due guerre mondiali. Stavolta infatti la decisione presa è quella di attingere, per la produzione di armi, ai fondi destinati alle Regioni per sostenere le politiche sociali, il lavoro e il diritto allo studio, l’ambizione ambientalista della transizione ecologica e, dopo tre anni di pandemia, il nuovo, ineludibile, assetto della sanità, in più l’attenzione al dramma delle migrazioni epocali e al diritto d’asilo. Ecco perché anche le neosegretaria del Pd Elly Schlein ormai ripete che «non sarà l’ultimo fucile a porre fine a questa guerra». Ieri Schlein e tutto il gruppo Pd erano per emendamenti contrari, ma alla fine il voto è stato di 10 a favore all’Asap, 4 astenuti e uno contrario. Una spaccatura: il Pd resta sospeso anche sulla guerra.

La decisione di ieri dell’Europarlamento mette in discussione tutto: sia il fatto che nuovo armamento può essere prodotto utilizzando fondi che erano destinati a migliorare la vita delle persone dopo le costrizioni da pandemia, sia i fondamenti stessi dell’Unione europea.

L’indirizzo è chiaro, visto che la prospettiva è quella di una guerra di anni se non infinita, l’obiettivo praticato è passare dal welfare al warfare

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Nuovo gravissimo attacco del regime di Kiev ad un giornalista italiano: siamo tutti Andrea Lucidi! – Clara Statello

Siamo tutti Andrea Lucidi! Il giornalista Andrea Lucidi è stato inserito nella lista nera di Mirotvoretz. “Ho visto il mio nome citato in un articolo del “centro per la comunicazione strategica”, organo del governo ucraino controllato dal ministero dell’informazione e della cultura di Kiev. Dopo aver visto questo articolo sono andato a controllare Mirotvoretz ed ho scoperto di essere stato inserito, probabilmente a fine maggio scorso”, spiega in una nota inviata a l’AntiDiplomatico.

Andrea è un caro amico, un collega e un compagno nella nostra battaglia per la libertà di pensiero e stampa, per la pace e contro la propaganda bellica di Kiev e della NATO. Non è possibile scrivere di lui senza menzionare la sua grande umanità, l’umiltà con cui si è avvicinato alla causa dei popoli del Donbass e la dedizione con cui dà loro voce. Un profondo senso di giustizia lo ha spinto lo scorso dicembre a Lugansk e si è subito legato visceralmente a questa piccola coraggiosa repubblica che resiste da nove anni ad una guerra tremenda, una guerra che non ha trovato spazio nella nostra “stampa libera”. Gli è stato riconosciuto un accredito di giornalista ed ha iniziato a documentare quei fatti e quelle opinioni con cui l’Occidente non può e non vuole confrontarsi.
Ha mostrato i corpi dei civili giustiziati nei block post ucraini, i condomini utilizzati come punti di fuoco dalle forze armate di Kiev, le camere di tortura dei sotterranei del palazzo dell’SBU e della famigerata biblioteca, l’aeroporto di Mariupol adibito a quartiere generale delle forze di sicurezza e dei battaglioni banderisti. Ha mostrato le fosse comuni di civili negli ex territori ucraini ed il dolore dei parenti delle vittime.

Ma soprattutto Lucidi ha dato voce alle vittime della repressione ucraina post-Maidan, agli ex-prigionieri di quelle carceri, alle donne del Donbass che indicavano chiaramente il loro nemico: il governo di Kiev, non Mosca.

Con il suo lavoro non ha svelato delle Verità, contrariamente ai nostri media che etichettano le voci critiche come “Putinversteher“ .  Piuttosto ha mostrato la realtà nella sua complessità ed proprio questa complessità che la propaganda ucraina e NATO ha la necessità di semplificare nel dogma “c’è un aggressore ed un aggredito”. E’ questo il suo crimine ed è questo che gli è valso l’inserimento nel database di Myrotvoretz.

E’ in buona compagnia, assieme a personalità del calibro di Roger Waters, Steven Seagal, Scott Ritter, e tra gli italiani la video maker e scrittrice Sara Reginella. Sono finiti nel famigerato elenco dei nemici dell’Ucraina per aver documentato la guerra in Donbass dal punto di vista dei “filorussi” o per aver criticato il governo di Kiev o ancora aver promosso la pace. Spicca anche il nome dell’ex europarlamentare Eleonora Forenza, ricercata dai “pacificatori ucraini” dopo aver portato aiuti umanitari ai bambini di Donetsk e Lugansk con la Carovana Antifascista, nel 2017.
Cos’è Myrotvoretz

Molto cinicamente il nome Myrotvoretz in italiano è traducibile come “il pacificatore”. Tuttavia la black list creata nel 2014 e promossa da Anton Gerashenko, co-fondatore e successivamente consigliere del Ministero degli affari interni dell’Ucraina, non ha proprio nulla a che vedere con la pace. Il database contiene i nomi, le foto e dati personali (come indirizzo, numero di telefono o passaporto) dei “nemici dell’Ucraina”, che vengono inseriti nella lista sulla base di delazione. Nel sito compare una apposita scheda per denunciare qualsiasi persona ritenuta ostile al governo di Kiev.

Ben in vista nella home page, accanto alla scritta Myrotvoretz, appaiono in chiaro le località geografiche di Varsavia, in Polonia, e Langley, in Virginia, negli Stati Uniti, la stessa città dove si trova il quartier generale della CIA, l’intelligence statunitense.

Il centro raccoglie e diffonde i dati non solo dei “separatisti”, ovvero gli ucraini anti-Maidan, o di politici e militari russi, ma anche di cittadini di ogni nazionalità, giornalisti e personaggi pubblici. Myrotvoretz costituisce un rischio per la sicurezza di queste persone e dei loro familiari, sottoposti ad una gogna mediatica e dunque possibili target di azioni di odio e violenza da parte di nazionalisti o fanatici. Alcuni nomi che compaiono nella lista sono segnati con una X perché sono state uccise. Tra questi c’è il fotoreporter italiano Andrea Rocchelli. E’ dunque legittimo supporre che l’eliminazione dei “nemici dell’Ucraina” sia uno degli obiettivi di Myrotvoretz.

Questo modus operandi non ha nulla a che vedere con lo Stato di diritto o con la democrazia, piuttosto la delazione e il linciaggio pubblico caratterizzano le dittature fasciste e gli Stati di polizia.

Pensavamo fossero democratici invece sono delatori

“La data di inserimento su questo infame database è praticamente contemporanea ad un attacco squadrista che ho ricevuto sul mio profilo twitter ad opera dei vari account “NAFO”. Tra l’altro su twitter sono stato attaccato addirittura da due professori universitari, Luca Lanini, dell’Università di Pisa, che mi ha scritto: “Fun fact: la durata della vita media dei collaborazionisti nei territori temporaneamente occupati dalla dittatura fascista e genocida del Cremlino è più breve rispetto a quella dei loro coetanei che non hanno tradito. ” e Daniele Zuddas, dell’Università di Trieste, che mi definiva un “obiettivo legittimo per l’Ucraina”, prosegue Andrea Lucidi nella sua dichiarazione.

Nelle ultime settimane, infatti, non solo lui, ma anche Vincenzo Lorusso di Donbass Italia, così come altri canali Telegram che si occupano di controinformazione (compreso quello della scrivente), sono stati bersaglio di azioni coordinate di squadrismo dei cosiddetti NAFO, i sedicenti troll pro-NATO che imperseverano su Twitter e Facebook. Oltre alle personalità citate sopra da Lucidi, è intervenuto pure David Puente con alcuni tweet il cui fine non era certo cercare un confronto civile piuttosto impedirlo, denigrando e disumanizzando gli avversari dialettici. Questa gogna pubblica ha richiamato orde di haters, dediti al linciaggio mediatico e ad auspicare la morte di chi fa controinformazione. Questo è il loro concetto di libertà.

Evidentemente l’odio non si è fermato ai social, ma qualcuno ha compilato la scheda informativa di Myrotvoretz, sperando di annientare Andrea Lucidi. E’ questo il modo in cui operano i “difensori della democrazia contro il dittatore Putin”?

“E’ chiaro che anche il dibattito pubblico in Italia stia subendo una profonda radicalizzazione. Evidentemente il lavoro di chi offre una prospettiva diversa del conflitto e cerca di dare voce al popolo del Donbass viene ritenuto pericoloso dal regime di Kiev e da alcuni “liberali” italiani”, conclude la nota.

Il principio di democrazia si è affermato e consolidato nella storia dell’umanità in opposizione alle liste nere di proscrizione, ai roghi dei libri e alle persecuzioni di dissidenti e giornalisti. Le black list sono il sintomo eclatante della grave malattia di cui soffre il sistema democratico occidentale. L’attivismo di NAFO e dei cosiddetti fact checker indipendenti (ma schierati dalla parte di Kiev) è la dimostrazione dell’incapacità democratica di questi soggetti, che non riescono a reggere il confronto dialettico senza organizzare azioni squadristiche di trollaggio, linciaggio mediatico, diffondere odio, augurare morte e denunciare le loro vittime nelle liste di proscrizione.

L’esistenza di Myrotvoretz è la conferma che non esiste democrazia in Ucraina, è la conferma della natura fascista della junta di Kiev, è la conferma della nostre ragioni. Chi pensa di intimidirci inserendoci in un elenco di nemici dell’Ucraina si sbaglia di grosso, non fa che darci una ragione in più per dare voce al coraggioso popolo del Donbass che da nove anni resiste contro lo stesso fascismo. Continueremo più motivati che mai nel nostro lavoro di contro-informazione e decostruzione della propaganda di Kiev, non faremo un passo indietro: siamo tutti Andrea Lucidi. No pasaran!

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“I fondi del Pnrr dovevano servire per scuola, sanità, creare possibilità di vita!”

Alex Zanotelli: “C’è una narrativa in questo paese in cui incredibilmente la parola pace è scomparsa. La guerra in Ucraina ha riarmato l’Europa, quello che avviene fa paura”. E poi: “Una Germania che si arma è pericolosa per l’Europa”.

Fonte: Il Manifesto 3.6.2023, intervista di Adriana Pollice

«Siamo sull’orlo di due abissi: l’inverno nucleare, basta un incidente e ci siamo, e l’estate incandescente per la crisi climatica. Serve un unico forte movimento per la pace e l’ambiente»: così il missionario comboniano Alex Zanotelli fotografa l’attuale momento storico.

Festeggiamo la Repubblica, che vieta la guerra come mezzo di offesa ma anche di risoluzione delle controversie, con una parata militare.
È assurdo e l’ho sempre detto in questi anni. Ma cos’ha a che fare la parata militare con la festa della Repubblica italiana? Una repubblica che è bastata sull’articolo 11, che ripudia la guerra, mentre invece siamo in guerra da tutte le parti. Una contraddizione totale.

Il conflitto in Ucraina va avanti da più di un anno, si riaccende l’ex Jugoslavia. In Italia non c’è un vero dibattito.
C’è una narrativa in questo paese in cui incredibilmente la parola pace è scomparsa. La guerra in Ucraina ha riarmato l’Europa, quello che sta avvenendo fa paura. Secondo il rapporto Sipri, nel 2022 la spesa militare degli stati dell’Europa centrale e occidentale è stata di 345 miliardi di dollari, per la prima volta ha superato quella del 1989. A questo ha contribuito anche l’imposizione dettata dalla Nato di impiegare il 2% del Pil in armamenti. Il presidente Usa Biden ha detto «voglio che la guerra in Ucraina continui per indebolire la Russia per poi fronteggiare la Cina» e questo sta infiammando tutto l’Indopacifico. Gli Usa hanno dato i sottomarini atomici all’Australia e hanno chiesto alle Filippine di installare altre 5 basi militari. Si sta armando fino ai denti il Giappone, che ha una costituzione pacifista. Si sta armando anche la Germania, che pure ha una costituzione pacifista, mettendo sul piatto 100 miliardi. Una Germania che si arma è pericolosa per l’Europa. Giochiamo tutti col fuoco.

Il parlamento Ue ha approvato il progetto di legge Asap a sostegno della produzione di munizioni anche con i fondi del Pnrr.
Una cosa di una gravità estrema. Quei fondi dovevano servire per scuola, sanità, creare possibilità di vita. Invece si potranno dirottare verso l’industria bellica, ci sono già 500 milioni di euro preventivati, una bestemmia. Mi preoccupa come il Pd sta votando: il Partito democratico e la sinistra devono svoltare su questi temi. Non è concepibile barcamenarsi tra visioni opposte.

La giustificazione del provvedimento sono gli arsenali vuoti. Stiamo ristrutturando l’industria europea verso il settore militare?
Siamo dentro un’economia di guerra, del resto basta vedere quante porte girevoli ci sono nel governo verso Leonardo, uno dei maggiori player della sicurezza. Papa Francesco ha detto «siamo già dentro la Terza guerra mondiale». E Gutierrez, il segretario Onu, afferma che stiamo andando «a occhi aperti» verso una nuova guerra mondiale.

Nel 2024 ci sono le elezioni europee che potrebbero segnare un cambio radicale verso destra.
Nel mio libro Lettera alla tribù bianca racconto come il suprematismo sta invadendo il mondo: Bolsonaro, Trump, i paesi europei come Polonia e Ungheria. Se in Spagna vincesse Vox rischiamo che l’ultradestra travolga le stesse istituzioni Ue. Dobbiamo dire «gente, vogliamo davvero andare verso il disastro totale?». Non solo l’olocausto nucleare ma anche l’estate incandescente. Spese militari, guerre, voli di aerei da combattimento stanno pesando sull’ecosistema tanto quanto lo stile di vita del 10% più ricco del mondo. Il pianeta non sopporta più la presenza dell’homo sapiens, divenuto demens.

Industria di guerra, cambiamento climatico provocheranno nuovi movimenti migratori a cui l’Europa risponde chiudendo i confini.
I migranti superano già i 100 milioni, immaginiamo cosa succederà quando il calore crescerà nella zona saheliana. La gente scapperà e vale lo stesso per i conflitti. Fuggono da guerre che facciamo noi, da cambiamenti climatici che provochiamo noi nel nord del mondo. L’Africa nel prossimo secolo potrebbe raggiungere oltre 2 miliardi di persone ma chi ci potrà vivere se si va avanti in questo modo? Ai nostri politici interessa il profitto, se arriva dagli armamenti non importa. Questi sono gli ultimi dati di spesa in Italia: 4 miliardi e 200 milioni destinati all’esercito per 200 carrarmati; alla marina 12 miliardi per la terza portaerei e il raddoppio della flotta; all’aeronautica 8 miliardi e 700 milioni per F35 e Eurofighter Typhoon. È follia.

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SUI MEZZI DELL’AZIONE NONVIOLENTA – Carlo Bellisai

Mi propongo in queste righe di riprendere una riflessione non nuova, ma tuttavia credo negli ultimi anni un po’ trascurata, sui mezzi dell’azione nonviolenta, cercando di riportarli alla realtà attuale, con due esempi concreti. Il primo relativo ad alcune pratiche di lotta del vasto e diversificato movimento pacifista, antimilitarista, disarmista in Sardegna, in opposizione alla presenza dei poligoni militari nell’isola. Il secondo relativo alle azioni degli attivisti di Last Generation, in contrasto alla crisi climatica, e la loro ricerca dell’impatto mediatico.

Secondo Gene Sharp, uno dei più importanti teorici che hanno scritto sull’azione diretta nonviolenta, “confidando nella violenza, si sceglie un terreno di lotta in cui gli oppressori hanno quasi sempre la superiorità. I dittatori dispongono dei mezzi per applicare la violenza in maniera soverchiante” (Gene Sharp, “Dalla dittatura alla democrazia”). Non solo la nonviolenza concorda mezzi e fini, ma risulta anche più efficace. Le tecniche di azione nonviolenta, secondo l’autore, si possono classificare in tre categorie principali: protesta e persuasione (proteste, sit-in, marce…), non collaborazione (sociale, politica, economica, boicottaggi, scioperi, non legittimazione…) e intervento (occupazioni nonviolente, creazione di mercati alternativi, di governi paralleli, blocchi nonviolenti, sabotaggi). La scelta dei mezzi andrà ponderata: si analizzeranno meriti e limiti delle diverse tecniche di lotta, domandandosi se esse colpiscono i punti deboli del regime, se servono a incrementare la sicurezza degli oppositori nei propri mezzi, se aumentano o diminuiscono il rischio di repressione, se aumentano o diminuiscono le simpatie verso il movimento, se influiscono e in quale misura, sull’opinione pubblica e sulle decisioni politiche.

La scelta di azioni nonviolente, sempre seguendo Sharp, necessita comunque di una forte autodisciplina all’interno dei gruppi che le praticano, perché implica abbracciare la forza delle idee contro quella della brutalità. Cadere nel tranello di rispondere alla violenza con la violenza, corrode gli ideali, concede l’occasione alle forze repressive per un’ulteriore escalation e ai mass-media ufficiali di etichettare gli oppositori come violenti e facinorosi, oscurando l’informazione sul programma che li muove, sugli ideali che li spingono. Per questo sono fondamentali l’autodisciplina e la coesione.

APRIRE UN VARCO

Il primo esempio che voglio esaminare è quello dell’azione diretta rivolta all’occupazione militare in Sardegna, con la pratica, più volte attuata, del taglio dei reticolati durante le manifestazioni davanti alle basi militari.

Tagliare il reticolato è un atto di grande potere evocativo e simbolico. E’ quindi anche un atto estetico e, in questo senso, “mirabile”. La rete segna il territorio militare, ma potrebbe anche essere la rete di una frontiera, o di un campo di prigionia: rimanda al limite, alla separazione, all’appropriazione violenta, alla discriminazione, alla prigionia. Di conseguenza, la violazione di questo limite diventa grido di libertà, riappropriazione della propria umanità, afflato di fratellanza. Perché il filo spinato che ci separa, il muro che ci divide, sono violenza.

Queste azioni dimostrative non possono dirsi violente, in quanto l’unico eccesso di forza esercitato è contro un oggetto inerte. Potrebbe, un tale atto, anche diventare violento se il danneggiato fosse un semplice proprietario di un terreno, che si sentirebbe violato e impaurito, ma non lo è di sicuro davanti alla mastodontica macchina di potere economico-militare. Se si può parlare allora di azioni dirette non violente (senza l’uso di violenza), tuttavia si tratta al contempo di azioni illegali, che quindi possono comportare, tra i loro effetti indiretti, anche l’aumento delle tecniche repressive da parte delle forze dell’ordine e il rischio di denunce nei confronti dei manifestanti. La reazione della polizia può anche rivelarsi sproporzionata e mettere a repentaglio l’integrità fisica e la salute delle persone e finire con l’alienare il sostegno alla causa di una parte dei movimenti e di coloro che, pur avendo una posizione contraria alla guerra e al militarismo, non sono disposti a sopportare un rischio elevato. Va anche detto che queste azioni dirette si inseriscono in una visione tattica, cosa peraltro diversa dall’azione diretta nonviolenta in senso strategico.

Le differenze in questo senso sono chiare: nella visione strategica nonviolenta ci si assume la responsabilità della propria disubbidienza in modo chiaro e trasparente, evitando i sotterfugi e la segretezza, quanto la contrapposizione aperta con le forze dell’ordine, che non sono viste come un nemico da disprezzare, ma come un’emanazione dello Stato, con cui ricercare un confronto, conflittuale ma rispettoso. Questo sia perché dietro quelle divise ci sono persone, sia perché, come ci ammonisce Sharp, “i promotori della ribellione politica tengano ben presente che è molto difficile, se non impossibile, abbattere il regime se polizia, apparato burocratico e forze armate esercitano pieno sostegno alla dittatura ed eseguono fedelmente gli ordini ricevuti. Le strategie mirate a inficiare la lealtà di queste forze del regime devono avere priorità assoluta”. Gli slogan denigratori ed offensivi contro gli uomini in divisa, che spesso sentiamo durante i cortei antimilitaristi, non sono d’aiuto in questa prospettiva.

Possiamo provvisoriamente riassumere che attualmente il movimento antimilitarista e disarmista in Sardegna non è ancora pronto ad abbracciare una lotta nonviolenta, con tutte le implicazioni politiche, etiche e strategiche connesse. Al contempo si deve anche ammettere che le azioni dirette esercitate durante le manifestazioni (taglio di reticolati, invasioni simboliche) non possono essere annoverate come azioni violente. Ne segue che può esserci un margine di confronto, uno spazio di dialogo fra le varie componenti, politiche e generazionali, che compongono tale movimento in senso lato, nella consapevolezza che un’unità di intenti è indispensabile.

 

AVERE L’ATTENZIONE

Il movimento denominato Last Generation, nato dal precedente Extinction Rebellion, vuole rispondere ai temi ambientali e dei cambiamenti climatici in modo netto ed integrale: basta emissioni di CO2, basta coi combustibili fossili e subito, siamo già oltre il limite e rischiamo l’irreversibilità di un processo di autodistruzione. Come dar loro torto? Nell’ultimo anno ed anche nel 2023 gli attivisti che si richiamano a Last Generation hanno compiuto numerose atti dimostrativi eclatanti, come imbrattamenti nei musei, o in monumenti (con vernici solvibili), mettendo in atto una tattica di azioni dirette non violente (senza uso di violenza), ma fortemente impattanti dal punto di vista mediatico. Infatti hanno avuto risonanza sui canali televisivi e sulla stampa, così come si proponevano, a rischio della propria incolumità e di pendenze legali. La ricerca di attenzione è per loro fondamentale, perché pensano che il tempo sia scaduto per il pianeta e che ciascuno debba testimoniare fortemente questo disagio, affinché partendo dai singoli esempi qualcosa cambi. Un po’ quello che, con tutte le differenze del caso, gli anarchici della prima parte del Novecento denominavano “la propaganda del fatto”.

Non sembrano ricordare, con le scelte dei bersagli, simboli importanti da attaccare, visto che privilegiano i luoghi dell’arte e della cultura, rischiando così di essere presi per vandali. In questo senso, la stessa visibilità che ricercano gli si può ritorcere contro. Questo limite mette in dubbio una realistica visione strategica di queste azioni, se prive di un movimento pubblico che dia loro una legittimazione, all’interno di una più ampia campagna di disubbidienza civile. Questo movimento d’azione, che pure presenta ideali da condividere e urgenze che non si possono procrastinare, non agisce in una strategia nonviolenta, in quanto non trasparente e segreto e senza una base sulla piazza su sui contare, che possa dare risalto alle azioni.

 

RIFLESSIONI PROVVISORIE

La nonviolenza non va scambiata con il legalitarismo. Gandhi, Luther King, Mandela non hanno esitato a disobbedire alle ingiustizie sociali, anche infrangendo leggi ingiuste e prevaricazioni. Per estirpare la mala pianta della violenza dalla Storia, qualunque mezzo creativo è possibile, tranne quello della violenza stessa, che non rappresenterebbe alcun progresso nel cammino verso una società libera, gestita dal basso e socialmente egualitaria. La nonviolenza è chiamata al contempo a cambiare l’educazione, la cultura, le relazioni fra le persone, i modi della comunicazione. Non avremo mai la pace, non ci sarà disarmo, se le persone non sapranno prepararli, dentro di sé e attorno a sé.

Gli esempi che ho voluto citare ci dicono che, pur nelle difficoltà susseguenti agli anni della pandemia ed alle laceranti divisioni che ha portato, qualcosa si muove ancora, anche fra le giovani generazioni. Le loro azioni, con tutti i limiti di cui ho detto, sono comunque espressione di una volontà politica che si pone contro la guerra, gli armamenti, contro lo scriteriato uso dei combustibili fossili e la “cultura” predatoria e militarista.

Forse dovremmo interrogarci su questi ed altri esempi simili, perché possa esserci un confronto aperto. Nella speranza di poter dare, come diceva Aldo Capitini, la nostra aggiunta nonviolenta.

 

 

“I diritti degli studenti universitari ucraini violati: un grido ignorato” – Sara Piccinini

Da settembre scorso gli studenti ucraini iscritti in università straniere si trovano bloccati nel proprio paese e sono privati di preziose opportunità di formazione all’estero. Questo in totale violazione dell’articolo 26 della Dichiarazione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite.

“Le manifestazioni di sostegno all’Ucraina si susseguono, con muri ed edifici adornati di bandiere e slogan patriottici, ma che significato ha veramente tutto questo?”

La parlamentare europea Clare Daly solleva un punto cruciale riguardo ai giovani studenti universitari ucraini, ai quali è vietato viaggiare all’estero per studiare. Da settembre scorso infatti, nonostante molti di loro siano iscritti a college stranieri, questi giovani si trovano bloccati nel proprio paeseprivati di preziose opportunità di formazione all’estero. Tutto questo in totale violazione dell’articolo 26 della Dichiarazione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, essi stanno perdendo posti, borse di studio e sussidi che potrebbero contribuire alla loro crescita e alla futura ricostruzione del loro Paese.

Clare Daly critica le istituzioni europee e sostiene che, mentre si pensa a lodare l’Ucraina, gli studenti universitari ucraini sono intrappolati nella burocrazia. Quegli studenti, dice, non stanno scappando dalla guerra, ma desiderano ardentemente contribuire al rinnovamento del loro Paese attraverso un’educazione superiore di qualità. Tuttavia, sono ostacolati dal Ministro dell’Istruzione e della Scienza ucraino, che ha fallito nel modificare la legge che permetterebbe loro di lasciare il paese per studiare all’estero.

Le richieste di intervento da parte di migliaia di cittadini ucraini sono state ignorate da Zelensky, il presidente ucraino, dimostrando, sostiene l’europarlamentare, una mancanza di volontà politica nei confronti di ingiustizie sociali…

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Il mondo occidentale in “entropia economica”: la situazione negli Stati Uniti – Giuseppe Masala

La lotta generale per l’esistenza degli esseri viventi non è una lotta per l’energia, ma è una lotta per l’entropia

 Ludwig Moltzmann


Dopo il 2008 il mondo occidentale si dibatte in una infinita crisi economica caratterizzata da una situazione di caos entropico che rende davvero impossibile trarre delle indicazioni su ciò che potrà riservarci il futuro.

Passiamo infatti da una crisi ad un’altra nel corso di poco tempo: prima la crisi finanziaria partita con il settore immobilire americano che è passata a crisi finanziaria della borsa di Wall Street che si è contagiata a tutte le borse mondiali.

Poi siamo passati nel 2011 alla crisi dei debiti sovrani dei paesi del Sud Europa ed infine si è arrivati alla deliberata esplosione (da parte statunitense ed inglese) della crisi ucraina con la evidente finalità di sollevare una nuova cortina di ferro tra Russia (grande venditrice di energia all’Europa manifatturiera) e l’Europa (grande consumatrice di energia); questo con l’unica intenzione (da parte di Washington) di minare la competitività europea e in particolare tedesca che stava distruggendo il tessuto economico americano.

Una situazione questa che ha avuto il suo acme nell’esplosione del gasdotto North Stream che collegava la Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico.

Una situazione chiaramente senza precedenti, dove il maggior sospettato di aver architettato la distruzione di una infrastruttura critica per la Germania e l’Europa è un paese alleato: gli Stati Uniti d’America. Per non parlare poi dei continui pacchetti di sanzioni antirusse (in teoria) pretese all’Europa da parte di  Washington; sanzioni che stanno chiaramente affondando l’Europa stessa sia da l punto di vista commerciale che dal punto di vista finanziario.

Se non è entropia economica, politica, diplomatica e militare questa non si capisce cosa può essere intesa come tale!..

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L’odio (domande) – Francesco Masala (4)

Se uno stimato rappresentante del popolo e del Senato degli Usa può dire che lui gode se con i soldi del suo paese vengono uccisi i russi, lo stesso potrebbe dirsi per i rappresentanti (eletti e no) dell’Europa?

Anche questa è russofobia?

Allora hanno ragione i russi sulla minaccia esistenziale?

Se della pace nessuno parla, quanti devono ancora morire? E per cosa?

Ci dobbiamo aspettare uno Zalenskicidio? O sarà necessario un Natocidio? O la terza guerra mondiale, integrale, non a pezzi?

Ricordate il Kossovo, praticamente una base militare Usa circondata da un po’ di campagna e qualche casa?

Ricordate che il 7 maggio 1999 una bomba intelligente della Nato (il segretario era allora lo spagnolo Solana) colpì l’ambasciata cinese a Belgrado?

L’integrità territoriale vale solo dall’anno 2000 (la Serbia non lo sapeva e non lo sa ancora)?

I pessimisti sono ottimisti bene informati?

Qualcuno dell’Invincibile Armada occidentale ammetterà di aver sbagliato tutto?

 

 

Perché l’Ucraina non può vincere – Pino Arlacchi

Il conflitto in Ucraina viene spesso definito come una guerra di posizione, di trincea, più simile alla Prima che alla Seconda guerra mondiale. La guerra di posizione si distingue per la sua brutalità, dove a pesare sul risultato sono il numero di morti nel campo di battaglia causati soprattutto dalla potenza del re delle stragi, l’artiglieria.

I fattori che contano nelle guerre di posizione non sono gli armamenti disponibili all’inizio dello scontro, ma quelle che vengono chiamate le capabilities dei contendenti: la popolazione, il territorio, l’apparato industriale, le fonti di energia, le risorse naturali. Cioè l’hardware che consente di finalizzare verso lo sforzo bellico le risorse di un Paese.

È per questo che non c’è vera partita nello scontro tra la Federazione russa e l’Ucraina, anche se dietro quest’ultima si è schierato l’Occidente euroamericano. Le forniture di armamenti dalla Nato non saranno mai sufficienti a colmare un gap a favore della Russia che va dal due a uno nelle perdite in battaglia, dal cinque a uno nella popolazione, dal sette al dieci nell’artiglieria, e dal sedici al cinquanta nel resto delle capabilities.

È vero che si possono detenere risorse immense senza essere capaci di usarle o senza volerle usare, ma non è questo il caso della Russia di oggi. Essa condivide con l’Ucraina la convinzione di lottare contro una minaccia per la propria stessa esistenza che le impone di mettere in ballo tutte le sue forze. Ma, a differenza dell’Ucraina, la Russia è una grande potenza dotata di un micidiale arsenale nucleare, di un grado di autosufficienza economica senza uguali (detiene oltre il 20% delle risorse naturali del pianeta), e di una tradizione di invincibilità che risale al Diciottesimo secolo e che le ha consentito di fare a pezzi invasori del calibro di Napoleone e di Hitler.

Minacciarla fin quasi dentro i suoi confini come hanno fatto gli Stati Uniti dopo la fine dell’Urss tramite l’espansione della Nato non è stata una buona idea, ma una ricetta per il disastro attuale, annunciato tra l’altro dai più autorevoli leader occidentali che hanno guidato la Guerra fredda.

Lo scontro in corso non è tra Russia e Ucraina. Se fosse così, esso sarebbe terminato da un pezzo o non sarebbe mai arrivato al confronto militare. Nessun governo ucraino avrebbe mai osato provocare la Russia massacrando l’etnia russa del Donbass e poi concludere un falso accordo a Minsk garantito dalle potenze europee, se queste non lo avessero spinto in quella direzione.

È quanto rivelato candidamente dalla signora Merkel, da François Hollande e da altri: abbiamo mentito a Putin firmando un accordo che non avevamo intenzione di rispettare, con il solo scopo di guadagnare il tempo necessario per armare l’Ucraina.

La reazione armata della Russia è stata certamente un eccesso di legittima difesa che ha fatto in un certo senso il gioco degli antagonisti occidentali. Ma è difficile ipotizzare, viste le circostanze, un percorso alternativo per Putin. Dopo il febbraio dell’anno scorso, infatti, sono via via venuti alla luce i tre obiettivi di fondo degli Stati Uniti, da perseguire con o senza il consenso degli alleati: la disfatta della Russia nel territorio di una Ucraina da trasformare in un bastione occidentale, la rovina dell’economia russa tramite sanzioni e confisca di beni detenuti all’estero, l’espulsione della Federazione Russa dal novero delle grandi potenze.

A quindici mesi dall’inizio della guerra, è chiaro che il secondo e il terzo di questi obiettivi si sono rivelati impossibili da raggiungere.

L’economia russa ha resistito senza grandi sforzi, ed è l’Europa che ha patito l’autogol della rinuncia al gas russo.

Lo standing della Russia presso i tre quarti del mondo è rimasto tale e quale o si è rafforzato, assieme alla sua amicizia con la Cina. E dopo la leva di 300mila uomini, dopo il miglioramento delle tattiche di guerra russe lungo quest’anno, e dopo la caduta della città-simbolo di Bahkmut a opera dei contractors russi senza l’aiuto dell’esercito regolare, anche la sconfitta di Mosca in Ucraina si è rivelata una chimera.

È evidente che l’Ucraina ha raggiunto e superato il culmine nella mobilitazione delle proprie capabilities, soprattutto in termini di popolazione e di numero di combattenti, mentre la Russia è solo all’inizio di un trend di potenziamento.

I militari americani già da mesi consigliano di seguire strade alternative alla vittoria militare, perché a questo punto non si può più escludere che avvenga il contrario di quanto desiderato da media e governi occidentali: una continuazione in Russia dei fiaschi statunitensi in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria.

Governi e media occidentali non parlano più di vittoria ucraina. Washington ha iniziato a diffondere proprio in questi giorni l’idea di una cessazione delle ostilità senza accordo di pace, senza negoziato diplomatico: un frozen conflict tipo Corea che può trascinarsi a tempo indefinito, e che lasci gli spazi attuali nelle mani di chi li controlla.

Ciò significa che la Russia può incorporare le quattro province che già occupa, pari al 23 per cento del territorio ucraino, più le altre quattro a Ovest di quelle già occupate e che intende conquistare nei prossimi mesi, prima del cessate il fuoco.

Se ciò accade, il 46 per cento del territorio ucraino – circa l’intera area russofona – apparterrà alla Russia. L’Ucraina diventerà uno Stato smembrato e sull’orlo del fallimento, mantenuto in vita dal denaro e dalle armi dell’Occidente. La Russia dovrà sopportare l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e il rischio continuo di una ripresa delle ostilità, come appunto avviene nei frozen conflicts. E l’Europa continuerà a pagare il prezzo della sua discesa nella tomba di un impero americano seppellito da un mondo divenuto ormai multipolare.

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Senatore Usa Graham a Zelensky: “I russi stanno morendo. Non abbiamo mai speso i nostri soldi così bene” – Marinella Mondaini

“I russi stanno morendo. Non abbiamo mai speso i nostri soldi così bene”, ha detto il senatore repubblicano statunitense Lindsey Graham durante l’incontro di venerdì a Kiev con Zelenskij, il quale lo ha ringraziato per il suo contributo al “rafforzamento della capacità di difesa dell’esercito ucraino. I videoclip sono stati distribuiti dal servizio stampa del “presidente” ucraino.

Questa chiarissima ammissione di omicidio premeditato dei russi da parte degli USA è stata candidamente e pubblicamente resa, senza che nessuna condanna sia avvenuta nel mondo politico occidentale e com’era da aspettarselo, nemmeno dalla presidenza italiana, almeno “facessero finta”! Macché, neppure si prendono il disturbo. Te lo dicono proprio in faccia. E non è la prima volta.

Ora speriamo sia sempre più chiaro – anche ai difensori del “difensore della democrazia anche per gli italiani”, che le vere motivazioni della guerra della NATO in Ucraina sono il genocidio dei russi, non solo nel Donbass ma nella Russia stessa!

Hitler non ha che da rallegrarsi, non ha mai avuto dei seguaci migliori.

E vale la pena ricordare che il veterano del partito Repubblicano Graham era colui che a marzo del 2022 invocava l’uccisione di Putin: «Qualche Bruto in Russia ci sarà, deve alzarsi e farla finita con questo tizio (cioè Putin), con ciò renderà un grande servizio al paese e al mondo”. Graham poneva anche precise condizioni “comportamentali” per la Russia, proprio come il maestro fa con gli scolari: “per migliorare le relazioni con gli Stati Uniti, la Russia deve comportarsi meglio”. Il “democratico” rappresentante della “democrazia” americana ha dichiarato altresì: “il nostro obiettivo è cambiare lo status quo e imporre sanzioni schiaccianti e altre misure contro la Russia fino a quando non cesserà di esistere e smetterà di interferire nel processo elettorale statunitense”. La Russia insomma deve cessare di esistere!

Al senatore Graham ha risposto la rappresentante del Ministero degli esteri russo, Maria Zacharova, chiarendo perfettamente la “natura” dei rappresentanti degli Stati Uniti. Traduco la sua dichiarazione su telegram:

“Il senatore degli Stati Uniti della Carolina del Sud Lindsey Graham con un sorrisetto soddisfatto durante un incontro con Zelenskij: “I russi stanno morendo. Non abbiamo mai speso in modo migliore i nostri soldi”

Durante il Tribunale di Norimberga, il ministro dell’Economia della Germania nazista, Hjalmar Schacht, affermò che il Terzo Reich era sponsorizzato anche dall’estero e nominò le due maggiori corporazioni americane: Ford e General Motors. Con lui è stato fatto un patto tacito: la libertà in cambio del silenzio. Nonostante le proteste dei rappresentanti sovietici, fu rilasciato e visse fino a 93 anni.

Vi ricordo che l’incarnazione del sogno americano, quello stesso leggendario Henry Ford era cavaliere della Gran Croce dell’Ordine al merito dell’Aquila tedesca. Le sue fabbriche in Germania non solo producevano fino a 70mila camion all’anno per i bisogni della Wehrmacht, ma utilizzavano per questo anche il lavoro dei prigionieri, tra cui Auschwitz.

E l’icona tedesca dell’industria automobilistica Opel apparteneva a… General Motors. Il ricercatore Bradford Snell descrive il ruolo della corporazione: “La General Motors era molto più importante per la macchina da guerra nazista delle banche svizzere. La Svizzera era solo un deposito di denaro rubato. La General Motors era parte integrante dello sforzo bellico tedesco. Il Terzo Reich avrebbe potuto invadere la Polonia e la Russia (URSS) senza l’aiuto della Svizzera. Ma non avrebbero potuto farlo senza l’aiuto della General Motors.

L’azienda Kodak nel suo stabilimento in Germania produceva micce per bombe aeree, non disdegnando di utilizzare anche il lavoro dei prigionieri di guerra.

Lo stabilimento Coca-Cola di Colonia, anche prima della sua nazionalizzazione da parte del governo tedesco, forniva regolarmente la bevanda, anche ai soldati tedeschi. E la famosa “Fanta” è stata completamente inventata dai nazisti.

Il gigante petrolifero Standard Oil, attraverso le sue filiali, ha aiutato Hitler con la carenza di prodotti petroliferi, ha partecipato allo sviluppo di gomma sintetica e combustibili sintetici. E IBM, amata dalle persone IT di tutto il mondo, ha prodotto dispositivi di contabilità e controllo per i nazisti, anche per la produzione di petrolio. Tra le altre cose, l’attrezzatura di questa compagnia aiutava a tenere traccia degli orari dei treni per i campi di sterminio…

E non possiamo fare a meno di parlare dell’aiuto delle banche: JPMorgan Chase & Co, Chase National Bank, attraverso cui sono state effettuate transazioni multimiliardarie e Berlino ha avuto l’opportunità di acquistare dollari ed effettuare transazioni finanziarie all’estero. “Chase” ha collaborato con la banca tedesca “Alliance” anche in questioni come … l’assicurazione della proprietà e della vita delle guardie dei campi di concentramento del Terzo Reich.

Sicché il senatore Graham può benissimo fare i confronti. Uno dei loro investimenti ha portato alla seconda guerra mondiale e all’Olocausto. Ora, miliardi di dollari USA si stanno riversando nella gola insaziabile del regime neonazista di Kiev. A questo proposito, vorrei ricordare ai senatori e a tutti i beneficiari americani come si è conclusa la precedente avventura.”

Maria Zacharova ci ricorda che non solo questo senatore incita ad ammazzare i russi: “Pensate che il senatore americano Graham sia solo nella sua retorica nazista? Pensate sia solo una brutta eccezione? Che il sistema americano non possa produrre tali mostri? Vi sbagliate. Permettetemi di ricordarvi che in una conversazione con i pranker Vovan e Lexus, George W. Bush (il più giovane della dinastia dei presidenti americani) ha detto esattamente questo, credendo di comunicare con i politici del regime di Kiev: “Il vostro compito è uccidere quanti più Russi possibile”. Dopo che al briefing abbiamo denunciato questo fatto, la propaganda americana ha iniziato a ritrattare, sottolineando che Bush non è al potere. Eccome sono al potere Bush e Graham!  E non hanno nemmeno detto tutto ciò che è scritto nei documenti dottrinali americani.”

La dichiarazione del senatore Graham è stata commentata anche dal vice capo del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa Dmitrij Medvedev:

“Il vecchio scemo senatore Lindsey Graham ha detto che gli Stati Uniti non hanno mai speso soldi così bene come per uccidere i russi. Si è affaticato invano! Nella sua amata America, si uccide regolarmente non solo la gente comune, ma vengono anche spesi soldi sporchi per uccidere i senatori. Che il senatore Graham si ricordi del triste destino di Robert Kennedy, Huey Long, Clementa Carlos Pinckney, John Milton Elliott, Wayne Owens e altri politici americani”

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Uranio impoverito, tracciante morale di malafede – Massimo Zucchetti

Mi occupo di uso militare dell’uranio impoverito (DU) da ormai un quarto di secolo. (Libro gratis: https://www.researchgate.net/publication/293649257_Depleted_Uranium). Anni fa coniai la definizione, per il DU, di “tracciante morale” per la malafede e l’ignoranza di chi lo utilizzava, e di coloro che ne giustificavano l’uso con argomentazioni negazioniste.

Le vicende di queste settimane sono state un’ulteriore tragica prova di quanto sostenevo e sostengo. Sapete che recentemente i britannici hanno fornito all’Ucraina proiettili al DU. Io speravo che qualcuno cum grano salis (anche in Ucraina come in Russia ce ne sono molti, non bisogna demonizzare un’intera nazione per colpa dei loro governanti è da qualunquisti) respingesse al mittente l’offerta, basandosi sui un ragionamento semplice: il DU è radioattivo, emette radiazioni alfa che lo rendono pericolosissimo qualora incendiato, polverizzato, inalato, ingerito.

Contaminare con DU un campo di battaglia è una pratica non giustificabile secondo i più semplici principi di radioprotezione: tanto più – scusate il cinismo – se il campo di battaglia è casa tua. Contamina il tuo territorio, le conseguenze a lungo termine sono ben note.

Gli USA e la NATO infatti lo han sempre usato quando portavano democrazia in casa d’altri: Iraq, Afghanistan, Jugoslavia.

Purtroppo, non so se per dabbenaggine o per asservimento, l’Ucraina ha invece accettato. Immediata, si mobilitò l’Armata Negazionista sostenendo che il DU fosse “debolmente radioattivo” e quindi poco pericoloso, una risorgenza che speravamo di non dover vedere, a fronte – oltre che delle prove scientifiche – anche soltanto della sorte tragica toccata a tanti nostri soldati tornati dai Balcani.

Stancamente, è stato necessario ribadire alcune cose ovvie: addirittura con un video casalingo che divenne virale, con l’invito ai negazionisti a grattare la polvere di uranio per condire la pasta.

E, dopo un po’, cala il silenzio: l’opinione pubblica italiana è ormai così, “merito” dei media italiani, hanno la memoria del pesce rosso.

Peculiare in quelle settimane l’atteggiamento degli ‘ambientalisti ed ecologisti di Stato’, sempre così queruli quando si parla di nucleare e radioattività, sempre così verdi, sempre pronti ad agitare lo spauracchio delle radiazioni anche quando non c’entrano. Ma in questo caso stanno con la bocca cucita dal diktat di partito e di governo, ligi al Verbo: le armi all’Ucraina “salvano vite”, sono cosa buona e giusta, anche se radioattive. Pacifinti con l’elmetto e senza contatore Geiger, ovviamente sulla pelle della popolazione ucraina.

Poi, verso il 12 di maggio, succede il patatrac: la Russia, individuato un importante deposito ucraino delle armi al DU, lo bombarda e lo distrugge. A Khmelnytskyi (Ucraina) sono colpiti magazzini con le armi all’uranio impoverito forniti all’Ucraina dal Regno Unito.

Prendono fuoco. Beh, naturale, il DU è anche piroforico. Si forma una bella nube dall’incendio, con fumo, con polveri fini e particolato da combustione.

Nube, come? Oh, nube “tossica” dicono qui i media, disperati. Cogliamo il rumore delle unghie sui vetri e gli ordini di scuderia: la parola “nube radioattiva” è tabù.

Qualcuno cum grano salis in Occidente (ne abbiamo anche qui) inizia ad associare le parole “incendio”, “nube”, “uranio”, ma non appare nessuna fonte affidabile che confermi che la contaminazione da radiazioni è significativa.

Noi dobbiamo ricorrere, molto incuriositi anche per mestiere (insegno ‘Protezione dalle Radiazioni’ al Politecnico di Torino sin dagli anni ’90) ai canali non ufficiali.

Gli ucraini, povere stelle, dichiarano nei commenti ufficiali che sono state danneggiate le infrastrutture. Come dire: si è incendiato il deposito dei botti a Fuorigrotta, ma han preso fuoco solo tavoli e sedie…

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Gli Occidentali rifiutano la pace in Ucraina – Thierry Meyssan

A nome della Cina, Li Hui ha proposto agli Occidentali di rappacificare l’Ucraina attraverso il riconoscimento dei propri errori. La sua analisi è precisa e argomentata. Ma gli Occidentali non hanno voluto ascoltare. Continuano imperterriti nell’atteggiamento che hanno affinato durante la guerra fredda: loro sono i democratici; gli altri, tutti gli altri, non lo sono. Continueranno a sostenere l’Ucraina, nonostante Kiev non abbia più soldati e sia già stata sconfitta sul campo.

La scorsa settimana ricordavo come, secondo il diritto internazionale, chi vende armi risponde dell’uso che ne viene fatto [1]. Quindi, se gli Occidentali forniscono armi all’Ucraina devono essere certi che Kiev le utilizzerà solo per difendersi, mai per attaccare il territorio russo del 2014. In caso contrario si troveranno, loro malgrado, in guerra contro Mosca.

Difatti gli Occidentali stanno ben attenti a non diventare co-belligeranti. Per esempio, prima di consegnare all’Ucraina gli aerei promessi vi hanno rimosso alcuni armamenti, in modo da non consentirle di tirare missili terra-aria su obiettivi all’interno della Russia. Ma, se riuscissero a procurarsi l’occorrente, gli ucraini potrebbero riequipaggiare gli aerei.

La diplomazia cinese però non apprezza il giochetto di armare l’Ucraina pur senza fornirle mezzi per attaccare Mosca. Il Wall Street Journal ha riportato alcuni aspetti della posizione cinese, mascherandone tuttavia il fondamento [2].

Li Hui è stato a Kiev, Varsavia, Berlino, Parigi e Bruxelles. Entrando nel vivo del problema, ha fatto notare agli interlocutori i seguenti punti nodali, già enunciati nell’«Iniziativa per la sicurezza globale» nonché nel «Piano in 12 punti per la pace in ucraina», pubblicati il 24 febbraio dal ministero degli Esteri cinese:
– Secondo il diritto internazionale, la Russia conduce legittimamente l’operazione speciale contro i nazionalisti integralisti ucraini, che non solo non è in contrasto con la Carta delle Nazioni Unite, ma è un’applicazione legittima della «responsabilità di offrire protezione» alle popolazioni russofone.
– La Crimea, il Donbass e la parte orientale della Novorossia hanno legittimamente aderito alla Federazione di Russia attraverso un referendum: questi ex-ucraini costituiscono da secoli una popolazione che si distingue molto nettamente dagli ucraini odierni.

Li Hui non ha taciuto i torti della Russia. In particolare:
– Mosca deve rispettare la decisione del 16 marzo 2022 con cui la Corte Internazionale di Giustizia (il tribunale dell’Onu) le ha ordinato di «sospendere» le operazioni militari in Ucraina, decisione cui ha tardato ad adempiere, ma che oggi rispetta.

Li Hui ha spiegato con pazienza agli Occidentali le loro gravi mancanze:
– Hanno collocato depositi di armi e istallato basi militari della Nato in Europa orientale, violando la firma apposta sulla Dichiarazione d’Istanbul dell’OSCE (2013).
– Hanno organizzato e sostenuto il colpo di Stato del 2014 contro le autorità legittime ucraine.
– Non hanno applicato gli Accordi di Minsk, firmati da Germania e Francia nel 2014 e 2015, nonché ratificati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
– Hanno adottato misure coercitive unilaterali contro la Russia, in violazione della Carta delle Nazioni Unite del 1947.

In questo modo il diplomatico cinese ha contestato non soltanto la narrazione occidentale in generale, ma anche il punto di vista dei suoi interlocutori sul conflitto.

Li Hui ha inoltre fatto notare ai suoi ospiti che, diversamente da quanto sostengono, gli Stati Uniti non vogliono la vittoria dell’Ucraina. Sarebbe per loro la peggiore delle umiliazioni: un piccolo Paese in grado di sconfiggere la Russia che loro non osano affrontare.

Ma è soprattutto evidente agli osservatori esterni che l’invio di armi di seconda mano all’Ucraina non ha lo scopo di vincere la Russia, ma di provocarla al punto da ricorrere alle nuove armi. Troppo impegnati a far distruggere lo Stato siriano dagli jihadisti, gli Occidentali non hanno osservato l’esercito russo. Nel 2018, quando Vladimir Putin ha dichiarato di possedere missili ipersonici, armi laser nonché missili a propulsione nucleare [3], gli Occidentali l’hanno liquidato come un fanfarone.

Oggi sanno che diceva la verità, però non conoscono le caratteristiche di queste armi e non sanno nemmeno se saranno in grado di contrastarle…

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Robert Kennedy jr: Ucraina vittima del governo USA

…L’Ucraina oggi è vittima dell’aggressione statunitense. Zelens’kyj ha corso nel 2019. Ecco un ragazzo che è un comico e un attore. Il motivo per cui lo dico è che l’unico motivo per cui ha vinto quelle elezioni è che ha corso su un programma di pace. Stava per ratificare gli Accordi di Minsk, che era l’accordo sostenuto dalla Russia. Il Donbass sarebbe rimasto parte dell’Ucraina, anche se aveva votato per unirsi alla Russia. La Russia ha detto, non li vogliamo; rimangono in Ucraina, ma dovete proteggerli. Dovete renderli semi-autonomi in modo che non vengano uccisi.

Zelens’kyj poi entra, viene circondato dai neo-conservatori statunitensi, tra cui la più prominente Victoria Nuland, ed è lei che ha in qualche modo orchestrato l’allontanamento degli Stati Uniti da tutti questi trattati nucleari. Tutte le professioni di pace di Zelens’kyj scompaiono improvvisamente. Subisce pressioni dagli ultranazionalisti in Ucraina e dal governo degli Stati Uniti affinché inizi ad avere una risposta militare invece di andare al tavolo con i russi.

Ora, abbiamo pompato 113 miliardi di dollari in quella guerra per procura, e il nostro governo ha ammesso, il presidente Biden ha ammesso che la vecchia aspirazione dei neocon: questa guerra riguarda l’eliminazione di Putin. Il suo Segretario alla Difesa, Lloyd Austin, ha riconosciuto nell’aprile 2022 che lo scopo degli Stati Uniti di impegnarsi in questa guerra è quello di esaurire e degradare l’esercito russo in modo che sia incapace di combattere in qualsiasi altra parte del mondo.

Quindi, questo è il nostro obiettivo in questa guerra, ed è una guerra per procura che utilizza i corpi del fiore della gioventù ucraina, dove vengono uccisi senza pietà….

È il 60% di disoccupazione; le infrastrutture del Paese sono state distrutte, per macchinazioni geopolitiche statunitensi. Non è giusto….

Niente di tutto questo è roba che dovremmo fare se vogliamo davvero la pace.

Questa è una guerra in cui l’Ucraina è stata vittima, non solo della Russia, ma anche del governo degli Stati Uniti.

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Più cannoni e meno diritti! – Domenico Gallo

Il coinvolgimento dell’Unione Europea nella guerra prosegue a pieno regime. Dopo il Consiglio Europeo del 23 marzo, che si è posto l’obiettivo di fornire all’Ucraina «entro i prossimi dodici mesi, un milione di munizioni di artiglieria nell’ambito di uno sforzo congiunto», adesso la Commissione ha formulato la proposta di un atto legislativo, indicato con l’acronimo di Asap (Act to Support Ammunition Production). Secondo il commissario europeo Thierry Breton, si tratta di un piano «mirato a sostenere direttamente, con i fondi UE, lo sviluppo dell’industria della difesa, per l’Ucraina e per la nostra sicurezza». Una produzione, di straordinaria necessità e urgenza, che deve essere velocizzata al punto da consentire deroghe alla legislazione ordinaria perché le fabbriche di armi e munizioni possano funzionare giorno e notte, sette giorni su sette, entrando in «modalità economia di guerra». In pratica, per sostenere le imprese della difesa nella produzione di munizioni e missili destinati all’Ucraina, il provvedimento in questione preveda la possibilità di disapplicare le norme in materia ambientale, di tutela della salute umana e della sicurezza sul luogo di lavoro. Per il finanziamento di questa missione bellica, l’Asap permette agli Stati membri di utilizzare il Fondo di coesione, il Fondo sociale europeo e il Pnrr.

In verità il Trattato sull’Unione Europea esclude che, in materia di politica estera e di sicurezza comune si possano adottare atti legislativi, ed esclude la competenza della Corte di Giustizia dell’Unione, trattandosi di un settore di collaborazione intergovernativa, in cui le eventuali decisioni possono essere adottate solo dal Consiglio europeo e dal Consiglio, che deliberano all’unanimità (art. 21 TUE). Il Fondo Europeo di coesione, il Fondo sociale europeo e i fondi stanziati per il Pnrr sono destinati a finalità sociali per incrementare il benessere dei popoli europei, non possono essere distratti per la guerra o, nella migliore delle ipotesi, per incrementare i profitti dell’industria bellica. Senonché, come dicono i francesi: À la guerre comme à la guerre! Quando siamo coinvolti in una guerra, non si può andare troppo per il sottile, bisogna stringersi a Corte. Le regole del diritto sono le prime ad essere calpestate, i diritti sociali possono, anzi debbono essere sacrificati alle esigenze della produzione bellica, non ci si può preoccupare di tutelare l’ambiente o la salute dei lavoratori: più cannoni e meno diritti. E non si può neanche protestare senza il rischio di essere linciati come antinazionali.

Il Parlamento Europeo ha condiviso l’esigenza di fare presto (As soon as possible) e ha votato il 9 maggio per adottare, con procedure d’urgenza, l’atto legislativo (inammissibile secondo il TUE), con 518 voti a favore, 59 contrari e 31 astenuti. Secondo le cronache, fra gli italiani hanno votato contro solo i deputati del Movimento 5 stelle e l’on. Massimiliano Smeriglio del PD, in dissenso dal suo Gruppo. Per effetto della procedura d’urgenza, il Parlamento Europeo voterà sul disegno di legge durante la prossima sessione, che si terrà dal 31 maggio al 1° giugno a Bruxelles. Questo voto del Parlamento europeo sarà l’ulteriore certificazione che l’Unione Europea e tutti i suoi paesi membri sono coinvolti a pieno titolo nella guerra e sono pienamente impegnati ad alimentarla e a proseguirla, fino alla vittoria finale, come pretende Zelensky (https://volerelaluna.it/mondo/2023/05/22/vincere-il-sinistro-ritornello-di-zelensky/).

In un documento pubblicato dal New York Times del 16 maggio, firmato da 15 esperti – analisti, docenti, ex diplomatici, ex consiglieri per la sicurezza nazionale e soprattutto ex militari di grado elevato – viene rivolto un pressante appello al Presidente degli Stati Uniti e al Congresso perché si ponga fine al più presto alla guerra con la diplomazia. I firmatari denunciano «il disastro assoluto della guerra russo-ucraina», con «centinaia di migliaia di persone uccise o ferite, milioni di sfollati, incalcolabili distruzioni dell’ambiente e dell’economia» e il rischio di «devastazioni esponenzialmente più grandi dal momento che le potenze si avvicinano a una guerra aperta». Ricordano l’osservazione di John F. Kennedy, 60 anni fa: «Le potenze nucleari devono evitare un confronto che dia all’avversario la scelta fra ritirarsi umiliato o usare le armi nucleari. Sarebbe il fallimento della nostra politica e la morte collettiva». Della saggezza di Kennedy non è trapelato nulla nella zucca dei leaders politici europei. Per costoro la guerra non è un disastro assoluto, che bisogna fermare al più presto. La pretesa di realizzare la pace attraverso la vittoria punta proprio a quello che Kennedy voleva evitare, cioè mettere l’avversario dinanzi alla scelta di ritirarsi umiliato o di usare le armi nucleari (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/05/08/ripudiare-la-pace-e-giocare-a-scacchi-con-la-morte/).

Se oggi ci troviamo di fronte a un’urgenza indifferibile, questa non è velocizzare la produzione delle bombe. Come sostengono i firmatari dell’appello americano, l’impegno genuino deve essere quello a «un immediato cessate il fuoco e negoziati senza precondizioni squalificanti e proibitive. Provocazioni deliberate hanno portato alla guerra Russia-Ucraina. Allo stesso modo, una deliberata diplomazia può porvi fine».

https://volerelaluna.it/mondo/2023/05/30/piu-cannoni-e-meno-diritti/

 

 

 

Dopo Bakhmut – Enrico Tomaselli

…Se osserviamo la situazione generale del conflitto da una prospettiva più ampia di quella del campo di battaglia, possiamo osservare come alcuni elementi si vadano delineando con una certa chiarezza.

Intanto, sul fronte interno degli Stati Uniti, il partito della vittoria è ormai sostanzialmente sconfitto; la questione non è più come/quando Kiev vincerà, ma come/quando tirar via le castagne dal fuoco. A tal proposito, possiamo identificare due costanti, nei vari ragionamenti che si fanno in merito nell’oligarchia statunitense: lo sdoganamento dell’idea di cedere territori alla Russia, e quella di scaricare sugli alleati europei l’onere maggiore del sostegno all’Ucraina.

Per quanto riguarda la prima questione, è significativo notare come questa ipotesi veda la luce in sostanziale coincidenza con il pieno svelamento del piano di pace cinese, che prevede appunto il riconoscimento dello status quo – ovvero, i quattro oblast più la Crimea come parte della Federazione Russa. Il fatto stesso che Pechino abbia avanzato la sua proposta in questi termini, indica chiaramente che ritiene siano maturate le condizioni per farlo.

Del resto, sul piano internazionale, benché il campo occidentale (USA/NATO/altri alleati nel Pacifico) sia ancora molto forte e saldo, è di fatto isolato a livello globale. Anche a prescindere dai paesi con cui c’è una aperta ostilità (Russia, Cina, Iran e Corea del Nord), il resto del mondo – la sua grande maggioranza – pur non essendo anti-occidentale non è comunque disposto a seguire la NATO nella sua crociata anti-russa, e si dimostra sempre più insofferente rispetto all’aggressività ed all’arroganza dell’occidente, di cui inoltre diffida in modo crescente.

Mentre, di converso, crescono i buoni rapporti con la Russia e la Cina.

Sotto questo punto di vista, gli ultimi tempi sono stati densi di avvenimenti negativi, per l’occidente stesso. Il successo della mediazione cinese tra Arabia Saudita ed Iran, e quello della mediazione russa tra Turchia e Siria. La riammissione di quest’ultima nella Lega Araba. La corsa all’adesione ai BRICS+ di 20/30 nuovi paesi. Il crescente malumore di alcuni paesi europei rispetto alle politiche atlantiste dell’UE (Ungheria, Bulgaria, Grecia…). Da ultimo, la certamente sgradita riconferma di Erdogan.

Tutto questo, se per un verso costituisce un insieme di fattori che potrebbero condurre ad uno stop delle attività belliche, come preludio ad una più complessiva (e complessa) trattativa, dall’altro potrebbe rivelarsi foriero di esiti negativi.

Molto dipende dalla effettiva disponibilità, da parte degli USA, di accettare quella che sostanzialmente sarebbe una sconfitta, la quale a sua volta avrebbe ripercussioni negative tali, da riflettersi via via – per cerchi concentrici – sulle ambizioni egemoniche di Washington. E, ovviamente, anche dal fatto che gli ucraini accettino supinamente o meno il destino loro riservato.

Posto che assai difficilmente si arriverà ad un cessate il fuoco nel corso del 2023, perché tutti cercheranno di avvantaggiarsi al massimo possibile, proprio in vista di un successivo, possibile negoziato, e che quindi il conflitto potrebbe – tra una cosa ed un’altra – protrarsi anche per tutto l’anno a venire, in questi mesi potrebbero intervenire fatti nuovi, tali da imporre (secondo il punto di vista) una brusca frenata alla possibilità di mediazione, o persino una accelerazione verso una pericolosa escalation.

Ci sono naturalmente le variabili di origine militare (un imprevisto successo, anche parziale, degli ucraini, oppure un loro collasso). Ci sono quelle di ordine politico (un regime change a Kiev è inevitabile, per arrivare a negoziati, ma è imprevedibile quello che potrebbe innescare). Ci sono quelle di ordine internazionale (mentre gli USA diminuiscono il proprio impegno, e si concentrano sulle elezioni del 2024, i malumori interni all’UE potrebbero aumentare, mentre Pechino moltiplicherebbe le pressioni sulle capitali europee).

Va inoltre considerata l’ipotesi che, contrariamente a quanto immaginato, negli Stati Uniti prevalgano quanti vogliono fortemente la sconfitta della Russia, e che quindi il conflitto riprenda fiato. La cosa più preoccupante, a mio avviso, resta comunque l’idea – ben radicata negli ambienti della leadership statunitense – che Mosca non farà ricorso alle armi nucleari, a meno che non sia soggetta ad un attacco di tal genere.

Questa convinzione, in parte alimentata anche dalla Russia, contrasta con quella che io definisco sindrome di Pearl Harbour. Quando nel Giappone imperiale si diffuse la convinzione che lo scontro con gli USA era ineluttabile, si resero altresì conto che l’unico modo di vincere la guerra era assestare un colpo micidiale alla flotta statunitense, perché la guerra si sarebbe combattuta essenzialmente nel Pacifico, e la Marina vi avrebbe rivestito un ruolo decisivo. Da qui, l’attacco del 7 dicembre 1941 alla base navale delle Hawaii.

Ugualmente, se Mosca dovesse sentirsi minacciata seriamente nei suoi interessi vitali (la Crimea, tanto per dire), anche non attraverso l’uso di armi nucleari, ha già dimostrato di saper rompere gli indugi e passare all’attacco. È esattamente ciò che ha fatto – e per molto meno – il 24 febbraio 2022. Se, quindi, la situazione dovesse evolvere in un senso tale che la Russia si percepisse a rischio di subire un colpo strategico, potrebbe non esitare nel ricorrere ad un first strike nucleare contro la NATO.

E gli obiettivi sarebbero in Europa.

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Kosovo, il diritto a geometria variabile, e fu il disordine mondiale – Massimo Nava

«Decisamente paradossale che un fazzoletto di terra, fino a pochi anni fa ignoto a molti, sia all’origine di tanti conflitti e tensioni internazionali».

Causa-effetto

Naturalmente, il rapporto di causa ed effetto è più complesso, ma è un fatto che il diritto internazionale fatto a pezzi o invocato a geometria variabile abbia provocato, negli ultimi decenni, instabilità, conflitti e situazioni sociali ed economiche diametralmente opposte a quelle auspicate: lacerazione di confini, pulizia etnica, ondate migratorie, scontri religiosi sono diventati i tragici titoli della nostra storia recente. Le strategie che Europa e Stati Uniti hanno portato avanti dal 1991 nella ex Jugoslavia dovevano segnare la nuova era dei diritti dei popoli, prevalenti sui confini degli stati e sul dispotismo dei dittatori.

Separatismi, e  bramosie sulla Jugoslavia

Il rapido riconoscimento da parte dei Paesi europei (Germania in testa) dell’indipendenza di Croazia e Bosnia, gli accordi di Dayton per l’unità della Bosnia dopo i massacri e il bombardamento della Serbia per sostenere le aspirazioni separatiste della minoranza albanese del Kosovo, minacciata da Belgrado, avevano affermato nella coscienza internazionale alcune regole non scritte e non universalmente riconosciute, compreso l’eliminazione violenta dei dittatori (Gheddafi, Saddam Hussein) o la loro incriminazione nei tribunali internazionali (ieri Milosevic, domani, forse Putin).

Autodeterminazione per tutti o a concessione. E di chi?

Ma la nobiltà morale delle regole (in primis, il diritto dei popoli all’autodeterminazione) non ha tenuto conto dei modi e dei prezzi che si dovevano pagare per affermarle. Anziché una nuova era, si sono innescate instabilità e rivalse. Anziché un nuovo quadro di principii, applicabile ad altri focolai di conflitto nel mondo, dalla Cecenia al Medio Oriente, dall’Ucraina a Taiwan, si è alimentato il disordine internazionale.

‘Geometrie variabili’

I Balcani, in particolare, sono rimasti in balia di strategie contraddittorie e intercambiabili. I musulmani alla mercé dei serbi a Sarajevo e armati contro i serbi in Kosovo. Milosevic, la soluzione per la stabilità (con gli accordi di Dayton) e poi il problema da eliminare. L’unità e l’integrità dello Stato, rispettate per la Bosnia, non riconosciute alla Serbia, costretta all’amputazione del Kosovo.

Balcani sulla giostra Ue ad avallo Nato

A questi sviluppi, si è sovrapposta la marcia a zig zag per l’adesione all’Europa, con le porte aperte a Slovenia e Croazia e l’anticamera per la Serbia, il cui calendario è oggi condizionato dalle ambizioni di Ucraina e Moldavia. Migliaia di soldati dell’Onu, miliardi di dollari e complicati artifici politici hanno soltanto sopito l’odio etnico e religioso in cui è cresciuta un’intera generazione. L’esito più perverso è la Serbia: l’unica nazione rimasta multietnica, nonostante Milosevic, si scopre più nazionalista e ortodossa senza Milosevic ed essa stessa vittima, in Kosovo, di pulizia etnica. Il meno che si possa fare è però ripensare in fretta una strategia coerente per tutta la regione, che affermi i diritti di tutti i popoli e la possibilità d’immaginarsi europei, senza più pagelle di affidabilità e sostegni di convenienza.

Occidente Usa-Ue, sleale e traditore

Uno spiraglio si era aperto nei mesi scorsi durante il vertice europeo di Tirana, in presenza di tutti i protagonisti, compresi i nemici di ieri e di oggi. Come rilevava per l’occasione Le Monde, «dopo l’invasione russa dell’Ucraina, l’Ue ha cambiato tono nei confronti di questa regione». Se da un lato l’Ue è mobilitata per aiutare l’Ucraina, dall’altro è evidente il desiderio di mantenere la stabilità in una regione su cui incombono ombre russe e cinesi, in particolare a Belgrado. La Serbia continua a mantenere relazioni commerciali con Mosca ed è anche un hub interessante per aggirare le sanzioni.

Il problema Serbia-Kosovo

«I Balcani si sono sentiti traditi, bloccati nell’anticamera del club europeo che ha accettato la candidatura di Ucraina e Moldavia». In realtà sono state mobilitate risorse europee per sostenere lo sviluppo di questi Paesi, ma miliardi di euro non sembrano sufficienti a calmare gli animi. Negli ultimi due anni, il Montenegro, l’Albania e la Macedonia settentrionale hanno visto convalidato il loro status di candidati all’Ue e sono iniziati i primi colloqui. A novembre, la Commissione ha proposto che anche la Bosnia-Erzegovina si qualifichi per lo status di candidato. Ma il nodo cruciale resta la Serbia, fino a quando non sarà raggiunto un definitivo accordo politico con il Kosovo, peraltro non ancora riconosciuto da cinque Stati membri dell’Unione Europea, fra i quali la Spagna, per evidenti ragioni di politica interna, date le tensioni in Catalogna.

Vuoto occidentale a perdere

Logico che Russia e Cina, alleati della Serbia e interessati al futuro dei Balcani, prendano spesso le difese di Belgrado. La questione del Kosovo è così diventata anche l’alibi per la politica di Putin, prima in Crimea e poi nel Donbass. Belgrado coltiva aspirazioni di integrazione europea, ma non può abbandonare le minoranze serbe. L’adesione all’Ue aiuterebbe a consolidare le istituzioni democratiche, a proteggere i diritti fondamentali e a far progredire lo Stato di diritto in tutta la regione balcanica. Ma la guerra in Ucraina ha sconvolto disegni e priorità. E Putin soffia sul fuoco.

Le coincidenze della storia

Per quanti si appassionano a questa storia complicata, si noti una coincidenza in queste ore di violenze: il processo cominciato all’Aja contro l’ex presidente e leader della guerriglia kosovara, Hashim Thaçi. Eroe della resistenza contro i serbi e dei diritti delle minoranze, sostenuto dagli Stati Uniti, considerato a suo tempo il «George Washington dei Balcani», amico personale dell’ex ministro francese Bernard Kouchner, è ora incriminato per crimini di guerra e crimini contro l’umanità perpetrati contro le forze serbe.

Un caso emblematico, a dimostrazione che la storia nei Balcani è davvero ciclica e talvolta diventa un tragico gioco dell’oca.

da qui

 

 

 

Alastair Crooke – La realtà autoimmaginata del G7 si è trasformata in delirio

…Il dirottamento degli F-16 non cambierà l’equilibrio strategico della guerra, ma ovviamente la prolungherà. Tuttavia, i leader europei al G7 hanno accolto la proposta.

Il tenente colonnello Daniel Davis, Senior Fellow di Defence Priorities a Washington, ha avvertito:

“Non c’è motivo di aspettarsi un cambiamento drastico nelle fortune di Kiev nella guerra a causa di questi [gli F-16]. Anche i 40-50 jet che l’Ucraina starebbe richiedendo non modificheranno sostanzialmente il corso della guerra. La domanda più importante che gli americani dovrebbero porre a Biden, tuttavia, è la seguente: ‘a quale scopo? Cosa si aspetta l’Amministrazione dalla consegna degli F-16? Cosa speriamo di ottenere fisicamente? Quale stato finale prevede il Presidente per la guerra e in che modo la presenza degli F-16 migliorerebbe le possibilità di successo?’

“Per quanto posso determinare, queste domande non sono state nemmeno poste, tanto meno hanno avuto risposta, dai funzionari dell’amministrazione o del Pentagono… Washington dovrebbe iniziare a concentrarsi molto di più sui mezzi concreti per salvaguardare gli interessi americani e porre fine alla guerra, e meno sulle consegne di armi insignificanti che non sembrano far parte di alcuna strategia coerente.”

La stessa domanda dovrebbe essere posta all’UE: “A quale scopo?”. La domanda è stata posta, e ancor meno è stata data una risposta?

Ebbene, rispondiamo: A cosa serviranno 50 F-16?  I leader europei dicono di voler porre fine al conflitto in tempi brevi, eppure questa iniziativa otterrà l’esatto contrario. Rappresenterà un’altra pietra miliare nell’escalation verso la “guerra per sempre” contro la Russia che alcuni desiderano ardentemente. La Russia probabilmente vedrà poche alternative se non quella di procedere a una guerra totale contro la NATO.

Gli europei sembrano incapaci di dire “no” all’America.  Tuttavia, il Col. Davis avverte chiaramente che l’intenzione degli Stati Uniti è quella di “spostare l’onere del sostegno fisico all’Ucraina ai nostri partner europei”. Implicitamente, questo suggerisce una “guerra lunga” in Europa.  Come siamo arrivati a questo punto, per l’amor del cielo?  (in quanto non abbiamo riflettuto a fondo fin dall’inizio, con una guerra finanziaria alla Russia abbracciata con tanto entusiasmo e senza riflettere dall’Europa).

Recentemente, il Financial Times ha scritto che l’Ucraina ha cinque mesi di tempo per dimostrare alcuni “progressi” agli Stati Uniti e agli altri finanziatori occidentali, per convincerli dei suoi piani per il conflitto con la Russia: “Se arriveremo a settembre e l’Ucraina non avrà fatto progressi significativi, allora la pressione internazionale [sull’Occidente] per portarli ai negoziati sarà enorme”.

Ebbene, il Col. Davis afferma che “è poco probabile che i caccia [F-16] vedano un combattimento nei cieli dell’Ucraina quest’anno”.  Quindi, Biden ha semplicemente esteso con disinvoltura la guerra ben oltre settembre.

Se l’Europa vuole una fine anticipata della guerra, deve sperare che il “progetto” di Kiev imploda presto.  (E potrebbe farlo, nonostante gli F-16).

da qui

 

 

LA BALLATA DELLO STRONZIO – Stefano Benni (12 maggio, 1986)

C’è chi teme l’isotopo

e le bizze del protone

chi l’orrendo plutonio

dall’infernale nome

chi vede iodio piovere

su monti fiumi e prati

e inquinar perfino

gli amati surgelati

poi il vento porta via

tutta la scoria infame

ma giuro, in fede mia,

che lo stronzio rimane

(e sempre rimarrà)

Lo stronzio è un elemento

direi fondamentale

in ogni umano evento

fatale o naturale

elemento che un giorno

senza sospetto alcuno

Mendeleiev mischiò

agli altri novantuno

lo si trova in natura

in forme varie e strane

alcune minerali

alcune quasi umane

lo stronzio è quel ministro

di corpulenta mole

che propaganda guerra

perfino nelle scuole

lo stronzio è lo scienziato

che alla tivù dibatte

di chiudere le centrali

ma soltanto del latte

lo stronzio alla domanda

se siamo radioattivi

risponde: accontentatevi

di essere ancora vivi

(fin quando durerà)

Il buon iodio di solito

al mare riposava

o disciolto in tintura

le ferite curava

non chiese certo lui

di andare militare

a difendere la patria

nel Corpo nucleare

Il radicchio alla nascita

non è certo assassino

non ci risulta attacchi

a morsi il contadino

ma lo stronzio è diverso

è un caso straordinario

lo stronzio è volontario

e sempre lo sarà

lo stronzio si prosterna

a armieri e inquinatori

canta il Rinascimento

degli speculatori

lo stronzio ama il progresso

di un amore infinito

piuttosto muore subito

ma muore progredito

(sai che felicità)

Reaganiano o sovietico

sotterraneo o palese

di miniere di stronzio

è ricco ogni paese

non credete allo stronzio

che dice «passerà»

non è solo un revival

la radioattività

non credete allo stronzio

che finge commozione

e intanto firma il piano

di una nuova esplosione

bombardieri e atomiche

non partono da soli

ci son tracce di stronzio

sul pulsante dei voli

Nelle acque minerali

scienziati competenti

ci firmano le analisi

di tutti gli ingredienti

E garanzie analoghe

chiedono gli italiani:

sia scritto da domani

visibile all’esterno

di ogni ente e governo

industria o parlamento

«contiene stronzio puro

al cinquanta per cento»

(almeno si saprà)

da qui

 

 

La guerra in Ucraina tra attacchi in profondità e incursioni in Russia – Gianandrea Gaiani

L’imbarazzo dell’Occidente

Anche se il governo ucraino non commenta e non fornisce dettagli circa le operazioni condotte in territorio russo, la paternità degli attacchi a Belgorod come altrove è evidente e resa manifesta dalle armi e dai veicoli che i russi hanno distrutto o catturato agli attaccanti.

Dopo le immagini mostrate dai russi dei veicoli statunitensi e polacchi e delle armi prodotte da nazioni della NATO strappate alle forze ucraine e filo-ucraine a Belgorod anche alcuni funzionari statunitensi sentiti anonimamente dal Washington Post, hanno confermato che tre dei quattro veicoli distrutti in territorio russo sono stati forniti a Kiev dagli Stati Uniti e uno dalla Polonia. I combattenti avevano inoltre fucili prodotti in Belgio e in Repubblica Ceca. Rivelazioni che mettono in imbarazzo USA e NATO (da tempo impegnati a sostenere che non incoraggiano azioni ucraine contro il territorio russo) e che, secondo il Washington Post, suscitano dubbi circa i controlli di Kiev sulle armi fornite dai paesi della NATO.

In realtà tale preoccupazione appare quanto meno tardiva non solo perché Analisi Difesa evidenziò già a inizio marzo del 2022 il rischio che anche a causa della dilagante corruzione che impera in Ucraina le armi fornite per la guerra contro i russi finissero per alimentare il traffico internazionale di armi ma anche perché negli ultimi 15 mesi allarmi del genere sono stati lanciata dai media statunitensi e prima dall’Interpol e dalle polizie di molte nazioni europee mentre armi occidentali fornite all’Ucraina sono state da tempo rivenute in diversi teatri bellici afro-asiatici e sono state segnalate in mano alla malavita in Finlandia e persino Messico.

Fornire armi automatiche, antiaeree e anticarro ai partigiani russi ha ovviamente un valore militare nel conflitto attuale ma in prospettiva l’ipotesi che gruppi armati di ispirazione dichiaratamente nazista dispongano di armi così distruttive deve preoccupare chiunque tema azioni terroristiche in Europa.

Non a caso il governo del Belgio ha reso noto ieri che chiederà a Kiev chiarimenti sull’impiego di armi di fabbricazione belga. Lo ha riportato il giornale Het Laatste Nieuws riferendo che i ministri della Difesa e degli Esteri Ludivine Dedonder e Haja Labib contatteranno quanto prima le autorità ucraine in quanto le armi fornite da Bruxelles “sono destinate alle forze armate ucraine per proteggere il loro territorio e la popolazione dall’invasione russa e non sono destinate a gruppi con interessi interni russi”.

Anche gli Stati Uniti continuano a prendere le distanze da ogni attacco in territorio russo mentre Londra ha invece espresso comprensione per le iniziative di Kiev. L’Ucraina ha ”il diritto legittimo di difendersi” e può ”usare la sua forza” oltre i confini ha detto nei giorni scorsi  il ministro degli Esteri britannico James Cleverly sottolineando che colpire ”obiettivi militari legittimi oltreconfine” rientra nel diritto di autodifesa. Al tempo stesso il governo britannico ha però precisato che nessuna arma fornita agli ucraini è stata impiegata negli attacchi al territorio russo.

 

Missili contro il bunker del GUR a Kiev

Legato alle incursioni a Belgorod sarebbe invece il bombardamento effettuato con ogni probabilità con un missile dotato di penetratore che ha colpito il bunker sotto il quartier generale dei servizi segreti militari ucraini (GUR).

Un raid di cui ha accennato lo stesso Vladimir Putin e che secondo l’ex deputato del parlamento ucraino Oleg Tsarov (che Gian Micalessin aveva intervistato per Analisi Difesa  dopo che aveva guidato il fallito blitz su Kiev il 24 febbraio 2022) non era stato colpito prima perché al suo interno venivano interrogati i prigionieri russi.

L’attacco missilistico al quartier generale del GUR costituirebbe una rappresaglia per il ruolo svolto dai servizi segreti militari ucraini nel pianificare gli attacchi nella regione di Belgorod e nell’arruolare, armare e addestrare i miliziani russi.

“Un attacco al bunker è stato richiesto per molto tempo perché lì erano stati pianificati tutti gli attacchi terroristici contro la Russia. L’edificio avrebbe dovuto essere uno degli obiettivi principali. Per quanto ne so, a Mosca si sono astenuti dagli attacchi perché il GUR teneva lì prigionieri di guerra russi, come se si nascondessero dietro di loro”, ha detto Tsarov (nella foto a lato) al canale Telegram russo di analisi militare Slavyangrad.

“Poiché l’attacco è comunque avvenuto si può presumere che sia stato scelto il momento in cui non c’erano prigionieri russi nell’edificio”.

In questo attacco, avvenuto il 29 maggio, potrebbero essere rimasti coinvolti anche numerosi ufficiali occidentali, per lo più britannici e statunitensi considerato che lo stesso giorno un aereo da evacuazione sanitaria americano ha effettuato un volo d’urgenza dalla base tedesca di Ramstein a quella polacca di Rzeszow (hub utilizzato dalla NATO per i flussi di armi, mezzi, munizioni e personale da e per l’Ucraina).

Un’evacuazione di personale occidentale che potrebbe anche avere avuto a che fare con il bombardamento missilistico attuato dai russi sulla base aerea di Starokostyantyniv che ospita i bombardieri Su-24M (nella foto sotto armati con due Storm Shadow) che tecnici e consiglieri militari britannici hanno equipaggiato con i missili da crociera Storm Shadow impiegati dagli ucraini per colpire comandi e basi russe dietro la linea del fronte.

Almeno 5 velivoli sarebbero andati distrutti sulla pista dell’aeroporto probabilmente compromettendo, almeno temporaneamente le capacità ucraine di impiegare tali missili considerato che gli ultimi attacchi contro le installazioni russe a Berdyansk, sul Mare d’Azov, sono state effettuate con i vecchi missili balistici a corto raggio OTR 21 Tochka U (Scarab B per la NATO).

 

Un aereo da trasporto polacco avrebbe invece raggiunto Chisinau, in Moldova, dove sarebbero stati evacuati polacchi feriti o uccisi nell’attacco al porto di Odessa dove sono stati distrutti depositi di armi e munizioni e affondata quella che i russi consideravano l’ultima nave militare rimasta alla Marina Ucraina.

Si tratta della nave per operazioni anfibie (LST) Yuriy Olefirenko (nella foto sotto), del tipo Project 773 (Polnocny-C per la NATO), unità ex sovietica varata nel 1970 a Danzica (Polonia) e in servizio con la Marina Ucraina dal 1994 e in grado di trasportare 150 militari e 10 mezzi corazzati, colpita il 29 maggio da un ordigno di precisione lanciato da un velivolo delle Forze Aerospaziali Russe, incendiatasi e poi affondata nel porto di Odessa.

 

“Il 29 maggio, un attacco ad alta precisione dell’aeronautica russa su un sito di ancoraggio di navi nel porto di Odessa ha distrutto l’ultima nave da guerra della Marina Ucraina, la ‘Yuri Olefirenko’”, ha riferito il 31 maggio il briefing quotidiano del ministero della Difesa russo. Un portavoce della Marina Ucraina si è rifiutato di commentare la notizia. Resta peraltro impossibile verificare attraverso fonti neutrali quasi tutte le informazioni riportate dai belligeranti.

 

I russi colpiscono in profondità basi, depositi e difese aeree

Da settimane ormai gli attacchi di missili e droni russi colpiscono in profondità il territorio ucraino conseguendo risultati rilevanti a giudicare dalle gigantesche esplosioni provocate in alcune aree e presso alcune basi aeree ucraine.

Negli ultimi giorni gran parte degli attacchi, oltre a prendere di mira i depositi di armi e munizioni, sembrano indirizzati a indebolire le difese aeree di Kiev, velivoli e batterie missilistiche antiaeree.

 

Ieri il ministero della Difesa russo ha annunciato che “questa notte le Forze Armate della Federazione Russa hanno lanciato un attacco di gruppo con armi di precisione a lungo raggio aviolanciate, contro obiettivi nemici negli aeroporti militari colpendo comandi, postazioni radar, attrezzature per l’aviazione e depositi di armi e munizioni. Lo scopo dell’attacco è stato raggiunto”.

Il portavoce dell’Aeronautica Ucraina, colonnello Yuriy Ignat, ha ammesso che missili russi hanno colpito l’aeroporto alla periferia orientale di Kropivnitsky, nella regione centrale di Kirovohrad.

L’indebolimento delle difese aeree ucraine costituisce un elemento di debolezza in grado di influire (come ha ammesso il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nella recente intervista al Wall Street Journal in cui ha chiesto aerei da combattimento e nuove batterie di missili Patriot ) sulle possibilità ucraine di condurre una controffensiva su vasta scala, al pari della sistematica distruzione di molti grandi depositi di armi e munizioni occidentali. Un successo dovuto all’intelligence ma anche all’esaurimento dei missili antiaerei di origine russo/sovietica (che rappresentavano l’85 per cento di quelli a disposizione di Kiev) e con un numero limitato di armi occidentali a disposizione.

Uno scenario peraltro già previsto dal Pentagono almeno secondo i documenti riservati resi pubblici in rete nei mesi scorsi in cui si indicava che in maggio sarebbero finite le scorte di missili terra-aria di tipo sovietico.

I russi sembrano aver sfruttato al meglio questo vantaggio anche per individuare e colpire le batterie di missili Patriot statunitensi dopo aver colpito in passato anche quelle di NASAMS fornite dagli USA e di Iris -T dalla Germania che vengono ora sostituite con nuove batterie e sistemi radar.

Dopo aver colpito a metà maggio una batteria di Patriot (nella foto sotto) nei dintorni di Kiev, pare assodato anche da fonti ucraine che una seconda (o la stessa colpita due settimane prima) sia stata centrata a fine mese sempre da missili ipersonici Kinzhal presso la base aerea di Zhuliany, a ovest della capitale.

Come per l’attacco del 15 maggio gli ucraini non rivelano i danni subiti ma la stretta imposta alla diffusione di informazioni e video postati da militari e blogger sembra confermare le difficoltà della difesa aerea ucraina nonostante i proclami quotidiani in cui si annuncia regolarmente la distruzione di oltre il 90 per cento dei missili e dei droni russi. Alcuni di questi ordigni, soprattutto droni e i vecchi e imprecisi missili da crociera Kh-22, vengono impiegati come esche per consentire ai russi di individuare le batterie antiaeree da attaccare.

 

Fonti turche riprese da canali Telegram militari hanno reso noto che gli alleati occidentali stanno cercando non solo di acquisire sul mercato aerei Mig e Sukhoi con cui rifornire l’Aeronautica Ucraina ma cercano anche di reclutare piloti sudanesi, egiziani, afghani, libici e angolani già addestrati a impiegare questo tipo di velivoli e gli elicotteri russi Mil.

I fronti caldi

Nonostante non vi siano sviluppi di particolare rilievo in atto, lungo tutta la linea del fronte si registrano vivaci scontri a fuoco.

Nel settore di Kupyansk (regione di Lugansk) nei giorni scorsi i russi hanno ripreso l’assalto alle linee ucraine a nord e nord-est della città dopo che il 15 maggio erano riusciti a oltrepassare il fiume Oskol. Gli scontri più intensi si sono concentrati a Sinkovka e Dvurechnaya dove i russi bersagliano dalle colline le postazioni ucraine nel centro abitato costringendo il comando ucraino a rafforzare le difese anche con reparti di volontari internazionali secondo fonti russe.

Più a sud, sul fronte di Donetsk, la situazione resta vivace dopo la sanguinosa battaglia di Bakhmut conclusasi dopo otto mesi con la vittoria di Mosca anche se il comando ucraino continua a sostenere di controllare postazioni nella periferia sud-occidentale della città. Valutazione espressa anche il 3 giugno dalla vice ministra della Difesa Anna Malayar ma confermata ieri inaspettatamente anche da Yevgeny Prigozhin, che nonostante abbia ritirato il grosso dei reparti della PMC Wagner da Bakhmut continua a criticare duramente il ministero della Difesa russo e le forze regolari.

Non vi sono riscontri del ritorno degli ucraini in città mentre è invece confermato il reiterato tentativo di forzare le difese russe a nord e sud della città. I russi hanno messo in campo rinforzi e conducono “pesanti battaglie difensive sui fianchi vicino ad Artyomovsk” (nome russo di Bakhmut) riferiscono blogger militari russi riferendo che gli attacchi sono condotti da piccole unità ucraine a livello compagnia meccanizzata.

Dal 24 maggio le unità della PMC Wagner sono state progressivamente avvicendate a Bakhmut dai reparti dei della Repubblica Popolare di Donetsk e da battaglioni della 31a Brigata Aviotrasportata russa prima schierata nel settore Svatove-Kreminna. I pesanti bombardamenti russi nelle retrovie del fronte di Bakhmut hanno indotto molti civili a lasciare le proprie case a Chasiv Yar.

Secondo Prigozhin la sanguinosa battaglia di Bakhmut è costata la vita in oltre 220 giorni a circa 50 mila militari ucraini (più 70 mila feriti) e a 20 mila contractors russi. “Il gruppo Wagner aveva 3,2 volte meno morti delle forze armate ucraine e circa due volte in meno dei feriti”, ha detto Prigozhin in un’intervista su Telegram. Il leader del gruppo Wagner ha spiegato che Kiev ha subito perdite maggiori perché aveva difficoltà a evacuare i militari feriti dalla città assediata. Inoltre, Prigozhin ha aggiunto che nel momento del massimo sforzo bellico Wagner ha schierato fino a 50 mila combattenti nel settore di Bakhmut mentre gli ucraini fino a 82 mila.

Russi all’assalto invece ad Avdiivka (da cui Analisi Difesa ha pubblicato un reportage di di Gian MicalessinMarynka. In quest’ultima località sono arrivate le unità cecene della Forza Speciale Akhmat che negli ultimi giorni hanno strappato un paio di quartieri della cittadina alle forze ucraine (nelle mappe sopra e sotto) che difendono la seconda linea di difesa ucraina nella regione di Donetsk già da tempo sotto pressione.

Ieri lo stato maggiore di Kiev ha reso noto di aver respinto tutti gli attacchi russi nel Donbass. “Il nemico continua a concentrare i suoi sforzi principali nel tentativo di occupare completamente le regioni di Lugansk e Donetsk. Durante la giornata gli occupanti hanno effettuato 16 attacchi, ma tutti sono stati respinti da unità delle forze di difesa” si legge nel comunicato.

Questa notte il ministero della Difesa russo ha annunciato che le sue forze hanno sventato un vasto attacco ucraino nella provincia orientale di Donetsk, anche se non è chiaro se questo sia stato l’inizio della preannunciata controffensiva delle forze armate di Kiev.

Il ministero ha affermato che le sue forze hanno respinto un attacco ucraino “su larga scala” scatenato ieri in cinque punti nel sud di Donetsk, quindi con ogni probabilità nell’area di Ugledar (Vuhledar).

“L’obiettivo del nemico era quello di sfondare le nostre difese nel settore più vulnerabile, a suo avviso, del fronte”, ha detto il portavoce del ministero, generale Igor Konashenkov. “Il nemico non ha raggiunto i suoi scopi. Non ha avuto successo”, ha aggiunto il portavoce riferendo di perdite nemiche pari a 250 caduti e 16 carri armati, 3 veicoli da combattimento e 21 veicoli corazzati distrutti”. Nessuna fonte ucraina ha commentato la notizia e non è chiaro il motivo per cui i russi abbiano atteso circa 12 ore per rendere noto un attacco ucraino che ha preso il via il mattino del 4 giugno.

I blog militari russi del resto già ieri sera avevano riferito di una ricognizione in forze ucraina sul fronte di Zaporizhia (lo stesso in cui i russi si attendono un grande contrattacco nemico) da Malaya Tokmachka vicino a Orekhov. “Il distaccamento d’assalto ha condotto una sortita alle posizioni delle forze russe con il supporto di diversi veicoli corazzati. Secondo alcuni rapporti, le forze armate ucraine sono riuscite a sfondare, ma in seguito l’attacco è stato respinto e il controllo è stato ripristinato” scrive il blog Slavyangrad.

Il portavoce del raggruppamento orientale delle forze armate di Kiev, Serhiy Cherevatyi, non ha fornito informazioni in proposito limitandosi a definire  “delirante” la versione russa secondo cui la controffensiva di Kiev nella regione di Donetsk sarebbe stata bloccata. “In realtà, quando inizierà, tutti lo sapranno”, ha detto Cherevatyi al Washington Post.

“Il nemico ci ha messo in una posizione difficile” ha ammesso oggi il capo dei separatisti filorussi a Donetsk, Alexander Khodakovsky, contraddicendo apparentemente le affermazioni di Mosca. Sempre nella tarda mattinata di oggi il ministero della Difesa russo ha reso noto che 425 militari ucraini sono stati uccisi mentre sono stati distrutti un semovente Pzh 2000 di fabbricazione tedesca, due obici e due depositi di munizioni dell’esercito di Kiev nella regione di Donetsk.

 

Nel pomeriggio di oggi i blogger russi riferiscono di limitati sfondamenti del fronte a ovest di Ugledar (vedi mappa qui sotto) nei pressi di Velikaya Novoselka  che le forze russe stanno riassorbendo con ampio impiego di artiglieria e il supporto aereo che coprono il contrattacco dei reparti meccanizzati mentre contrattacchi ucraini vengono registrati anche nel settore di Bakhmut e Andiivka.

 

L’impressione è che Kiev cerchi di saggiare le capacità delle difese russe in cerca di un punto debole con ricognizioni in forze che si stanno rivelando costose in termini di uomini e mezzi perduti, oppure gli attacchi a Zaporizhia e Sud Donetsk sono un diversivo per coprire attacchi più vasti altrove. Non si può escludere inoltre che gli ucraini riscontrino difficoltà nello scatenare l’ormai più volte preannunciata controffensiva, inficiata probabilmente da diversi fattori.

 

Oltre alle carenze nella copertura e nella difesa aerea, vi sarebbe il limitato livello di addestramento delle reclute assegnate alle 9/12 brigate cui sono stati forniti i nuovi equipaggiamenti occidentali (nella foto qui a fianco un veicolo da combattimento ruotato 8×8 Stryker).

Aspetto già emerso dai documenti riservati statunitensi apparsi nei mesi scorsi su alcuni social che evidenziavano anche come tali brigate fossero sotto organico, composte in media da 2.500/3.000 militari e guidate da uno scarso numero di ufficiali veterani.

Inoltre anche i russi sembrano prepararsi ad affrontare un’estate calda sui fronti ucraini e secondo alcune fonti sono 280 i nuovi battlegroup costituiti con i 300 mila riservisti mobilitati nel settembre scorso.

Il 24 maggio il ministro della Difesa Sergey Shoigu ha riferito che dall’inizio dell’operazione militare speciale sono stati addestrati più di 120.000 specialisti.

“Più di 21.000 specialisti sono stati addestrati direttamente per i gruppi tattici e unità militari di nuova costituzione, tra cui 5.000 per l’impiego di armi ad alta tecnologia come il T-90M carri armati, veicoli da combattimento BMP-2M aggiornati allo standard Berezhok e BMP-3 oltre a vari sistemi di droni” ha detto il ministro ripreso dalla TASS.

da qui

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